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la Lettera di enricofarinone
"Ansie dem"
Non so se è questo il tempo per cercare di sviluppare un’analisi ragionata, non da tifosi, delle vicende del Partito democratico. Temo di no ed è il motivo per cui ne sto scrivendo poco in questo periodo nonostante ve ne sarebbero molte occasioni. Sconfiggo allora la mia attuale ritrosia e provo a buttar giù qualche riflessione (ciascuna peraltro necessiterebbe di argomentazione più approfondita di quella che abbozzerò qui).
“Si respira una bella aria di Ulivo”, ha detto Bersani all’apertura della tre giorni umbra della minoranza dem che si oppone a Renzi. Meglio: di una parte della minoranza. “Renzi ha distrutto l’Ulivo”, ha tuonato D’Alema nella sua intervista al Corriere della Sera. Peccato però che il primo a distruggere l’Ulivo fu proprio D’Alema, al seminario di Gargonza quasi vent’anni fa: sostenne il primato dei partiti sulla coalizione e infatti non trascorse molto tempo che il primo governo Prodi cadde. Peccato però che il Pd in versione simil-ulivista (quello veltroniano) venne distrutto sempre da D’Alema – per il tramite dell’AssociazioneRED, la quale organizzò una lotta senza quartiere al primo segretario dem fino a spingerlo alle dimissioni – e poi venne stravolto dal nuovo segretario Bersani col ridurre il partito a triste prolungamento della vecchia “ditta” post-comunista. Peccato che il padre nobile dell’Ulivo, Romano Prodi, sia stato ignominiosamente tradito da 101 parlamentari dem (in realtà, qualcuno di più) che non hanno mai avuto un sussulto di dignità uscendo allo scoperto per motivare il loro squallido comportamento. Chiunque essi siano, a qualunque corrente appartengano, il fatto che essi siano ancora lì, in Parlamento, è un insulto all’Ulivo e alla buona politica.
Dunque, lasciamo stare l’Ulivo, per favore. E’ morto e non so se risorgerà. Personalmente lo spero ma dubito possa accadere. Certo, il Pd di Renzi non è un partito ulivista nel senso tradizionale del termine. Coltiva però la vocazione maggioritaria, che è un chiaro imprinting dem. Qualcuno sostiene che è il prodromo del cosiddetto “Partito della Nazione” ma a questo proposito v’è solo qualche indizio, non prove.
Il problema, semmai, è un altro ed è tutto interno al Parlamento: il Governo Renzi (un governo di maggioranza, non di semi-unità nazionale come erano quelli di Monti e poi di Letta) gode del voto di una serie impressionante di transfughi che nel 2013 avevano chiesto e ottenuto il voto popolare per liste centriste (Scelta Civica, dalla quale sono fuoriusciti parlamentari approdati al Pd, alcuni li si vede spesso in tv a parlare del Pd come se fosse carne della loro carne, incredibile); per le liste leghiste (il gruppetto di Tosi); e soprattutto per il berlusconiano Popolo delle Libertà (i ciellini di Lupi e Formigoni, al potere con Renzi a Roma e al potere con Maroni in Lombardia e i verdiniani, specie umana che basta guardarli in faccia per capire le modalità del loro modo di far politica). Una condizione transeunte, legata cioè agli equilibri dell’attuale Parlamento e certo non entusiasmante che in ogni caso si concluderà al momento del ritorno alle urne. E’ in quel momento che si vedrà davvero se gli incubi della sinistra interna si materializzeranno. Per ora si fa un processo alle intenzioni senza alcuna prova reale. Vero è, però, che se Renzi fosse approdato a Palazzo Chigi dopo elezioni anticipate nel 2014, che avrebbe di certo vinto, invece che in seguito a spostamenti di politicanti professionisti sarebbe stato meglio. Soprattutto per lui e per il Pd.
A ciò si aggiunge il caso-primarie. Al proposito io ho idee molto chiare che esporrò quando il Pd deciderà di discutere nei dettagli l’argomento (e credo che, visti gli esiti, dovrà assolutamente farlo). Per ora mi limito a due rilievi. Il primo è che esse vanno regolamentate per legge. Come sono state fatte adesso generano troppi dubbi, troppi veleni (specie a Sud, ma non solo) che ne inficiano il valore. Le rendono addirittura controproducenti. Chi ama le primarie non può non volere una loro puntuale regolamentazione. Le schede bianche “buttate dentro” a Roma per falsare i numeri della partecipazione, molto scarsa; il mercimonio di Napoli, reiterato dopo episodi simili registratisi nelle due precedenti occasioni non possono essere tollerati da un partito serio e democratico come è e deve essere il Pd. Al di là del sostegno che va ora dato ai candidati che in condizioni molto difficili dovranno affrontare una dura campagna elettorale. Ma anche Milano insegna qualcosa. Qui le primarie sono state fatte bene. Il problema è un altro: a oltre un mese dal loro svolgimento il candidato che le ha vinte fatica ancora ad avere il pieno sostegno di alcuni degli sconfitti e sta dedicando tempo ed energie (tra l’altro non essendovi abituato, e si vede) a soli rapporti interni invece che buttarsi a capofitto nel colloquio con i milanesi. Sta cioè parlando – non per colpa sua – con il solo ceto politico (ovvero l’1 o 2% degli elettori) invece che con la gente comune. Il suo competitor del centro destra, scelto dai vertici, è al contrario da un mese in piena e intensa campagna elettorale. La forza di Sala è EXPO. Al momento non si può proprio dire che sia la vittoria alle primarie.
Perenne critica delle varie sinistre interne; malfunzionamento delle primarie (che sono pur sempre lo strumento che ha consentito a Renzi di scalare il partito); scientifico tentativo della sinistra esterna di costruire alternative elettorali al Pd; oggettiva difficoltà derivante da vicende di malaffare in alcune città prossime al voto amministrativo; impressione, diffusa, di non aver saputo/voluto selezionare un gruppo dirigente di alto livello qualitativo al partito nazionale e di aver lasciato tutto lo spazio ai soliti noti nel partito a livello locale; l’idea che invece di unire ha teso a disunire ulteriormente il partito; la sensazione che la sua narrazione governativa (l’Italia riparte, chi lo nega è un gufo) sia appesantita, ripetitiva, lontana dalla realtà dei fatti; l’accusa di voler occupare tutti gli spazi possibile di potere (ultimo caso, le nomine in RAI). Sono molti gli ostacoli davanti a Matteo Renzi, il quale però, dimostrando la solita abilità tattica, ha scelto lui il paletto decisivo: il referendum sulla riforma costituzionale. Eppure saranno altri i temi che ne sanciranno il risultato: la situazione economica e l’emergenza degli sbarchi dei migranti. E’ di questi che bisognerà parlare, sono questi i problemi che bisognerà risolvere. Non so fino a che punto ve ne sia consapevolezza, nel Pd e fuori dal Pd.
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