mercoledì 22 marzo 2023

Intervento. Al Pd dico: riconoscere i diritti dei minori, ma senza automatismi ipocriti




Caro direttore,

alla manifestazione di sabato scorso a Milano, organizzata per sollecitare il riconoscimento di diritti ai figli delle coppie omosessuali, Elly Schlein ha annunciato la volontà di presentare un ddl sul tema. Nel corso del confronto politico entro il partito e i gruppi parlamentari - che certo precederà il deposito della proposta di legge - proverò dunque ad argomentare su alcuni dei punti annunciati, portando queste riflessioni.

La volontà di riconoscere il matrimonio egualitario non trova motivi nell’attesa di vedere riconosciuti diritti e doveri tra i partner, poiché l’istituto dell’unione civile già li regola in modo completo. L’obiettivo, invece (legittimo, sia chiaro, ma discutibile), sono i figli. Con il matrimonio egualitario si otterrebbe l’automatico riconoscimento del minore come figlio di entrambi. Inoltre, - e questo aspetto è stato colto da pochi - si avrebbe l’effetto di parificare le coppie sposate omosessuali a quelle eterosessuali nella possibilità di adottare i figli di terzi. Le due questioni vanno affrontate distintamente.

Anzitutto la questione dell’adozione del figlio di terzi. Oggi la legge 184/83, aggiornata nel corso degli anni, la consente solo a coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni. La proposta che si intende avanzare, se non si è mal compreso, intenderebbe estendere la possibilità di adottare anche alle coppie eterosessuali non sposate, alle coppie sposate (con il matrimonio egualitario) omosessuali e ai single.

Questa ipotesi trova tuttavia un’obiezione stringente nella realtà. Infatti, il numero di coppie valutate idonee all’adozione supera oggi, di gran lunga, il numero di minori dichiarati in stato di adottabilità, al punto che la maggior parte di esse non vedono realizzata la loro aspirazione. In particolare sono di molto diminuite, per varie ragioni, le possibilità di adozioni internazionali. Non si dubita che single o coppie diverse da quelle sposate eterosessuali possano essere buoni genitori, ma è anche ragionevole ritenere che la riconosciuta stabilità di coppia e la complementarietà genitoriale rappresentino sicure condizioni a tutela del minore. Se ci si vuole mettere dalla parte dei bambini e degli adolescenti, si arriva dunque a concludere che non serve oggi estendere la condizione di stato civile dei possibili adottanti.

Quanto invece al figlio del partner dell’unione civile in coppie dello stesso sesso, occorre mettere in fila le questioni. Oggi in Italia la maternità surrogata è considerata un reato, mentre la fecondazione eterologa resta lecita solo per le coppie di sesso diverso, sposate o conviventi con diagnosi di infertilità. Non possono quindi ricorrere alla donazione né donne single, né coppie dello stesso sesso. Poiché queste pratiche vengono tutte realizzate all’estero, aggirando i divieti, occorre anzitutto smuovere l’ipocrisia che vi soggiace, per non arrivare a soluzioni che indirettamente le legittimano. Si pretende infatti talvolta di fare un salto logico, arrivando magari a condannarle ma contemporaneamente ad affermare la giusta tutela dei bambini, quasi che non ci sia un evidente rapporto di causa ed effetto. In altri termini, la registrazione automatica del secondo genitore non biologico finirebbe per “sdoganare” pratiche vietate e, nel caso della maternità surrogata, gravemente offensive della dignità delle donne e dei diritti dei bambini alla loro identità biologica.

Tuttavia, siccome conveniamo nella necessità di dare tutela ai minori senza discriminarli, paiono convincenti gli argomenti della recente sentenza della Corte di Cassazione e l’opinione di autorevoli giuristi, che suggeriscono di legiferare nel senso di consentire l’adozione del figlio del partner, purché essa passi attraverso una preventiva valutazione di idoneità, caso per caso, da parte del giudice minorile e senza automatismi. Se si vogliono davvero ottenere avanzamenti, si tratterebbe quindi solo di definire meglio per legge le relative procedure, di modo da renderle più chiare e veloci. A meno che non si preferisca fare una battaglia velleitaria, come già successo in altre occasioni e visti i numeri in Parlamento.

Stefano Lepri è componente della direzione nazionale del Partito democratico ed ex deputato


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