mercoledì 23 marzo 2022

Abbiamo visto da vicino la guerra.

Abbiamo visto da vicino la guerra.
Già, noi siamo abituati a non esserci di mezzo perché la guerra solitamente viene combattuta da altre parti, piuttosto distanti da noi, comunque in zone dove i nostri interessi non vengono coinvolti.
Infatti non parliamo mai dei conflitti in Africa, perché ci interessano poco. Salvo poi dopo preoccuparci dei profughi che “ci invadono”.
I conflitti in Asia o America Latina sono per noi problemi locali, distanti e non nostri.
Insomma ci siamo accorti che esiste la guerra perché ci ha toccato direttamente in diversi modi:
Abbiamo visto da vicino la guerra. Già, noi siamo abituati a non esserci di mezzo perché la guerra solitamente viene combattuta da altre parti, piuttosto distanti da noi, comunque in zone dove i nostri interessi non vengono coinvolti. Infatti non parliamo mai dei conflitti in Africa, perché ci interessano poco. Salvo poi dopo preoccuparci dei profughi che “ci invadono”. I conflitti in Asia o America Latina sono per noi problemi locali, distanti e non nostri. Insomma ci siamo accorti che esiste la guerra perché ci ha toccato direttamente in diversi modi: 

C’è pericolo di essere coinvolti e bombardati.
I prezzi sono schizzati in alto.
Arrivano qui tanti profughi. Mi riferisco a ucraini.
Gli altri ci sono già da tempo…
Tutto questo ci sta destabilizzando, cioè sta mettendo in dubbio le nostre certezze culturali, morali, politiche, economiche ed è a rischio il nostro tenore di vita. In una parola: siamo in crisi!
Ma dentro tutto quello che sta accadendo c’è qualcosa di buono per noi?
Subito pensiamo che il “qualcosa di buono” sia sospendere i conflitti e “ritornare alla vita di prima”. Purtroppo neppure la pandemia ci ha insegnato che quando accade qualcosa di forte che tocca l’intera umanità o una parte considerevole, le cose dopo non saranno mai più come prima.
Papa Francesco continua a richiamarci parlando di un “cambiamento di epoca” e non di epoca di cambiamenti. La globalizzazione già ci aveva messi davanti a trasformazioni sotterranee che non abbiamo considerato. Ora i virus e la guerra sono fenomeni globali. Nessuno più può abitare in
una regione neutrale.
Sta cambiando il mondo? No: sta cambiando la storia.
Noi cristiani come possiamo vivere questa nuova storia, questa nuova epoca? 
Ecco il “qualcosa di buono” da imparare e vivere: sta cambiando la storia, ma occorre che ci siano uomini e donne che traghettino da un’epoca della storia all’altra un’umanità vera, uno sguardo sulla persona fatto di amore, di verità, di speranza. 
Il buono per noi è accorgerci del cambiamento e quindi diventarne protagonisti. 
Noi cristiani abbiamo nelle mani una ricchezza straordinaria che ha due caratteristiche.
La prima. 
C’è qualcosa di solido, di stabile a cui appoggiarci che non viene meno: la certezza che Dio si è fatto uomo per amarci (e chi ama condivide fino in fondo le sorti degli altri), è morto sulla Croce per amore, innamorato di noi ed è risorto, vive nella Chiesa e noi siamo quella Chiesa in cui abita e… non ci molla! 
Questa solidità si chiama fede. Da duemila anni attraversa epoche, situazioni, ambiti geografici, scoperte territoriali e scientifiche… Resiste sempre, non si piega, non si spezza; subisce oltraggi, tradimenti, scandali, persecuzioni, divisioni, ma tiene uomini e donne attaccati al suo Contenuto, il Cristo vivo. Lascia segni di bellezza che restano: sono segni fatti da mani umane che si muovono guidate da un cuore carico di fede. E quella fede impregna le pietre, gli affreschi, i dipinti, le musiche, la poesia. Ogni epoca consegna bellezze nuove con lo stesso cuore cristiano. I cristiani sanno cambiare e contemporaneamente affermare la stessa verità: Cristo c’è, è vivo, ci accompagna. 
La seconda caratteristica. 
È la meravigliosa capacità dei cristiani di guardare quello che accade senza scandalizzarsi, ma accogliendo e imparando dagli avvenimenti. Questo porta a cogliere il positivo del cambiamento così da restare fermi, ben piantati nella certezza di Cristo, ma lasciandosi accarezzare e spingere dal vento della novità. Talvolta questo vento diventa impetuoso, tempestoso. Ma i cristiani sanno che sulla barca della Chiesa c’è Cristo, a volte apparentemente addormentato e stanco (magari degli stessi cristiani), ma Lui c’è! 
Un po’ come in questo tempo. Occorre remare insieme, cioè attaccarci alla comunione tra noi per non finire di remare in direzioni diverse. E mentre si tiene duro sul remo della propria vita, guardare Cristo e gridare a lui: “Signore, salvaci”… “abbi pietà di noi”. Così che il Signore possa erigersi sulla tempesta e portarci alla riva diversa della nuova epoca che ci viene donata. 
Questo tempo è una grande occasione per noi cristiani! 
Quando siamo messi alla prova, c’è una chiamata a riscoprire la sorgente di tutto, cioè il nostro essere di Cristo, segnati da lui nel Battesimo e legati tra noi da Uno che è morto in Croce per noi. 
I monaci nel medioevo subivano spesso la distruzione del loro monastero. Ma subito si mettevano insieme e all’opera, lo ricostruivano riprendendo a pregare, studiare, lavorare e accogliere. Hanno fatto l’Europa. 
Il primo parlamento europeo non è quello di Strasburgo. Gli abati (capi dei monasteri) sparsi nei paesi europei occidentali e orientali si riunivano in periodi precisi qua e là nei monasteri del centro Europa e si confrontavano. Non c’erano occidentali e orientali, c’erano monaci, cioè uomini dediti a Cristo e all’uomo che parlavano lingue diverse e si capivano. 
La stessa civiltà europea viene da loro. L’economia progredita viene dalla cultura che hanno creato. Ma una base era ben definita: l’appartenenza a Cristo nella Chiesa. 
Così i piccoli e sparsi monasteri diventavano luoghi che generavano solidità e cambiamento, cioè cultura, lavoro, società. 
Oggi questa vocazione non è compito dei monaci o del clero. Oggi è responsabilità di ogni battezzato. Ma nessuno potrà avere la forza di segnare il pezzo di storia che viviamo da solo. 
Anzi, senza un’appartenenza ad una comunità viva la nostra stessa fede si affievolisce e ci annoia. Questo è il tempo in cui costruire luoghi di comunione concreta, visibile, dove chi cerca possa trovare una presenza viva, interessante, affascinante, ma soprattutto ricca di un’altra Presenza, quella di Cristo stesso. 
La guerra distrugge tutto ciò che è umano, ma noi cristiani siamo pronti a tenere vive nella comunione la preghiera e la carità per conservare e trasmettere l’anima della ricostruzione di una nuova umanità di cui il mondo di oggi ha bisogno. Un’umanità col volto di Cristo, cioè capace di amare ogni uomo. Don Paolo

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