Ballottaggi: una prima analisi dei risultati
Scritto da Aldo Giannuli.
Al momento in cui scriviamo i risultati si può solo abbozzare un giudizio, non essendo ancora disponibili i dati in cifra assoluta. A quanto pare è andata così, in primo luogo l’astensione è cresciuta –come sempre accade nei ballottaggi- e al di là del solito, per cui ha votato solo la metà degli elettori, ma non nelle due città dove era più incerta la sfida, Milano e Torino, e dove la flessione fra primo e secondo turno è stata più contenuta.
Il che è un dato che fa riflettere: se questa è la tendenza nazionale, questo significa la fine della rappresentatività del parlamento, perché una forza che, magari, ha avuto il 20% dei voti al primo turno si aggiudica il 54% dei seggi grazie ad un 1% percento in più in un secondo turno dove, per ipotesi, ha votato il 48% degli elettori e, magari, batte un altro partito che aveva avuto il 38% al primo turno. Vi riesce di immaginare una cosa più disrappresentativa?
E veniamo al dato secco dei comuni: a Milano Sala batte Parisi con il 51,4%, a Torino la Appendino batte seccamente Fassino, a Bologna vince scontatamente Merola, ma con un magro 53,44% ben lontano dalle maggioranze “bulgare” d’altri tempi, maggioranze bulgare che invece premiano la Raggi a Roma e De Magistris a Napoli. Dunque, delle cinque città chiave 2 vanno al Pd, 2 al M5s, 1 alla civica di sinistra e nessuna al centro destra.
Il risultato è molto variegato, come vedremo, ma con una costante: la dura sconfitta del Pd che perde due delle 4 città amministrate per di più con cattivi risultati nel voto popolare e nei confronti delle aspettative:
– a Torino perde il comune (conquistato al primo turno 5 anni fa) nonostante il vantaggio di 11 punti
– Milano è l’unica vittoria che salva la segreteria del partito di Renzi, grazie ai voti di radicali e parte della sinistra, ma con un risultato decisamente misero rispetto ai pronostici che a gennaio gli davano una vittoria secca al primo turno
– A Bologna una vittoria molto amara, solo al secondo turno e con meno voti di quelli ottenuti 5 anni fa al primo turno
– A Roma è il tracollo con una coalizione che al secondo turno supera di poco il 30%
– A Napoli il Pd, come si sa, non è neanche andato al ballottaggio.
Dunque un risultato uniformemente negativo che va decisamente al di là delle situazioni locali, per cui è chiaro che gli italiani non hanno votato sulle città, ma sul governo nazionale, mandando un messaggio preciso che dovrebbe molto allarmare il vertice Pd. Anche se è stata vinta la gara decisiva, Milano, la si è vinta di stretta misura ed è compensata dalla sconfitta non prevista (dal Pd) di Torino. Certamente è troppo presto per parlare di sconfitta definitiva del Pd (lo sarebbe stato se avesse perso anche Milano), ma il risultato fa ben sperare per il referendum di ottobre ed apre oggettivamente la crisi del partito.
Il secondo risultato interessante riguarda il M5s che conferma le aspettative a Roma ma con percentuali molto superiori al previsto ed aggiunge al carniere anche Torino, dove la Appendino rimonta uno svantaggio di ben 11 punti. Ma non si tratta di una vittoria piena perché pesano il 10% di Napoli e Milano ed il 16% di Bologna. Milano non è mai stata una piazza generosa con il M5s, ma il risultato è troppo basso e probabilmente pesa l’assenza di Mattia Calise; a Napoli hanno pesato gli scontri interni nella fase di scelta del candidato. Dunque, forti vittorie concentrate, ma con rovesci locali non trascurabili. Il movimento è in fase montante ma deve ancora assestarsi .
Il centro destra non è ancora uscito dalla crisi che lo devasta, iniziata cinque anni fa, e poi ingrossatasi con la debacle di Forza Italia, mal compensata dai successi della Lega. Ma ci sono segnali che non devono sfuggire e che fanno presagire una possibile rimonta della destra che è andata al ballottaggio a Napoli e Milano e che ci sarebbe andata a Roma se non si fosse divisa. A Milano ha mancato di poco il successo e la singola lista di Forza Italia ha avuto un successo imprevisto. Ancora troppo poco per dire che la destra torna ad essere un soggetto competitivo (soprattutto se dovesse restare divisa) ma abbastanza per dire che questa resurrezione potrebbe esserci. La mancata vittoria di Parisi ridà fiato all’asse del Nord (Toti-Gelmini-Salvini) e che potrebbe trovare un candidato di mediazione. Però un centro destra a trazione leghista ha una scarsa attrattività. Staremo a vedere.
Cattivo il risultato della sinistra (assente in tutti i ballottaggi, salvo il caso particolare di Napoli), non solo perché resta sotto il 5% (con l’eccezione di Bologna) ma anche in termini politici. Infatti, è la sinistra che oggi ha salvato Renzi portando alla vittoria Sala, quel che offre al Pd nazionale il ramo cui aggrapparsi per non affogare. Dunque, la sinistra conferma la sua sostanziale subalternità al Pd, quel che preclude ogni disegno di alternativa ad esso e che pone le premesse per nuove sconfitte. Ma su questo torneremo in una occasione specifica.
Rilevante è l’affermazione di De Magistris che è l’unico pezzo di sinistra ad avere un seguito elettorale di massa, forse è di qui (e da Bologna) che può riprendere quota un progetto di sinistra nazionale.
Nel complesso, come dicevamo nel commento al primo turno, il sistema politico è entrato in una fase di profonda destrutturazione e ristrutturazione a cominciare dal Pd che è il suo attuale asse principale. Sembra essere iniziato un processo di decantazione elettorale, che probabilmente evolverà molto velocemente.
Domani faremo una analisi più meditata ed articolata.
Aldo Giannuli
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