Ignazio Marino è un fiume in piena. E più che togliersi sassolini, sembra voler gettare dei macigni sul Pd, sul governo e sul suo arcinemico Matteo Renzi, che del governo è il capo e del Pd il segretario. «Licenziato dal Papa? No, dal Pd. Alcuni hanno voluto interpretare le sue parole come uno sciogliere i cani contro Marino per potersi liberare di questa figura scomoda nell’amministrazione della Capitale». E ancora: «Orfini? Il presidente del Pd e commissario romano mi ricorda una canzone di Elton John, Empty garden, quando dice che un insetto da solo può rovinare un intero campo di grano». «Se avessi seguito tutti i consigli sul Pd forse mi avrebbero messo in cella di isolamento». E infine un paio di affondi contro Renzi: «Roma era in una situazione drammatica e bisognava sganciarla dalle lobby. Purtroppo questo non è quello che vuole il governo di Renzi: preferisce sedersi ai tavoli con le lobby e decidere lì». «La vicenda degli scontrini? Mi piacerebbe che la stessa trasparenza venisse utilizzata dal capo del governo che, leggo sui giornali, ha speso in un anno come presidente della provincia di Firenze, che è più piccola nella Capitale, 600mila euro in spese di rappresentanza, rapidamente archiviate dalla magistratura contabile».

L’occasione per lo sfogo di Marino, o se si preferisce per la sua versione della vicenda che lo ha riguardato, è la presentazione del suo libro Un marziano a Roma (Feltrinelli). “Marziano” chiamavano all’inizio a Roma il sindaco per sottolineare la sua estraneità alla logica della politica. Marino non è più sindaco, il Pd l’ha “epurato” dopo 28 mesi di governo e ieri è stato il giorno della sua rivincita. Accuse a parte, l’ex sindaco non scioglie ancora la riserva su una sua candidatura («ne parleremo», dice) ma fa chiaramente intendere che in caso, se deciderà, la strada sarà quella della «mobilitazione civica»: «Spero fortemente che ci sia un candidato o una candidata che rappresenti la società civile». Ed è questo l’aspetto della vicenda Marino che più preoccupa Largo del Nazareno, una sua possibile candidatura. Non certo per le possibilità di vittoria ma per l’emorragia di voti a sinistra che potrebbe comportare assieme alla candidatura, per altro ancora non ufficializzata, dell’ex viceministro del governo Letta Stefano Fassina con Sinistra italiana. Anche se il candidato renziano del Pd, Roberto Giachetti (il cui nome Marino finge di non ricordare, chiamandolo una volta Riccardo e un’altra Gianchetti), si mostra sicuro: «Io non temo nessuno e rispetto tutti».
Qualche errore, a modo suo, Marino lo ammette, ma anche qui per dare addosso al Pd: «Sicuramente il fatto che durante la campagna elettorale del 2013, a differenza di come ho sempre fatto nella mia vita, dove ho scelto i collaboratori e la squadra con cui avrei dovuto lavorare, ho delegato interamente al partito la scelta dei candidati del Pd. Alcuni dei quali sono poi stati arrestati». Dallo stato maggiore del Pd prevale la distanza. Il vicesegretario Lorenzo Guerini commenta: «Da Marino oggi solo tanto livore e parole offensive nei confronti del nostro partito». Quanto al presidente del partito Orfini, ridimensiona il caso con la consueta ironia: «Marino? Non faccio il recensore di libri fantasy». Ma certo non basterà far finta di niente se Marino deciderà di scendere in campo, se non altro come “guastatore”.