Certo, non è detto che preferenze di voto per la Casa Bianca e opinioni personali sull’aborto debbano per forza coincidere. Le continue torsioni di Trump sull’argomento potrebbero paradossalmente consentire al repubblicano di guadagnare quote significative di consensi. Accusato dai democratici di aver nominato alla Corte Suprema giudici ultraconservatori nei suoi anni alla Casa Bianca – e di aver così “condizionato” anche il ribaltamento del diritto federale all’aborto –, Trump è stato considerato a lungo dai leader dei movimenti anti- abortisti Usa come il più “ pro-life” tra tutti i presidenti Usa, una posizione in passato da lui stesso rivendicata. Dopo la decisione della Corte, però, il repubblicano più volte ha spiegato che devono essere i singoli Stati e i loro elettori a decidere sul tema, rifiutandosi di chiarire la sua posizione su un eventuale divieto di aborto a livello federale. Nei giorni scorsi, nuove giravolte: dopo aver sostenuto di non condividere il bando della Florida sull'interruzione di gravidanza dopo sei settimane, lasciando intendere un suo sostegno al referendum abrogativo, il repubblicano ha cambiato idea precisando che voterà “no” perché, pur ritenendo troppo breve il limite di sei settimane, considera l'emendamento proposto troppo permissivo. Trump « voterà per sostenere un divieto di aborto così estremo che si applica prima ancora che molte donne sappiano di essere incinte », l’ha subito attaccato Harris.
La democratica, da parte sua, ha compiuto una scelta di campo piuttosto netta che si è mostrata plasticamente alla convention di Chicago. All’evento in cui ha accettato ufficialmente la nomination le posizioni meno radicali sull’interruzione di gravidanza non hanno infatti trovato spazio alcuno sul palco, lasciando che l’aborto diventasse nei discorsi degli oratori sempre e solo un “diritto”, quasi un dogma elevato a ideologia di partito. L’arena politica finisce così per evidenziare sempre più quella spaccatura tra liberal e conservatori che negli Usa sta disegnando due Americhe che ormai quasi non si parlano più. Al punto che sono sempre più frequenti i casi di cittadini che decidono di andare a vivere in Stati che considerano più affini al loro background etico-politico-culturale.
Dopo l’annullamento di Roe contro Wade nel 2022, sull’aborto gli Stati sono andati in ordine sparso, alcuni espandendo i limiti all’interruzione di gravidanza, altri procedendo con restrizioni. La California ha ad esempio inserito due anni fa l’interruzione di gravidanza tra i diritti garantiti dalla propria Costituzione, mentre in 14 Stati, soprattutto al Sud, ci sono forti restrizioni poche settimane dopo l’inizio della gravidanza - eccetto specifiche emergenze mediche - e il divieto di usare la pillola abortiva. In mezzo, difficile individuare spazio per un dialogo ormai pressoché inesistente, mentre il tema della vita viene strattonato dalle parti politiche. La stessa Conferenza episcopale Usa, parlando di giorno “storico” all’annullamento della Roe contro Wade, aveva parlato di un “nuovo inizio” e della necessità di una “etica del dialogo e della cooperazione”. Un aspetto, però, che appare completamente rimosso dalla scena politica Usa.
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