Segnalo un articolo di Franco Monaco pubblicato dal "Riformista":
IL PD , ERRORI ED EQUIVOCI NELLE PRIMARIE DI MILANO
Caro Polito,
ci conosciamo da tempo e, sin da quando eravamo colleghi in parlamento, non sempre ci siamo riconosciuti nelle medesime posizioni. Riassumo schematicamente così: a dispetto dei luoghi comuni sulle nostre rispettive matrici (io di formazione cattolica tradizionale, tu uomo di sinistra, laico e liberale), mi considero più di “sinistra” di te. Trovo che la tua idea-concetto di “riformismo” – denominazione e bussola del tuo giornale – si risolva talvolta in un enfasi sulla parola magica “innovazione” a discapito della tensione al cambiamento dei rapporti sociali nel senso, se vuoi tradizionale, di una tensione all’uguaglianza. Per dirla in uno slogan: in un riformismo debole anziché in un riformismo forte, con riguardo al fine (appunto l’uguaglianza) e non solo ai mezzi. Talvolta mi pare di scorgere nel tuo Riformista una sorta di “ossessione” revisionista circa i paradigmi della vecchia sinistra.
Tuttavia, in questo caso, devo dare atto a te e al tuo giornale di avere, pressoché soli, centrato il problema delle primarie di Milano, degli errori e degli equivoci in cui è incappato e tuttora incappa il PD. A cominciare dalla interpretazione di Pisapia quale pericoloso estremista, dal suo presunto appiattimento su Vendola e, diciamo così, sul “vendolismo” (ignorando la sua unicità), per spingersi sino al vostro disvelamento degli equivoci e della strumentalità delle dispute interne al PD apertesi a valle della sua obiettiva, bruciante sconfitta nelle primarie. Che si è andato a cercare.
Una premessa: sono informato sui fatti milanesi. Sono stato il solo dirigente nazionale del PD ad avere messo a verbale, a tempo debito e nella sede propria (la direzione milanese del partito), un aperto energico dissenso circa la inopinata decisione di mettere su la maglietta del partito al candidato Boeri. Spiegando che così 1) si sarebbero snaturate le primarie trasformandole in confronto tra partiti anziché tra candidati di un comune schieramento, 2) si sarebbe esposto il PD all’ennesimo caso Puglia, 3) si sarebbe nuociuto persino al candidato prescelto depotenziandone il positivo carattere civico suscettibile, specie su una piazza come Milano, di estenderne semmai il consenso. Sia chiaro: non mi sento di teorizzare in assoluto che il PD non possa avere un suo candidato, ma, nel caso specifico di Milano, ove, senza merito, per una botta di fortuna e per la generosità di tre eccellenti candidati (dal profilo diverso ma, ecco il punto, tutti perfettamente compatibili con lo statuto ideale e politico del PD), il buon senso avrebbe dovuto suggerire di valorizzare tali risorse-opportunità e di rimettere intera ai cittadini elettori la scelta del migliore. Questo avrebbe dovuto sostenere chi, in un partito a ben intesa vocazione maggioritaria, per davvero crede nelle primarie aperte e competitive. Dice benissimo Cappellini: una vocazione maggioritaria che deve valere verso il centro ma anche verso la sinistra, che sa riconoscersi in Renzi e in Pisapia.
Ora lo ammettono tutti: è stato, quello del PD milanese, un capolavoro di insipienza politica, la certificazione della distanza tra il suo gruppo dirigente locale e non solo la città ma i suoi stessi elettori (si stima che solo un terzo di essi abbia votato Boeri). Di più: si è reso un pessimo servizio alla leadership di Bersani, perché, per quanto il Riformista e più modestamente io ci affanniamo a spiegare che Pisapia non è Vendola e Boeri non è Bersani, si è fornito il destro a molti commentatori di scrivere che Milano prefigurerebbe le primarie per la leadership nazionale del centrosinistra.
A dimostrare gli equivoci e la strumentalità del dibattito interno al PD che ne è seguito stanno tre circostanze. La prima: oggi, con il senno di poi, molti pierini della minoranza interna al PD si improvvisano critici della linea adottata a Milano. Ma non uno solo dei parlamentari e dei dirigenti milanesi del PD che fanno riferimento a Veltroni, Fioroni e persino ai loquaci rottamatori (penso a Civati) aveva dissentito da quella infelice decisione. La seconda circostanza: si imputa al PD uno slittamento a sinistra quando l’opzione per Boeri fu semmai motivata alla rovescia come quella del candidato più moderato e centrista tra i tre in competizione. La terza: ora da quelle parti si sussurra persino l’ipotesi di revocare le primarie per inseguire soluzioni di stampo centrista (magari mollando Pisapia per il tanto evocato Albertini su Milano), ove il PD si ridurrebbe a portatore d’acqua al protagonismo di altri. L’opposto della veltroniana scommessa sulle primarie e su un PD a vocazione maggioritaria.
Tre conclusioni. La prima: si conferma il carattere innaturale della coppia Veltroni- Fioroni. Ove sembra che sia Fioroni a dettare la linea a Veltroni e non viceversa. La seconda conclusione: Bersani fa bene a menare vanto della giovane età dei suoi dirigenti locali, ma utile sarebbe dotarli di una qualche bussola politica. Terza e più importante conclusione: ora siamo impegnati in una distretta politica nazionale in cui sarebbe ingeneroso infierire sulla relativa, necessitata marginalità del PD in una partita i cui attori-protagonisti sono altri, ma appena possibile sarà utile mettere a tema la madre di tutte le questioni: l’identità e la missione del PD dentro la crisi del bipolarismo, il suo impegno a contrastarla o ad avallarla ridefinendo se stesso. Lo strumento delle primarie sta a valle di quel pregiudiziale e decisivo chiarimento.
17 novembre 2010, Franco Monaco
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