lunedì 27 giugno 2016

Quando i politici (pro tempore) scrivono la storia

Tratto da:
http://www.aldogiannuli.it/reato-di-negazionismo/
Altri link:
http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2016-06-08/il-negazionismo-e-reato-approvata-camera-legge-223738.shtml?uuid=ADbQNoY&refresh_ce=1


23 Giu 2016    Scritto da Aldo Giannuli.
Sul reato di negazionismo. Storia e giurisprudenza alleate non sono.

Concentrati sul lungo periodo elettorale, abbiamo lasciato indietro alcune notizie importanti, tra le quali, l’iter parlamentare del reato di negazionismo. Molto volentieri dunque vi propongo sulla questione questo articolo dell’amico Elio Catania, promettente studioso e membro dell’Associazione Lapsus. Nei prossimi giorni anche io tornerò ad intervenire sul tema. Buona lettura! A.G.

Diremo cose scomode. Scomode per la retorica ipocrita del politically correct, ma scomode anche per molti nostri amici che, impegnati nell’antifascismo e nella difesa della memoria storica dei crimini nazisti, accettano con troppa superficialità quello che potrebbe apparire un aiuto da parte della legge.
Ci stiamo riferendo al tanto discusso reato penale di negazionismo, approvato alla Camera l’8 giugno scorso e che, nel silenzio generale, si appresta a completare il proprio iter parlamentare al Senato. Chiariamo subito la nostra posizione: noi, antifascisti nel DNA, siamo fermamente contrari alla proposta di legge che punisce la negazione del genocidio ebraico da parte del regime hitleriano e non solo; nel testo infatti leggiamo che la legge condanna con il carcere

“da due a sei anni” la propaganda, l’istigazione o l’incitamento commessi in modo che derivi concreto pericolo di diffusione, quando gli stessi sono fondati “in tutto o in parte sulla negazione della Shoah, o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra.” Specifichiamo, per completezza, che per quanto riguarda ciò che è da considerare crimine di guerra, contro l’umanità o di genocidio le fonti sono le sentenze emesse dal Tribunale internazionale dell’Aja. (Fonte)

Non crediamo e non abbiamo mai creduto che storia e giurisprudenza possano essere alleate. Abbiamo sempre rifiutato l’istituzione del Tribunale della Storia, che vorrebbe la disciplina finalizzata al giudizio morale circa presunte colpe e crimini. Compito della storia, come ben diceva uno dei padri della rivoluzione storiografica del Novecento, non è giudicare o descrivere, ma spiegare in profondità.[1] E già in questo troviamo una differenza essenziale tra ricerca storica e indagine processuale, che ne rende impossibile la coincidenza. Troppo spesso dietro legislazioni inerenti la memoria storica troviamo di fatto interessi politici, che rispondono a esigenze del momento. Ecco che l’uso pubblico della storia degenera in abuso politico e in ingerenza della politica nella storiografia.

In secondo luogo, è estremamente pericoloso emettere giudizi legali su quelle che sono a tutti gli effetti opinioni storiche, per quanto aberranti e da combattere. L’Italia non è l’unico paese in cui si è sviluppato un dibattito riguardo la legislazione anti negazionista; in molti stati europei sono state approvate leggi che prevedono la condanna penale di affermazioni, pubblicazioni, eventi considerati appunto negazionisti. La Francia, da questo punto di vista, è il paese che ha mostrato la tendenza peggiore: dal 2001 al 2006 sono state prodotte leggi che penalizzano la negazione del genocidio armeno (l. 1/01) e della schiavitù (legge Taubira), considerata dalla legislazione francese un crimine contro l’umanità che non può essere negato. Nello stesso periodo viene approvata anche la legge Mekachera, il 23 febbraio 2005, che però imponeva agli insegnanti di valorizzare il ruolo positivo del colonialismo francese in Africa del Nord e Indocina.[2]

Si possono citare altri esempi: la legge tedesca di recente approvazione sul genocidio armeno; le legislazioni dell’Europa orientale (Ungheria, Repubblica Ceca e Polonia) del 2007/08 riguardo i crimini dei regimi comunisti; la pluridecennale giurisprudenza turca di negazione dell’esistenza storica delle minoranze interne (in particolare i curdi); le leggi spagnole, figlie del pacto del olvido post-franchista, che proibivano di parlare della Guerra civile spagnola e, conseguentemente, colpire i segni del passato regime (toponomastica, monumenti celebrativi, libri di testo); le sanzioni previste in Portogallo e Israele contro la negazione di qualunque genocidio, mentre Scandinavia, Svizzera, Slovacchia, Nuova Zelanda, Lituania, Australia includono anche il cosiddetto riduzionismo tra le opinioni da punire. Il paradosso è che, parallelamente a queste legislazioni, in molti dei paesi citati assistiamo alla tendenza opposta di imporre la rivalutazione storica positiva dei propri crimini passati (con conseguente corollario di penalizzazioni e discriminazioni a quegli storici o ricercatori che non si adeguano agli standard ministeriali), come ad esempio l’Australia. E anche qui in Italia, sebbene più silenziosamente, assistiamo a un fenomeno simile per quanto riguarda la ricostruzione addolcita del colonialismo italiano in Africa orientale.[3]

Di fronte a tutto questo, è secondo noi evidente che la presunta mano tesa dalla politica e dalla Legge alla memoria antifascista e antinazista è un cavallo di Troia che rischia di aprire la strada a orrori storico-legislativi ben peggiori. Non solo: effetti collaterali possono benissimo essere quelli di andare a colpire anche quegli storici sinceramente democratici e laici che, superando il complesso di colpa originario riguardo la Shoah, su cui si è fondata la Comunità europea, hanno affermato ricerca storica alla mano l’impossibilità di riconoscere il genocidio nazista degli ebrei come un unicum: essa, come ha affermato lo storico francese G. Bensoussan, può essere definita come una storia senza precedenti, ma non senza radici. La presunta “classifica degli orrori e dei genocidi” non potrà mai essere fondata su una storiografia degna di questo nome.

Dal punto di vista dello storico, il neofascismo e il suo ridicolo negazionismo si combattono solo in due modi: con il contrasto culturale nelle scuole, fondato su un uso pubblico della Storia capace di insegnare il ragionamento critico fin dalla tenera età; con la capacità di reinventare un nuovo contratto sociale, fondato sulla capacità di riconoscere la falsità storica di qualunque idea di razza e omogeneità etnico-culturale. Termina l’articolo qui.

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