Facciamo due conti: i monoclonali costano circa 1.500 euro e prevengono ricoveri che allo Stato costano decine di migliaia di euro a paziente. Per quale mistero allora non vengono usati?
A parte la difficoltà di produrre rapidamente le evidenze scientifiche necessarie per le linee guida terapeutiche, ma è anche un problema di cultura medica. Gli stessi medici, sottoposti a uno stress lavorativo imponente, non hanno trovato il tempo corretto per un’informazione appropriata e questo è sicuramente comprensibile. Ma l’Italia aveva già un problema di base: rispetto ad altri Paesi l´aggiornamento medico continuo non è organizzato in maniera consistente ed è troppo spesso lasciato nelle mani delle industrie farmaceutiche. E’ gravissimo, perché quello che abbiamo studiato durante l’università è solo una porzione infinitesimale di quanto è possibile fare oggi, e senza un aggiornamento permanente possiamo fare errori molto gravi. Ad esempio: molte delle informazioni sulle terapie anti Covid-19 a tutt’oggi non hanno raggiunto la popolazione medica, penso alla Clorochina e alla Azitromicina, farmaci che all’inizio dell’epidemia parevano essere utili, poi sono stati controllati in studi globali condotti secondo tutte le regole dell’evidenza che ne hanno dimostrato chiaramente l’inutilità, anzi forse un rischio per il paziente che li assume.
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È pensabile di sostituire il vaccino con i monoclonali? Di rinunciare alla prevenzione e curare la malattia quando già c’è?
Assolutamente no, l’arma più potente che abbiamo continua a essere il vaccino. Però c’è una buona notizia: sono in arrivo, dopo la conclusione degli studi di approvazione in numerosi Paesi europei e americani, nuovi monoclonali che agiranno anche per la prevenzione, cioè saranno utili sia prima di un tampone positivo che dopo, pre-esposizione e post-esposizione. Sarebbero importantissimi in particolare per i trapiantati che, sebbene vaccinati, hanno un alto rischio di non risposta. Alcuni studi dimostrano che la protezione preventiva data da questi nuovi monoclonali dura da minimo 4 settimane fino ad alcuni mesi. Però attenzione, non sono comparabili alla durata della protezione data dal vaccino.
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