Il presidente del Consiglio pro tempore qualche giorno fa aveva parlato di 7,5 milioni di persone intercettate, basando il suo calcolo sull'ipotesi che ogni telefono venga usato da 50 persone. Ma voi avete mai visto un cellulare condiviso da 50 persone ?
I numeri veri sono invece diversi: ogni intercettato dispone di almeno 5 telefoni (uno o più cellulari personali, telefoni fissi a casa ed in ufficio, telefoni intestati a parenti stretti, più l'abitudine di chi si crede intercettato di cambiare spesso numero telefonico, anche una volta alla settimana ...): per cui gli intercettati sono solo un paio di decine di migliaia.
Ecco un articolo (vedi commenti) che racconta i veri numeri: http://www.repubblica.it/politica/2010/06/17/news/ecco_l_italia_delle_intercettazioni_sotto_ascolto_solo_26mila_persone-4910021/
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3 commenti:
Ecco un articolo che racconta i veri numeri: http://www.repubblica.it/politica/2010/06/17/news/ecco_l_italia_delle_intercettazioni_sotto_ascolto_solo_26mila_persone-4910021/
IL DOSSIER
Ecco l'Italia delle intercettazioni
sotto ascolto solo 26mila personeIl premier: "Siamo tutti spiati". E calcola 7,5 milioni di persone nella rete degli ascolti. Ma i numeri raccontano una verità diversa. Gli addetti ai lavori in rivolta: "Dal governo cifre sballate, più facile vincere al lotto che finire ascoltati"
di PIERO COLAPRICO, (17 giugno 2010)
MILANO - "Il tandem Berlusconi-Alfano sta raccontando del mondo delle intercettazioni un cumulo di menzogne. Purtroppo non possiamo dire esattamente quello che pensiamo con nome e cognome, perché con questi ci dobbiamo lavorare. Aiutateci". La protesta sale ovunque. Ma è soprattutto al Nord, dove hanno sede le principali società specializzate in telefoni e microspie, che si trasecola. Ieri c'è chi è andato su Youtube, chi ha cercato le agenzie stampa, molti sono di centrodestra e non credevano alle loro orecchie nel sentire il premier che, tra gli applausi della Confcommercio, raccontava che 1 "In Italia siamo tutti spiati. vengono fuori sette milioni e mezzo di persone che possono essere ascoltate. Questa non è vera democrazia.".
Meno di 30 mila gli intercettati. I numeri reali smentiscono (pesantemente) la versione di Berlusconi. Il dato ufficiale diffuso dal ministero di Grazia e giustizia indica in 132.384 i "bersagli intercettati". Ma - attenzione - non sono persone e non sono case. Ogni "bersaglio", nel gergo usato da chi le intercettazioni le fa, corrisponde ad un numero di telefono. Dunque, spiega Elio Cattaneo della Sios, una delle società d'intercettazioni più attive, "se si conta che un italiano medio dispone di un telefono cellulare personale, più uno aziendale, più uno fisso a casa,
più parenti stretti eccetera, noi calcoliamo che intercettare una persona vuol dire mettere sotto controllo un numero di 5,3 telefoni/bersaglio. Inoltre, se si intercetta uno straniero o un mafioso che delinque utilizzando anche telefoni esteri, la media bersagli che riguardano uno stesso soggetto sale a dieci, dodici".
Quindi, se si fanno come alle elementari i conti che Silvio Berlusconi e il centrodestra, decisi ad affossare questo strumento d'indagine, non hanno fatto, il risultato è all'opposto dei milioni di "ascoltati". Prendiamo le persone che abitano in Italia: circa 60 milioni. Le dividiamo per i 132.384 bersagli, divisi a loro volta per una media di circa 5 telefoni a bersaglio: il risultato porta (siamo larghi) a circa 27 mila persone intercettate, vale a dire, lo 0,045%, una persona ogni 2.200 abitanti. Secondo l'avvocato e senatore Luigi Li Gotti, gli intercettati sono ancora meno, tra i 20 e i 23mila. "E' più facile vincere al lotto che essere ascoltati", continua l'imprenditore brianzolo Cattaneo.
Dodici euro al giorno. "I costi delle intercettazioni sono altissimi, non ce li possiamo permettere", tuonano sempre dal centrodestra. Invece, tenere sotto controllo oggi il telefono di un narcotrafficante "costa circa 12 euro al giorno di media per telefono, mentre pedinarlo - spiegano gli esperti - significa impiegare almeno sei uomini, mandarli in trasferta, spendere in benzina e alberghi". E dunque, secondo un esperto dell'antimafia, il costo sarebbe di circa 2.500 euro al giorno.
L'intercettatore senza divisa. Un bandito entra nella sua auto, posteggiata nel box blindato.
Esce, incontra un socio e comincia a parlare dei suoi traffici, ma viene intercettato e, prima o poi, sarà catturato. Chi è riuscito a eludere i sistemi d'allarme, aprire l'auto e piazzare la microspia? Un carabiniere, un poliziotto, un finanziere, direbbero molti, "vittime" delle fiction tv. E sarebbe uno sbaglio: a installare la cimice elettronica è quasi sempre un consulente esterno (della Procura e dei detective). E' un ingegnere, un elettricista, un perito, o anche un ex-detective che ha mollato la divisa: è quest'uomo "senza volto" che fa il lavoro difficile, dalla strage di Capaci a quella di via D'Amelio, dal terrorista islamico al faccendiere di partito.
Questa la realtà oggettiva che viene "omissata" dai dibattiti parlamentari e televisivi. In Italia la magistratura e le forze dell'ordine "non" possiedono la tecnologia delle microspie (e nemmeno gli strumenti minimi). E più i software dei computer, dei telefonini, delle trasmissioni radio e delle "memorie" elettroniche diventavano complessi, più la nostra polizia giudiziaria si è affidata ai tecnici esterni: era ritenuto l'unico modo per stare all'avanguardia e fronteggiare un crimine sempre più internazionale e inafferrabile. Ogni Procura, in assenza di leggi, s'è data dei criteri di trasparenza più o meno efficienti e i vari ministri della Giustizia hanno lasciato fare.
Centocinquanta società strutturate. Oggi in Italia, nel settore delle "cimici" elettroniche e delle deviazioni dei flussi telefonici e informatici, esistono quasi 150 società ben strutturate. Le più solide aziende del settore sono "nascoste" tra Milano, Lecco e Como (come Area, Rcs, Sio e Radiotrevisan), più c'è la Innova di Trieste: da sole hanno assunto a tempo indeterminato circa 400 dipendenti e avevano fatturati che superano i 30 milioni. Una cinquantina di società, da due anni, si sono riunite nell'Iliia, con sede a Milano. Se si contano però anche gli ex marescialli che entrano nel settore quando vanno in pensione, o tantissimi sub-appaltatori, si arriva a circa 400 partite Iva. I dipendenti assunti regolarmente in Italia da queste ditte superano quota mille. Se si fermano loro, si fermano le intercettazioni.
E il ministro Alfano non paga il conto. Nel 2006, con l'idea di tenere maggiormente sotto controllo i conti dello Stato, il centrosinistra toglie alle Poste il compito di "fare da banca" allo Stato. Da allora, per farsi pagare le fatture dei lavori svolti, le varie società d'intercettazione devono presentare il conto non più agli uffici postali, ma direttamente a Roma, al ministero di Grazia e giustizia: dov'è nel frattempo arrivato dalla Sicilia Angiolino Alfano, ex segretario di Silvio Berlusconi.
E il ministero che fa? "Fa né più né meno come quei clienti che fuggono dal ristorante dopo aver mangiato: non paga il conto", spiegano dall'interno di queste società. Nell'autunno 2008, ormai strangolati, le aziende d'intercettazione mandano i loro amministratori a Roma: "Non arriviamo alla fine del mese, se non ci pagate chiudiamo, licenziamo, buttiamo a mare indagini delicatissime".
Preso in contropiede, il ministro di un governo che ha basato la sua campagna elettorale perenne sulla sicurezza pubblica, prova a metterci una toppa. E con aria trionfante, (tra lo sconcerto muto e preoccupato di chi lavora nelle intercettazioni) fa un annuncio all'inaugurazione di quest'anno giudiziario: "L'immediata azione del mio dicastero (...) ha fatto sì che i debiti pregressi fossero onorati".
Il conti del ministero i conti della realtà. Onorati è una parola fuori luogo. I debiti nel 2008 erano circa 450 milioni. Nel 2009 - anno in cui Alfano comincia a parlare del tema, dopo aver lasciato incancrenire la situazione - queste società hanno continuato a lavorare, fatturando altri 250 milioni circa di euro, Iva compresa. Sempre nel 2009 le varie procure, con i fondi del ministero, hanno pagato agli intercettatori un acconto sul debito post 2006 di circa 120 milioni. Dopo di che, sempre nel 2009, e sempre con la transazione del ministero di Alfano (che ha imposto uno sconto del dieci per cento e ha semplicemente azzerato gli interessi), sono arrivati alle società altri 100 milioni.
Quindi, ricapitoliamo i conti: 450 milioni di debito sino al 2008, più 250 di debito nel 2009, meno 120, meno ancora 100, porta a un totale di 480 milioni: è ancora questo, al 31 dicembre 2009, il debito Iva compresa che lo Stato ha nei confronti di queste società. Come può dunque il ministro vantarsi di aver "onorato" il debito? Dalla Sios di Cantù, il titolare ieri protestava, amareggiato: "Uno lavora una vita e poi vede la sua inventiva e le sue energie buttate a mare solo perché la politica ha deciso di fare la guerra ai magistrati e così, per colpire loro, calpesta noi e i nostri diritti. Al ministero sanno che se non ci fossero le risorse personali di noi imprenditori, e le banche che ancora ci sostengono, saremmo già chiusi. E così ci sarebbero zero intercettazioni, senza nemmeno il bisogno della legge-bavaglio".
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