Non possiamo immolarci sull'altare della stabilità
di Federico Geremicca - da La Stampa, 10/11/2013, Tratto da Democratici Davvero
In fondo, la vede meno peggio di quel che si poteva immaginare. Nel senso che chiami Rosy Bindi chiedendole di rompere il lungo silenzio che si è imposta dopo l'elezione alla guida dell'Antimafia, ti aspetti che spari zero contro il Grande Pasticcio del tesseramento Pd e invece la ritrovi preoccupata soprattutto per gli stessi motivi che la preoccupano fin dal giorno della nascita del governo Letta. Non è, ovviamente, che sia disinteressata alle vicende del Congresso, anzi, ma i timori maggiori li riserva ad altro: la direzione di marcia dell'esecutivo, il senso (e la durata) delle larghe intese, certi movimenti al centro che potrebbero partire dopo l'addio a Berlusconi da parte delle cosiddette «colombe». Dice: «Non può sfuggire a nessuno che se dal Pdl si stacca un gruppo filo-governativo, la forza per condurre tale operazione risiederà non nell'ambizione di cambiare il centrodestra quanto l'intero sistema politico. In molti puntano alla destrutturazione del bipolarismo: ed un sistema tripolare, a prescindere dall'exploit di Beppe Grillo, può radicarsi solo per la nascita di una nuova forza centrista. Ecco: io vorrei che il Pd dicesse con chiarezza che non offre sponde politiche ad un simile disegno».
Prima, in verità, il Pd dovrebbe dire ai propri elettori che il Congresso che ha avviato non è né una farsa né un concentrato di irregolarità, non le pare? «E infatti non è così: noi non meritiamo di essere raccontati come una caricatura. Stanno votando centinaia di migliaia di iscritti, i casi inquietanti in realtà sono cinque (Cosenza, Asti, Frosinone, Lecce e Rovigo) e un aumento delle iscrizioni dopo il calo dell'anno scorso è in parte fisiologico, considerata la stagione congressuale».
Tutto a posto, dunque?
Inficiando forse no, ma sporcarlo -cosi da depotenziare la possibile vittoria di Renzi- forse sì. Lei pensa che qualcuno stia praticando un giochetto simile? «Lo escludo totalmente. Le dico, anzi, che i risultati che maturano nei circoli ci fanno pensare a un Congresso vero e competitivo. Ora, però, il problema è far decollare il confronto tra i candidati sui programmi, sul ruolo del Pd, sulla natura del partito perché se c'è una cosa che non possiamo permetterci è un calo di partecipazione alle primarie».
«Non dico questo, ma nessuno dei casi in questione è riconducibile all'elezione del segretario nazionale. E comunque, bloccare il tesseramento è stato giusto: così si impedisce che, dentro o fuori il Pd, si possa dire che si sta inficiando il Congresso».
Ma un calo è dato per scontato... «Non ci si può rassegnare a questo. Abbiamo un mese per discutere del partito e del Paese che vogliamo. Bisogna che i candidati animino un dibattito serio sul futuro, perché sono mesi che siamo appiattiti sulle vicende di Berlusconi e sull'instabilità della stabilità del governo. Per quanto mi riguarda, farò la mia parte».
Ma se ha deciso addirittura di non schierarsi con nessuno dei candidati in campo!
Lei intende le critiche di Fioroni -e non solo- per l'affermazione di Epifani circa il fatto che «il Pd ha le sue radici nel Pse»? «L'esperienza del Pd non si identifica con quella del Pse. Noi siamo certo nella metà del campo progressista, ma con l'intento di superare le tradizionali famiglie politiche europee. Non dobbiamo ridurre le nostre ambizioni e il nostro progetto. Ci sono tante forze progressiste nel mondo -dagli Stati Uniti al Giappone- che non si identificano nel socialismo. Dunque, ospitiamo pure il Congresso Pse a Roma: ma con la forza di chi sente di poter chiedere a quella famiglia politica di cambiare nome e orizzonte».
«Però andrò a votare, e il documento che abbiamo proposto al dibattito del partito mi pare meriti attenzione. In quel documento diciamo che il Pd sostiene il governo ma non si identifica in esso; che la stabilità è un valore solo se produce risultati, riforme e azioni utili al Paese; e che non siamo disposti a sacrificare l'assetto bipolare del sistema politico italiano sull'altare della stabilità. Insisto: se non si affrontano i problemi, non è un governo di servizio ma un governo di durata... Insomma, ci sono molte cose da definire. Pensi a questa vicenda del Pse...».
Lei intende le critiche di Fioroni -e non solo- per l'affermazione di Epifani circa il fatto che «il Pd ha le sue radici nel Pse»? «L'esperienza del Pd non si identifica con quella del Pse. Noi siamo certo nella metà del campo progressista, ma con l'intento di superare le tradizionali famiglie politiche europee. Non dobbiamo ridurre le nostre ambizioni e il nostro progetto. Ci sono tante forze progressiste nel mondo -dagli Stati Uniti al Giappone- che non si identificano nel socialismo. Dunque, ospitiamo pure il Congresso Pse a Roma: ma con la forza di chi sente di poter chiedere a quella famiglia politica di cambiare nome e orizzonte».
Lei dice «il Pd di Renzi» così come una volta si diceva l'Ulivo di Prodi... Che effetto le ha fatto apprendere che il Professore non voterà alle primarie? «Non mi ha meravigliato. E se vuole che gliela dica tutta, credo che dopo la vicenda dei 101 "franchi tiratori" Romano sia autorizzato a fare qualunque scelta. Provo una grande amarezza, naturalmente: ma anche per il fatto che su quell'inaccettabile episodio non vi sia stata un'analisi seria, un'autocritica ed un'assunzione di responsabilità».
Un'ultima cosa: sulla Commissione Antimafia. È sempre ai ferri corti con il Pdl?
«Mercoledì riuniremo l'ufficio di presidenza. Aspetto ancora la nomina del capogruppo del Popolo della Libertà in commissione e poiché motto tempo è passato, sento di dover rivolgere loro un appello: di fronte alla magistratura ed alle forze dell'ordine che continuano la loro lotta alla mafia, di fronte all'impegno di "Libera" e delle altre associazioni, dei parenti delle vittime e di operatori economici che non si arrendono, la politica non può restare indietro e mostrarsi inadempiente. È una responsabilità che dobbiamo sentire tutti, ed è per questo che attendo fiduciosa».
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