COVID-19 ha rappresentato un forte fattore di rischio per complicanze cardiovascolari indipendentemente dalla gravità dell’infezione. Ora, a oltre tre anni dall'inizio della pandemia, uno studio suggerisce che dal punto di vista dell’impatto sul cuore l’ombra lunga di COVID-19 non esisterebbe quasi più, tranne in casi rari
L’onda lunga di COVID-19, quello che chiamiamo oggi long COVID, ha fatto molta paura. Un anno e mezzo fa raccontavamo in un lungo articolo l’ombra lunga del post COVID: sempre più persone lamentavano problemi cognitivi, dermatologici, cardiologici, che non si spiegavano, se non a seguito di un forte stato infiammatorio insorto dopo essere entrati in contatto con SARS-CoV-2, senza necessariamente ammalarsi di forme gravi.
E oggi, a oltre tre anni dall’inizio dell’incubo? Abbiamo rivolto le stesse domande di un anno e mezzo fa a Gianfranco Parati, direttore del Dipartimento cardio-neuro-metabolico e direttore scientifico dell’IRCCS Istituto Auxologico italiano di Milano e docente di cardiologia all’Università Milano Bicocca.
E oggi, a oltre tre anni dall’inizio dell’incubo? Abbiamo rivolto le stesse domande di un anno e mezzo fa a Gianfranco Parati, direttore del Dipartimento cardio-neuro-metabolico e direttore scientifico dell’IRCCS Istituto Auxologico italiano di Milano e docente di cardiologia all’Università Milano Bicocca.
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