Un voto, almeno per approssimazione, rispecchia chi siamo. E noi siamo cattolici anarcoresurrezionalisti con il pallino per la sussidiarietà, la libertà d’impresa ed educazione, il garantismo. L’appuntamento elettorale è fondamentale poi perché il momento è difficile e, dopo anni in cui ha fatto fortuna chi ha demonizzato la res pubblica pro domo sua (i 5 stelle), finalmente si ridà la parola al “popolo sovrano”.
Questo giornale ha sempre avuto una fissa: l’unità. Sia quella tra i partiti di centrodestra, sia tra chi, in quella coalizione, condivide una serie di criteri e azioni che possono essere di beneficio per tutti. La prima unità è indispensabile perché – pur all’interno di inevitabili differenze – si contrasti una visione dell’uomo ridotto alle sue voglie e desideri, una progettazione della società subalterna allo Stato, una concezione della giustizia, del lavoro, dell’educazione che lascia spazio solo al risentimento, all’assistenzialismo, all’onda mainstream.
Da questo punto di vista, nemmeno i partiti di centrodestra sono perfetti, anzi. Molti errori sono stati fatti, molte castronerie sono state dette, molte promesse svanite. Resta, in ogni caso, ancora oggi, una differenza con la compagine di centrosinistra. Mentre di qui, la linea d’indirizzo che mette la “persona al centro” è in sostanza condivisa o, perlomeno, non ostacolata, di là (dalle parti di Letta & Co) è avversata con una ferocia che non fa prigionieri.
Quindi, per noi, non c’è alternativa al centrodestra. Nemmeno l’operazione da laboratorio del Terzo Polo ci convince. È una simil sinistra, guidata, infatti, da due ex Pd – Carlo Calenda e Matteo Renzi – che ora si sono allontanati dai progressisti solo per motivi tattici e personali, ma con cui, fino a un giorno fa, condividevano il desco e le poltrone. Il loro proclamarsi “centristi” è un bluff utile solo a conquistare seggi da far pesare in un futuro cinico gioco di palazzo.
E veniamo alla seconda questione. Noi abbiamo sempre sostenuto che chi condivide la medesima storia e la medesima visione su alcuni grandi temi ha il dovere di stare nello stesso partito. Fino a qualche anno fa, questo è stato possibile all’interno di Forza Italia, dove Roberto Formigoni, Mario Mauro e Maurizio Lupi hanno condotto insieme molte buone battaglie e ottenuto risultati ragguardevoli in molti campi. Oggi questa unità non è più possibile – per varie ragioni che qui non dettagliamo – ed è un peccato, perché la forma è sempre sostanza e anche dall’unità «vi riconosceranno».
Ciò non toglie che, all’interno del centrodestra, vi siano persone degne di stima e che vale la pena sostenere sia in campagna elettorale sia dopo il voto, chiedendo loro una convergenza in tutti i campi, ma in particolare in tre: libertà di educazione (perché la parità scolastica sia vera parità), famiglia (difesa della vita dal principio alla fine, sostegno a chi ha figli), lavoro (basta mancette e massacro fiscale delle imprese, più politiche attive).
Fedeli al motto secondo cui “bisogna chiamare le cose con il loro nome”, faremo anche i nomi non solo delle cose, ma anche delle persone. Eccoli: Lucia Albano (Fratelli d’Italia), Raffaele Cattaneo (Noi moderati), Maurizio Lupi (Noi moderati), Lorenzo Malagola (Fratelli d’Italia), Antonio Palmieri (Forza Italia).
Oltre a loro, guardiamo con simpatia al terzetto che Giorgia Meloni ha ospitato nelle fila del suo partito (Carlo Nordio, Marcello Pera, Eugenia Roccella), a Maria Rachele Ruiu (Fdi), a Stefania Craxi (Fi) e a Gabriele Toccafondi (Iv), l’unico che nella nostra lista non corre per il centrodestra, ma che stimiamo per l’impegno sul fronte scuola. Toccafondi è per noi l’unica eccezione che conferma la regola.