L'ultima trovata per sradicare il privilegio bianco nelle scuole arriva dal Minnesota: in caso di tagli (o turnover) verranno garantiti i posti degli “educatori di colore". È anticostituzionale ma la chiamano "equità"
Cosa significa equità? A Minneapolis significa “licenziare per primi i bianchi e assumerli per ultimi”. Il nuovo capitolo sui tentativi di sradicare il “privilegio bianco” in America è stato scritto dal sindacato degli insegnanti: l’accordo raggiunto col distretto scolastico di Minneapolis per porre fine all’ondata di scioperi della scorsa primavera prevede infatti che in caso di tagli del personale o turnover vengano ora tutelati, ora privilegiati gli “educatori di colore” e i membri “della popolazione sottorappresentata”. In pratica l’accordo rovescia il criterio dell’anzianità alla base del ricambio scolastico per introdurre nelle scuole pubbliche del distretto il criterio della razza.
A partire dalla primavera del 2023 gli insegnanti di colore potranno infatti essere esentati da licenziamenti e “cassa integrazione”, e godranno di una corsia preferenziale qualora numero di iscrizioni e finanziamenti consentiranno di ripristinare i posti sospesi o reclutare nuovo personale. In particolare verranno tutelati dalla perdita del posto di lavoro gli insegnanti di 15 scuole considerate ad alto tasso di povertà.
Pareggiare i conti licenziando i bianchi
Questo perché, in un distretto che nell’ultimo decennio è diventato meta di diverse ondate di immigrazione, «gli studenti hanno bisogno di potersi relazionare con educatori simili a loro». Secondo lo Star Tribune, a fronte di una popolazione scolastica che per oltre il 60 per cento è composta da studenti non bianchi, solo il 16 per cento degli insegnanti di ruolo e il 27 per cento di quelli in prova è composto da insegnanti “non bianchi”. E a causa dei tagli dovuti alla perdita di iscrizioni, e del criterio “dell’anzianità”, cinquanta insegnati di colore perderanno il loro posto questo autunno.
Per sindacato e istituzioni la nuova direttiva è dunque assolutamente giustificata visti i frutti delle precedenti politiche discriminatorie che che hanno evidentemente portato a un numero “sproporzionato” di assunzioni di insegnanti bianchi e a “mancanza di diversità” nell’organico.
Una trovata anticostituzionale
Secondo James Dickey, legale dell’Upper Midwest Law Center (Umlc), l’introduzione di una “componente razziale” in un contratto sindacale viola invece sia la costituzione del Minnesota che quella degli Stati Uniti, «discrimina apertamente gli insegnanti bianchi in base solo al colore della loro pelle e non alla loro anzianità o al merito». Anche il costituzionalista Hans Bader, richiamando 9 casi giudiziari e precedenti sentenze della Corte d’appello (Taxman v. Board of Education of Piscataway), ma anche della Corte Suprema (Wygant v. Jackson Board of Education) trova il provvedimento del tutto incostituzionale: «Nessun distretto scolastico può licenziare insegnanti bianchi per rimediare alla discriminazione sociale contro i neri».
Secondo i giuristi quello della razza non può diventare un criterio per pareggiare i conti, per decidere chi licenziare e nemmeno per promuovere la diversità a spese di altri individui, ma per il sindacato si tratta di una grande idea: «Può diventare un modello nazionale, le scuole di altri stati stanno già cercando di emularci – sostiene Edward Barlow, nel cda della Minneapolis Federation of Teachers -, un enorme passo avanti per conservare il posto degli insegnanti di colore».
Purgare il razzismo tra i banchi
Il provvedimento suona come l’ennesimo tentativo di purga antirazzista condotta tra i banchi dell’America woke. Un anno fa il Board of Education di San Francisco aveva deciso infatti di rinominare 44 istituti, un terzo delle scuole della città. Cioè tutte quelle che prendevano il nome da chiunque sia stato o abbia avuto a che fare con colonizzatori o proprietari di schiavi, colpevoli di abusi verso le donne, i bambini o gli Lgbt, violatori dei diritti umani o dell’ambiente, razzisti, suprematisti bianchi eccetera.
Durante la pandemia, a Evanston, nell’Illinois, il sovrintendente scolastico aveva deciso che solo gli studenti “neri, marroni e Lgbtq” avrebbero potuto accedere in autunno all’istruzione in presenza: agli altri, cioè bianchi, asiatici, cisgender e etero, sarebbe stato negato l’accesso ai campus e impartita didattica a distanza. Sempre in California, ma anche in Oregon e Georgia, la matematica è diventata nelle scuole pubbliche “strumento di giustizia sociale”: troppi i bianchi e gli asiatici ad avere successo in questa materia, ridurre o eliminare i corsi di alto livello per gli studenti più dotati è diventata la soluzione per favorire anche i neri. A New York l’antirazzismo fondato sull’assunto che “bianchezza rima con colpevolezza” ha portato a una vera e propria caccia alle streghe tra i banchi, trascinando le scuole nel caos più completo.
Il nuovo razzismo degli antirazzisti
«Non dovrebbe essere difficile capire che risolvere il vecchio razzismo con un nuovo razzismo produrrà solo più razzismo. La giustizia non può mai essere ottenuta cambiando le carte in tavola», scriveva Bret Stephens sul New York Times commentando tre casi: quello del sindaco di Chicago, Lori Lightfoot, nera e lesbica che concede interviste soltanto a “giornalisti Poc”, cioè di colore, per ristabilire “l’equità” in una sala stampa dominata da giornalisti bianchi; della Stanford University che obbliga i dipendenti a partecipare a “gruppi di affinità” distinti e basati sulla razza per riflettere sui propri pregiudizi culturali; quello dell’amministrazione Biden che nell’ambito dell’American Rescue Plan stanzia fondi per aiutare solo agricoltori neri, indiani, ispanici o asiatici.
Tre casi di “equità” in salsa woke: «Il nuovo razzismo verso i bianchi nel nome dell’antirazzismo, la discriminazione nel nome dell’equità e i favoritismi nel nome della pari competizione, è degno di Orwell». Al momento sembra che nessun bianco entusiasta dell’accordo sindacale si sia offerto volontario per finire tra i primi licenziati alle scuole pubbliche di Minneapolis.
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