Una sera prima di Pasqua, al
solito telegiornale che ho
ancora il coraggio di vedere,
viene fatta un’intervista a
persone che partono per le
isole spagnole: “perché ha
deciso di andare in vacanza
fuori Italia?”.
Risposta: “Dopo un anno chi
uso in casa, non ne potevamo
più. Abbiamo bisogno di
respirare e di riposarci”.
L’intervistato era un giovane
tra i 20 e i 30 anni, volto
rilassato che lasciava
trasparire serate tranquille,
aperitivi frequenti
(clandestini, s’intende!), certamente dedito a un lavoro
non troppo faticoso, senza
figli e quindi estraneo alla didattica online per bambini dei
primi tre anni della primaria…
e gli altri intervistati erano
della stessa pasta, anche se di
età diversa.
Mi è parso lo “spettacolo”
triste di persone (e non erano
solo giovani) piuttosto benestanti, annoiate, che cercano
solo una forte evasione, ma
che hanno dentro la grande domanda che tutti sentiamo venire a galla. Andare di qua e di là, come si può,
è un modo per nascondere a se stessi la domanda.
Allora ho pensato alla domanda che io ho dentro.
Cerchiamo di dimenticarla, di coprirla in mille modi
con il rumore delle cose da fare, delle notizie da
sentire, delle serate su piattaforme online o davanti ad un film comprato con
poca spesa. Oppure stando
al
telefono un mare di tempo,
ma anche mettendosi a
chattare con il mondo… e la
terribile domanda resta
ferma lì, nel cuore profondo
della persona.
È fatta di tante domande,
spesso confuse, che creano
un sentimento di cui tutti
abbiamo paura: il senso del
vuoto.
Eccola questa “maledetta”
domanda, sì maledetta
perché non si riesce a
trovare uno straccio di
risposta che la faccia tacere:
perché
moriamo?... e poi tutte
quelle che si collegano: ma io
perché sono al mondo? che
senso ha la mia vita? dove
finisco?
Abbiamo paura di guardarla
questa benedetta domanda.
Sì! Benedetta, perché è il
cuore della mia vita, perché
è un grido che spunta dal
profondo del mio io, che
appunto appena si mette a dire “IO”, subito sente
bruciare dentro questo terribile quesito impossibile. È
l’impossibile che mi rilancia, che mi spinge a non fermarmi al conteggio degli “appestati” quotidiani, degli
intubati, dei morti.
Senza negare la triste e dolorosa realtà di tanta
sofferenza, ma anche senza stare a contemplarla,
prendo in mano il mio cuore, “questo piccolo cuore
leggero, leggero come il passerotto d’inverno” e la
lascio salire alle labbra questa domanda, perché
diventi grido, preghiera, magari anche ribellione, ma
rivolta a qualcuno.
Chi mi ha fatto lasciandomi dentro questa domanda
ha la risposta. Se no, sarebbe una carogna e un
imbroglione.
Ma se noi, che non siamo santi, mettiamo al mondo
figli per far loro gustare la bellezza della vita e la
felicità dell’amore, volete che il Creatore (che tutti ci
ha fatti) sia di meno?
Allora questa domanda contiene la potenza che mi
apre alla grande bellezza della vita: io non mi sono
fatto da solo, un Altro mi ha fatto, un Altro mi ha
voluto e continua a volermi, mi vuole per sé.
Non come un padre padrone che si attornia di schiavi,
ma come un Padre misericordioso che vuole solo dare, donare, elargire… se stesso.
E così il silenzio del Padre risponde al mio grido, alla
mia preghiera; mi dice: tu sei fatto per me! tu sei parte della mia gioia! tu sei prezioso per me, perché sei
parte del mio essere Padre!
Questo Padre non ci fa discorsi, non è filosofo,
nemmeno politico, né sindacalista o avvocato. A lui
piace sprecarsi, donarsi, entrare nella mia vita.
Solo chi non scappa da un’altra parte perché teme di
soccombere alla domanda del cuore, trova la sua
presenza.
Ha preso il volto visibile di Gesù (“chi ha visto me, ha
visto il Padre!) che si è lasciato inchiodare sulla Croce,
non come sconfitto, ma per dichiararsi totalmente. E
se la sua parola crea, il suo dichiararsi è dono di sé.
E così incominciamo a sentire che il morire è
un’apertura a un altro mondo, al mondo di questo
Padre Creatore. “Vita mutatur, non tollitur”,
scrivevano un tempo sulla porta del cimitero: la vita
viene cambiata, non tolta. Oggi ci sono solo gli orari e
le
regole!
Siamo spaventati da quello che in questi mesi sta
accadendo perché abbiamo scoperto che non siamo
eterni. Teoricamente lo sapevamo. Ora l’abbiamo
toccato con mano… tutti, scienziati, politici, esperti e
inermi spettatori.
Tutti siamo di fronte alla grande domanda sul senso
della nostra vita.
La salvezza non sta in una piccola iniezione che mi
può far viaggiare ancora, fare l’aperitivo con gli amici o
andare al ristorante.
La salvezza viene da uno che ci ha fatto bene, ci ha
fatto con una domanda di infinito e solo un Infinito
potrà saziarci, farci trovare pace.
Il Cristo risorto è il grido silenzioso che risponde al
nostro grido rumoroso: il male, la morte non è
l’ultima parola, non è il destino mio e tuo.
Il silenzio pieno di luce e chiarezza del Risorto dice: tu
sei fatto per stare con me… sempre.
“Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi
e la vostra gioia sia piena” (Gv 15).
Soltanto un Altro può darci la gioia e questa fa
sorgere la speranza.
Allora noi, miserabili in cerca di misericordia lieta,
possiamo ogni giorno mendicare la speranza:
“O Dio, tu sei il mio Dio, dall’aurora ti cerco,
ha sete di te l’anima mia, desidera te la mia carne
in terra arida, assetata, senz’acqua” (Salmo 63).
Grazie.
Don Paolo
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