domenica 1 aprile 2007
Amnistia ai terroristi
Posto un articolo trovato nel blog di Nando Dalla Chiesa, col ricordo dell'irruzione di terroristi delle BR nella sezione della Democrazia Cristiana “Luigi Perazzoli” di via Mottarone in Milano.
Era la sezione della Democrazia Cristiana della mia zona, quella che frequentavano gli amici poco più grandi di me.
Il commando delle brigate rosse ferì Antonio Josa (fondatore del circolo culturale "Perini"), l'on. Nadir Tedeschi , il segretario di sezione Eros Robbiani e il corrispondente de “Il Popolo” Emilio De Buono.
I fatti accadevano il 1 aprile 1980.
Se oggi possiamo ancora trovarci all'interno di sedi di partito, e discutere magari di "candidature", dobbiamo ricordarci di ciò che accadde allora.
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1 commento:
Quella sera che i terroristi
Inviato da Nando dalla Chiesa
Sunday 01 April 2007
Torna il dibattito sul terrorismo. Con l'ennesima proposta di amnistia e la discussione sulla trattativa nel caso Moro. Ho ricevuto una testimonianza su quei tempi. L'ha scritta Antonio Josa, che fu gambizzato insieme ad altre tre persone in una sezione della Dc. Josa è noto a Milano per avere dato vita al circolo culturale "Perini", la più importante esperienza di impegno culturale in periferia (Quarto Oggiaro), che espresse il bisogno di integrazione dell'immigrazione meridionale nel dopoguerra. Per decenni il Perini ha chiamato a parlare nei lembi estremi della città scrittori e politici, filosofi e uomini di chiesa, da Calvino al cardinale Martini. La testimonianza di Josa avrà per i blogghisti un significato diverso a seconda delle singole sensibilità. Io la trascrivo perché sento il dovere di farlo.
Il racconto dell’attentato
Il 1 aprile 1980 mi recai nella sezione della Democrazia Cristiana “Luigi Perazzoli” in via Mottarone in Milano. L’on. Nadir Tedeschi teneva, infatti, una relazione sui risultati del Congresso nazionale del partito, ove uscì sconfitta la linea “Moro-Zaccagnini” sulla politica di “Solidarietà nazionale” e vinse la linea di maggioranza con “il preambolo anticomunista” di Donat-Cattin e dei dorotei.
Ad un tratto, verso le 21.30, irruppe nella sede un nucleo di quattro terroristi delle brigate rosse colonna “Walter Alasia”. Gli intrusi terroristi, imbavagliati e incappucciati, impugnavano pistole con in canna il silenziatore e costrinsero i presenti ad alzare le mani e a non reagire per evitare una carneficina.
Il commando delle brigate rosse era guidato dalla capo colonna “Paqua Aurora Betti”, succeduta a Mario Moretti, arrestato per il sequestro e l’uccisione di Aldo Moro.
In quella tragica situazione i presenti furono accusati di essere complici della morte di quattro terroristi, uccisi il 28 marzo, nel covo di via Fracchia a Genova dai carabinieri e quindi rivendicarono la loro azione come giusta rappresaglia contro un covo della DC.
Iniziarono a perquisirci e ci “espropriarono” di tutto ciò che avevamo, compresi i documenti, il portafoglio e le chiavi di casa e della macchina. Eravamo tutti immobili, con le braccia alzate: prigionieri delle br, sotto il loro tiro di pistole e insultati con slogan tipo“quando il popolo è armato per voi è finita”.
Nel frattempo una donna presente, iscritta alla sezione, ebbe un malore e i brigatisti impedirono di darle un bicchiere d’acqua da bere. Il terrorista, che si faceva chiamare Silvio, mi disse “anche tu bella faccia sei qui!” E mi svuotò le tasche di ogni cosa.
Dopo un quarto d’ora di minacce e di sequestro, i brigatisti scelsero, tra i presenti, quattro persone.
Era come se ci conoscessero. Io fui il primo, poi il relatore on. Nadir Tedeschi , il segretario di sezione Eros Robbiani e il corrispondente de “Il Popolo” Emilio De Buono.
La scelta non fu casuale. Mentre il gruppo dei presenti fu obbligato a reggere uno striscione inneggiante alle brigate rosse e fotografati, noi prescelti fummo sospinti, con le mani alzate, a raggiungere il fondo della sala e ci intimarono d’inginocchiarci.
Nessuno di noi lo fece. Pensai subito ad una esecuzione sommaria, all’appuntamento con la morte.
Al terrorista, che si faceva chiamare “Silvio”, che mi puntava la pistola alla tempia (seppi mesi dopo che era Roberto Adamoli) implorai: “non spararmi, ho moglie e figli!”
Lui, sprezzante, replicò “inginocchiati stronzo!” Ero terrorizzato, volevo morire in piedi!
Ad un tratto il capo dei brigatisti diede un segnale e i quattro terroristi, mirando per fortuna alle gambe, spararono simultaneamente al grido: “Questo è ciò che meritano i servi di Cossiga!” (all’epoca Presidente del Consiglio dei Ministri) e subito scapparono in strada, ove l’attendevano i complici in macchina per fuggire via.
Udii distintamente gli spari della “7.65”ovattati dal silenziatore e crollai in una pozza di sangue, urlando “mamma mia, mamma mia!” Sentii un grande calore agli arti inferiori e un forte giramento di testa, senza però svenire. Cominciai, allora, a gridare agli amici presenti, “ telefonate a mia moglie e pensate ai miei bambini!” ( che avevano 7 e 9 anni). Questa frase ossessiva la gridai sino a quando giunse l’autoambulanza della Croce Rossa per portarmi all’Ospedale Fatebenefratelli.
Per la gravità delle lesioni alle arterie fui trasferito, solo dopo quattro giorni, negli Spedali Civili di Brescia uno dei pochi luoghi in Italia, ove esisteva, all’epoca, una équipe medica di “microchirurgia”, guidata dal prof. Giorgio Brunelli, per la ricostruzione di arterie lese e trapianti di arti maciullati.
Seguirono poi lunghi mesi di degenza e di riabilitazione fra solitudine e dolori fisici.
Rimasero, comunque, le conseguenze invalidanti per tutta la vita e l’inizio dell’inferno quotidiano per le sofferenze fisiche e psicologiche a causa dell’asportazione dei muscoli necrotici alla gamba e dello spappolamento del nervo sciatico e delle lesioni due arterie agli arti inferiori, che furono ricostruite con due distinti interventi di microchirurgia e innesti di bypass.
A distanza di 27 anni dall’attentato non riesco a dimenticare quella maledetta sera e la paura di avere sfiorato la morte. I dolori permanenti di ischemia muscolare, alla gambe e al piede sinistro in plegia, non aiutano a dimenticare.
C’è sempre una fitta nel mio corpo, che mi riporta a fare i conti con quella tragica esperienza.
Rivivo momento per momento quel film, soffermandomi sempre su un particolare diverso. Un gesto. Un volto. Una parola. Un ricordo del lungo calvario di tanti anni di quotidiana sofferenza.
Oggi sono ritornate le brigate rosse e con esse anche i giovani nostalgici della colonna sanguinaria “W. Alasia”. Per ironia della sorte, “Io servo di Cossiga” assisto allibito persino a dibattiti televisivi tra il terrorista Prospero Gallinari e, il suo protettore, l’ex presidente della Repubblica , “l’esternatore e picconatore Kossiga”; rimango sbalordito che Alberto Franceschini, il fondatore con Curcio delle br., sia stato intervistato da Claudio Martelli conduttore di “Studio Aperto” accanto alla lapide che ricorda i 5 carabinieri e poliziotti della scorta dell’on. Moro, massacrati in via Fani; sono ancor più indignato che, all’indomani dell’arresto di Cesare Battisti in Brasile, lo svergognato capogruppo del Parttito Rifondazione Comunista, sen. Giovanni Russo Spena, abbia proposto “un’amnistia per i reati di eversione, per chiudere con gli anni di piombo”.
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