I giovani e il referendum. Ovvero: convinzioni (e convenzioni) in frantumi
10 dicembre 2016. 2016
“Io una cosa non perdonerò mai a Renzi: di averci diviso. I miei genitori Sì, io e mio fratello No. Incredibile. Negli occhi di mia madre ho visto la paura di votare No. Incredibile ancora”. Questo mi ha scritto a mezzanotte di domenica scorsa un mio giovane ricercatore, famiglia dal lungo impegno sindacale, area Pd. Questa dei giovani e del referendum è in fondo una delle chiavi decisive per capire quello che è successo in Italia negli ultimi anni. E per cogliere il senso vero della “rivoluzione fiorentina” (qualcosa di più della celebre rottamazione). Le stime differiscono. Ma tutti gli analisti concordano nell’assegnare al No, nella popolazione sotto i trentacinque anni, una percentuale dal 70 all’80 per cento. E anche nel collegare l’alta affluenza con l’alta partecipazione giovanile.
Che vuol dire? Senz’altro che i giovani hanno avvertito l’importanza del tema su cui erano chiamati a pronunciarsi. Ma soprattutto che sono andati in massa alle urne per difendere il testo costituzionale. Eppure, come sappiamo, uno degli argomenti dei sostenitori del sì era che questa Costituzione vada cambiata, che sia inadeguata ad affrontare le complessità dell’oggi, a partire dai tempi delle decisioni e delle leggi. Che sarà anche bella nella prima parte ma che è vecchia, da aggiornare in lungo e in largo. Anzi la tesi dominante era che l’importante fosse comunque cambiare qualcosa, incominciare. Ecco, quel che hanno detto i giovani a valanga è che loro non la considerano vecchia affatto. E paradossalmente si sono dimostrati affezionati a questo testo “antico” esattamente come ai valori della Resistenza, a loro volta per nulla appannaggio di una specie in estinzione ma anzi ben vivi nelle nuove generazioni.
E’ un fatto culturale, ma è anche un fatto esistenziale. Ai giovani in questi ultimi due decenni è stato tolto molto, e sempre di più. Diritti sul lavoro, mobilità sociale, autonomia economica, perfino il diritto di scegliersi i rappresentanti politici (ormai c’è una generazione adulta che non sa che cosa voglia dire votare per un proprio rappresentante in parlamento). A un certo punto essi hanno scoperto che volevano smantellargli anche la Costituzione, ovvero il baluardo ideale dei loro diritti, diventata per questo bersaglio dei circoli finanziari internazionali. E si sono ribellati. Di fatto questo è stato per tanti aspetti un voto di classe. A Milano centro, dove veniva eletto al Senato Marcello Dell’Utri, i Sì hanno raccolto i due terzi dei voti. Ed esemplare è stato l’atteggiamento dei ceti colti, maturi e progressisti, tutti convinti, come in una grande ubriacatura collettiva, che il primo bisogno del paese fosse quello di riformare la Costituzione. Innamorati, i benestanti intellettuali e professionisti, del ruolo di ingegneri della Costituzione; e digiuni di conoscenze sia delle dinamiche politico-parlamentari vere che generano l’improduttività del sistema, sia dei bisogni sociali più urgenti dei giovani (o del Sud). La sconfitta del Sì nasce proprio dal fatto che a chi sogna di cambiare il mondo e conia sempre nuovi costumi e linguaggi l’ “innovazione” è apparsa il segno di un’ antica prepotenza, anche se con etichetta di sinistra (“prof, ma tra noi giovani non c’è un sì”, mi aveva detto sabato uno studente commentando i giornali).
Naturalmente si può obiettare che almeno una parte dei giovani abbia espresso il suo voto non a difesa della Costituzione ma soprattutto per dare un giudizio sul governo Renzi. Ma anche questo è a suo modo sorprendente. Perché il governo Renzi era nato con il proposito quasi ideologico di rottamare la vecchia classe politica e intellettuale e dare finalmente spazio e dignità alle nuove generazioni. Di costruire una politica al passo coi tempi, nutrita non per nulla di immagini, di twitter e di velocità. E tuttavia proprio i giovani hanno di fatto bocciato questo governo, che i cinquantacinquenni e sessantenni, forse per ringiovanirsi con l’idea del rinnovamento, hanno invece sostenuto a maggioranza. Insomma, volendo usare il linguaggio renziano, i ventenni hanno rottamato i quarantenni e anche i trentacinquenni. Hanno preferito il novantenne Smuraglia al quarantenne Renzi. Il che aiuta a rimettere un po’ di ordine nelle convenzioni ideologiche portate in trionfo negli ultimi anni. Meglio voltare pagina, ci è stato detto, e abbandonare il culto marinettiano del nuovo e dell’anagrafe. Alla fine il pensiero e i valori contano di più.
scritto sul Fatto Quotidiano dell’8.12.16
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