Pubblico un editoriale di Rosy Bindi pubblicato nel sito:
http://www.rosybindi.it
15 Agosto 2007
Che brutti gli anni Ottanta!
Non mi piacciono gli anni Ottanta. Non mi sono mai piaciuti. E il fatto che Enrico Letta prenda energia e visione da quel decennio che considera “straordinario” mi ha molto colpito. Approfitto allora di questa pausa di Ferragosto (che per me dura poco) per proporvi qualche breve riflessione su quel periodo e chiedere la vostra opinione.
Ognuno ha la propria età dell’oro, che in genere coincide con i vent’anni, e Letta non fa eccezione alla regola, ma la nostalgia della giovinezza non dovrebbe mai far da schermo alla realtà. Non dico niente di nuovo se ricordo che quello degli Ottanta fu il decennio del disimpegno sociale, della politica dal respiro corto, dell’arrivismo sfrenato. Un marcia indietro su tutti i fronti che già allora fu chiamata “riflusso”. Forse ci si arrivò per la disillusione che seguì allo slancio collettivo degli anni Settanta e per la ferita inferta dal terrorismo, ma ciò non toglie che, in Italia, gli Ottanta furono anni di individualismo chiuso e difensivo o, come li ha definiti con una bella immagine Giuseppe De Rita, “anni di soggettività senza interiorità”.
Del resto che cosa ci si poteva aspettare dal periodo che si era aperto con la strage alla stazione di Bologna che annichilì il Paese, e con la marcia dei quarantamila quadri Fiat a Torino che pose fine alla grande stagione delle lotte sindacali? Era il 1980 e tutto il decennio si sarebbe snodato tra nuovi martiri del terrorismo e della mafia come Vittorio Bachelet e Pio La Torre, nuove trame come la P2, nuovi misteri irrisolti come quello del Banco Ambrosiano, nuovi blocchi sociali e nuove forme di corruzione. Intanto la politica registrava la fine del progetto moroteo, bloccato dalla follia omicida del terrorismo, e si ritrovava ad autoalimentarsi attraverso quella che Martinazzoli chiamò “la condanna a governare”. Archiviata la possibilità dell’alternanza, si inventarono formule degne dei tempi, come quella della “staffetta”.
Un decennio grigio che si illuminò soltanto delle luci notturne della “Milano da bere” e che vanta l’esordio nella vita pubblica dell’edonismo inteso come valore. Il personaggio dominante fu Bettino Craxi, lo statista che definiva il Parlamento un “parco buoi” e alimentava intorno a sé una politica del disinteresse pubblico e degli affari privati. Non ne fu il solo responsabile, ma certo il campione indiscusso di protervia. A quegli anni dobbiamo anche l’irresistibile ascesa di Silvio Berlusconi che, da imprenditore dell’edilizia iniziò – con la connivenza della politica - a metter piede nella vita pubblica con le sue tv commerciali, facendone specchio e moltiplicatore del costume nazionale. Così se oggi stiamo ancora pagando un debito pubblico che nel 1988 aveva raggiunto la cifra di un milione di miliardi di vecchie lire, se continuiamo a subire una cultura televisiva stupida e volgare che ha straripato nel Paese e nella politica, sappiamo a quali anni lo dobbiamo.
Poi, come dicono gli ex ventenni di allora, forse c’è stata della buona musica pop, la nazionale azzurra ha vinto la coppa del mondo (ma è accaduto di nuovo l’anno scorso) e la moda italiana ha cominciato a conquistare i mercati. Ma è un po’ poco per farci apprezzare gli anni degli Yuppies e della celebrazione del denaro non importa come accumulato, gli anni in cui un buon 740 vale più di una fedina penale pulita, gli anni in cui sfumano i mestieri definiti e molta gente comincia a fare i soldi per mezzo dei soldi.
C’è anche da ricordare che, proprio in quel decennio, nel mondo si muovevano grandi processi di trasformazione e di libertà che avrebbero portato alla caduta del muro di Berlino, alla fine dell’apartheid in Sudafrica e a nuovi equilibri internazionali, mentre si svolgeva lo straordinario pontificato di Giovanni Paolo II. . Un contesto che rende ancora più sconfortante la scelta di un ceto politico che per tutto quel tempo rimase inchiodato al godimento del proprio presente, incapace di immaginare un futuro per i propri figli.
Un’ultima annotazione. Non sarò certo io a difendere le ideologie, ma mi ha incuriosito sentire Letta sostenere che la formazione di chi, come lui, era ragazzo negli anni Ottanta è stata più equilibrata di quella della generazione che ha attraversato gli “ideologici” anni Settanta, perché non “essendoci mai illusi, non abbiamo vissuto la fase della disillusione”. Come dire: non avendo mai sperato, non conosciamo il sogno e il risveglio; non avendo mai immaginato un futuro migliore, ignoriamo la lotta e la sconfitta; non essendoci mai battuti per le nostre idee, abbiamo evitato l’esperienza del conflitto e la pena del fallimento.
Buon Ferragosto a tutti.
venerdì 17 agosto 2007
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