I recenti fatti verificatisi al Salone del libro di Torino, dove al ministro Eugenia Roccella non è stato consentito di presentare il proprio libro autobiografico, rappresentano l’occasione per riflettere su una deriva culturale diffusa nella società, a partire da molti luoghi di cultura e di formazione. Ne sono un’altra dimostrazione i safe spaces e le comfort zones presenti in alcune università soprattutto del mondo anglosassone, dove gli studenti possono sentirsi al sicuro da discorsi emotivamente troppo “urtanti” o “divisivi”: qui vengono approvati speech codes (codici espressivi) per regolamentare lezioni e dibattiti in università e promossi trigger warning per essere avvisati dai docenti qualora intendano affrontare argomenti controversi o che in qualche misura potrebbero generare in loro una situazione emotivamente complessa.
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Il tema perciò in questo caso non è tanto il dissenso, il contrasto o la discussione di certe idee – evidentemente auspicabile in un contesto libero, rispettoso, plurale e democratico – quanto piuttosto il tentativo di togliere un diritto di “cittadinanza” all’interno dell’agone culturale e sociale ad alcune idee e ad alcune personalità. Fanno dunque sorridere - sia detto per inciso - le accuse di presunte “derive autoritarie” di fronte a un ministro che non riesce neppure a presentare il proprio libro al festival dei libri… Quello che sta accadendo sempre più frequentemente nei luoghi che dovrebbero essere di cultura, di dialogo, di confronto tra idee differenti, come università e manifestazioni culturali, è il tentativo di togliere legittimità ad alcuni oratori in forza di un giudizio di “scomunica previa” di certe idee.
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