Ha vinto le primarie, ora deve convincere i democratici dif identi. Tra i
nodi da sciogliere, lo scandalo delle mail e i potenziali conflitti di
interesse: tra i finanziatori della sua Fondazione ci sono il reame
dell'Arabia Saudita, i colossi di Wall Street, i petrolieri e Big Pharma
di PAOLO G. BRERA
08 giugno 2016
Ora che ha raccolto con le primarie la fiducia
dei democratici, che l'hanno scelta come
candidata alla presidenza, a Hillary Clinton
non resta che il problema dei problemi:
convincere gli elettori veri gli americani
della porta accanto ai quali spetta il compito
indiretto (tramite i grandi elettori che
voteranno a novembre) di nominare
l'inquilino della Casa Bianca che affidarle il
voto non darà le chiavi dello studio ovale agli
interessi degli scomodi, potentissimi donatori
della sua Fondazione, della sua famiglia e
della sua campagna elettorale.
La lista dei finanziatori. La lista è lunga e impressionante: dall'Arabia Saudita alla
Monsanto, dai giganti della finanza come Barclays e Goldman Sachs al Qatar, dalla Coca
Cola al sultanato dell'Oman, da Exxonmobil a Pfizer, senza contare le centinaia di migliaia
di dollari raccolte dall'ex presidente Bill Clinton come oratore da una banca russa vicina al
Cremlino mentre l'allora segretario di Stato Hillary Clinton trattava e sponsorizzava
l'accordo sull'uranio con la Russia. E i nodi al pettine non finiscono qui: resta sempre in
piedi lo scandalo, e l'inchiesta del Fbi, sulla violazione della sicurezza di Stato per aver
utilizzato la sua posta elettronica privata per spedire 2.100 email professionali come
Segretario di Stato, una novantina delle quali classificate come "secret" e "top secret".
Se Donald Trump pesca a mani basse nel voto di protesta, Hillary deve convincere gli
americani di saper tenere a bada i poteri forti che finanziano la sua famiglia, se non vuole
rischiare il tracollo. Un miliardario misogino e razzista può spaventare, ma può fare
breccia sugli indecisi infuriati. E può trarre profitto dal non voto dei democratici diffidenti
che non sopportano più l'establishment, i paperoni e i colossi che influenzano l'economia e la politica nazionale e internazionale.
Scarsa trasparenza. Con assai poca trasparenza, più volte e piuttosto inutilmente
contestatale dai grandi quotidiani nazionali, Hillary e Bill hanno reso pubblico l'elenco dei
finanziatori della Clinton Foundation senza precisare il momento in cui siano stati
effettivamente fatti i versamenti, e raggruppando il lungo elenco per fasce di valore senza
dettagliare l'importo effettivo: in questo modo, per esempio, si sa che ha ricevuto dai
colossi quotati a Wall Street una cifra indefinita tra 11 e 41 milioni di dollari.
La Fondazione, aperta dall'ex presidente Bill e rinominata nel 2013 come "Bill, Hillary &
Chelsea Clinton Foundation", ha uno statuto preciso e vincolato a spendere i quattrini
ricevuti in attività umanitarie in giro per il pianeta. Che un ex presidente raccolga denaro a
fiumi per promuovere la lotta "ai cambiamenti climatici, alla differenti opportunità riservate
a maschi e femmine e alle malattie prevenibili", o per promuovere "la salute globale e la
crescita economica" è lecito e auspicabile; ma per un aspirante presidente in carica
accettare finanziamenti da molti milioni di dollari può indurre il sospetto che sia poi difficile
essere autonomi nelle scelte.
I soldi dei sauditi. Quei molti milioni di dollari contenuti nella forchetta indicata tra un
minimo di 10 e un massimo di 25 ricevuti dal "Reame dell'Arabia Saudita", e il rinforzo di
"15 milioni di dollari" avuti dagli "Amici dell'Arabia Saudita", per esempio, posto anche di
riuscire a spiegare come si concilino con il mandato statutario della Fondazione di
combattere le diverse opportunità tra maschi e femmine, che influenza avranno avuto sulla
politica estera degli Stati Uniti? La scarsa trasparenza della Fondazione non consente di
sapere se, quando sono stati versati, Hillary fosse il Segretario di Stato Usa in carica, ma
certo è stato un ministro degli Esteri molto attivo sullo scenario mediorientale, e l'opacità
alimenta il sospetto.
L'accesso privilegiato dei potenti. Insomma è il momento di fare un passo avanti per
convincere gli americani (e anche il resto del mondo) che l'alternativa democratica al
tycoon populista non siano i poteri forti che appoggiano la campagna elettorale di Hillary
Clinton. Secondo il quotidiano conservatore The Washington Times, versare milioni di
dollari sul conto della Fondazione allora intestata a Bill Clinton garantiva un accesso molto
facilitato alla scrivania di sua moglie, allora segretario di Stato: "Secondo una tranche di
mail rese pubbliche dal Dipartimento di Stato, George Soros era 'impressionato' dal livello
di accesso che gli era dato presso il Segretario di Stato, dicendo che in ogni momento
poteva incontrarla o discutere con lei di politica".
Riforme e conflitto d'interessi. Ma le critiche non arrivano solo da destra: durante un
dibattito, il senatore Bernie Sanders le domandò: “Come potrai riformare davvero Wall
Street mentre spendono milioni e milioni di dollari in contributi alla tua campagna
elettorale... e mentre pagano a peso d'oro gli interventi da oratore?" Buone domande a cui
rispondere davvero, ora, convincendo gli americani indecisi prima di novembre.
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