PROBLEMI DEL WELFARE
L’app che «spia» la salute dei dipendenti
Molte aziende forniscono l’applicazione come benefit. Ma i dati sono poi usati per il taglio dei costi. Un esempio? Mettiamo che il 36% delle dipendenti sia a «rischio» gravidanza, possibile che per un po’ l’impresa non assuma altre donne in età fertile
di Costanza Rizzacasa d’Orsogna
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Qualche anno fa, negli Stati Uniti, aveva scatenato indignazione la notizia che il retailer Target monitorasse gli acquisti delle proprie clienti per capire quali fossero incinte. Addirittura, in un’occasione, un negozio aveva scoperto la data di nascita del futuro bebè prima ancora che la donna annunciasse al marito di aspettarlo.
È niente in confronto a ciò che accade oggi. Un report del Wall Street Journal pubblicato nei giorni scorsi denuncia come, nel tentativo di tagliare i costi, sempre più aziende americane si affidino ai big data per scoprire o anticipare i problemi di salute dei propri dipendenti. Diabete, cancro, malattie cardiovascolari: tutto ciò che possa ripercuotersi sul loro rendimento, gravidanze incluse, va da sé. Che succederebbe se la vostra azienda venisse a sapere della patologia di cui soffrite prima che aveste deciso se e come informarla, addirittura prima che voi stessi ne foste al corrente? E sulla base di queste informazioni poi vi licenziasse, o vi negasse quella promozione?
Un rischio reale, grazie alle società di analisi dei dati sanitari, che vagliano informazioni sensibili come ricette del medico, farmaci acquistati, reclami alle compagne assicurative e ricerche su Internet. Per capire ad esempio se una dipendente stia cercando di concepire un figlio, le società scandaglieranno i dati sui contraccettivi usati, scoprendo quando ha smesso di prendere la pillola o usare la spirale. E confrontando poi l’informazione con l’età della lavoratrice e quella di suoi eventuali altri bambini, calcolerebbero le probabilità di una gravidanza.
Una di queste società è Castlight Health. Che tra i propri clienti vanta giganti come Walmart e Time Warner. Sotto mentite spoglie di un’app di servizi sanitari che il datore di lavoro offre ai dipendenti, come la possibilità di reperire uno specialista, monitorare spese mediche o effettuare ricerche specifiche, e complici i caratteri minuscoli di clausole contrattuali, Castlight raccoglie le informazioni sanitarie di questi ultimi. Così, se scoprisse che sei a rischio di diabete, può consigliarti di consultare un medico, evitare gli zuccheri, iscriverti in palestra per perdere peso. La dipendente che volesse rimanere incinta o già lo fosse riceverebbe via mail o sms dritte su come scegliere l’ostetrica, o in quale ospedale partorire. Tutto all’apparenza a beneficio del lavoratore. Solo che non lo è. Scaricando l’app, infatti, si dà il consenso a Castlight di condividere le proprie informazioni col datore di lavoro. E anche i dipendenti che non dessero il consenso verrebbero penalizzati, perché l’azienda supporrebbe subito che abbiano qualcosa da nascondere.
«Siamo in grado di prevedere un cancro al fegato, chi può aver bisogno di un intervento alla schiena», osserva al WSJ Jonathan Rende, capo Ricerca e sviluppo di Castlight. Le conseguenze sono ovvie. E poco importa che le società di analisi assicurino di condividere coi datori di lavoro solo dati aggregati sui dipendenti a rischio, e non singoli nomi. Gli esperti di etica e privacy concordano: tanto varrebbe appendere al muro la foto del lavoratore incriminato. Troppo facile intuire chi soffre di cosa, anche in un grande gruppo. E mettiamo che un’azienda venga a sapere che il 36% delle sue dipendenti sia a «rischio» gravidanza. Certamente per un paio di anni non assumerà più altre donne in età fertile.
Ammesso e non concesso, quindi, che l’azienda non arrivi ai nomi, il potenziale discriminatorio è elevatissimo. E tutto questo purtroppo è legale, perché la materia non è ancora regolata e non ci sono leggi che determinino a quali dati queste società possano accedere. Se il rapporto medico-paziente è confidenziale, tutto il resto non lo è.Molte aziende forniscono l’applicazione come benefit. Ma i dati sono poi usati per il taglio dei costi. Un esempio? Mettiamo che il 36% delle dipendenti sia a «rischio» gravidanza, possibile che per un po’ l’impresa non assuma altre donne in età fertile
di Costanza Rizzacasa d’Orsogna