sabato 21 luglio 2007

Buccinasco e la pizzeria negli ambienti confiscati alla 'ndrangheta


Non avevo ancora preso posizione su questo tema all'interno del mio blog.
Comincio a farlo copiando la lettera di Salvatore Borsellino nel 15° anniversario della strage del 19 Luglio 1992

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Milano - Strage di Via D'Amelio, parla Salvatore Borsellino con una lettera aperta ai media

19 Luglio 1992 : Una strage di stato

Riceviamo e pubblichiamo la lettera di Salvatore Borsellino relativa al triste anniversario di via D'Amelio a Palermo.



Per anni, dopo l’estate del 1992 sono stato in tante scuole d’Italia a parlare del sogno di Paolo e Giovanni, a parlare di speranza, di volontà di lottare, di quell’alba che vedevo vicina grazie alla rinascita della coscienza civile dopo il loro sacrificio, dopo la lunga notte di stragi senza colpevoli e della interminabile serie di assassini di magistrati, poliziotti e giornalisti indegna di un paese cosiddetto civile.

Poi quell’alba si è rivelata solo un miraggio, la coscienza civile che purtroppo in Italia deve sempre essere svegliata da tragedie come quella di Capaci o di Via D’Amelio, si è di nuovo assopita sotto il peso dell’indifferenza e quella che sembrava essere la volontà di riscatto dello Stato nella lotta alla mafia si è di nuovo spenta, sepolta dalla volontà di normalizzazione e compromesso e contro i giudici, almeno contro quelli onesti e ancora vivi, è iniziata un altro tipo di lotta, non più con il tritolo ma con armi più subdole, come la delegittimazione della stessa funzione del magistrato, e di quelli morti si è cercato da ogni parte di appropriarsene mistificandone il messaggio.

Per anni allora ho sentito crescere in me, giorno per giorno, sentimenti di disillusione, di rabbia e a poco a poco la speranza veniva sostituita dalla sfiducia nello Stato, nelle Istituzioni che non avevano saputo raccogliere il frutto del sacrificio di quegli uomini, e allora ho smesso di parlare ai giovani convinto che non era mio diritto comunicare loro questi sentimenti, soprattutto che non era mio diritto di farlo come fratello di Paolo che, sino all’ultimo momento della sua vita, aveva sempre tenuto accesa dentro di se, e in quelli che gli stavano vicino, la speranza, anzi la certezza, di un domani diverso per la sua Sicilia e per il suo Paese.

Per anni allora non sono neanche più tornato in Sicilia, rifiutandomi di vedere, almeno con gli occhi, l’abisso in cui questa terra era ancora sprofondata, di vedere, almeno con gli occhi, come tutto quello contro cui Paolo aveva lottato, la corruzione, il clientelismo, la contiguità fossero di nuovo imperanti, come nella politica, nel governo della cosa pubblica, fossero riemersi tutti i vecchi personaggi più ambigui, spesso dallo stesso Paolo inquisiti quando ancora in vita, e nuovi personaggi ancora peggiori dato che ormai oggi essere inquisiti sembra conferire un’aureola di persecuzione e quasi costituire un titolo di merito.

Da questa mia apatia, da questo rinchiudermi in una torre d’avorio limitandomi a giudicare ma senza più volere agire, sono stato di recente scosso da un incontro illuminante con Gioacchino Basile, un uomo che ha pagato sempre di persona le sue scelte, che, all’interno dei Cantieri Navali di Palermo e della Fincantrieri, ha sempre condotto, praticamente da solo e avendo contro lo stesso sindacato, quella lotta contro la mafia che sarebbe stata compito degli organismi dello Stato, Stato che invece, secondo le sue circostanziate denunce, intesseva accordi con la mafia trasformando le Partecipazioni Statali in un organismo di partecipazione al finanziamento e al potere della mafia in Sicilia.

I fatti riferiti in queste denunce, di cui Paolo Borsellino si era occupato nei giorni immediatamente precedenti il sua assassinio, sono state oggetto di una “Relazione sull’infiltrazione mafiosa nei Cantieri Navali di Palermo” da parte della Commissione Parlamentare di inchiesta su fenomeno della mafia (relatore On. Mantovano) ma come purtroppo troppo spesso succede in Italia con gli atti delle commissioni parlamentari, non hanno poi avuto sviluppi sul piano parlamentare mentre su quello giudiziario, come sempre succede quando si passa dalle indagini sulla mafia a quello sui livelli “superiori”, hanno subito la consueta sorte dell’archiviazione.

Gioacchino Basile è convinto che l’interesse personale che Paolo gli aveva assicurato nell’approfondimento di questo filone di indagine e l’averne riferito in uno dei suoi incontri a Roma nei giorni immediatamente precedenti la sua morte, sia il motivo principale della “necessità” di eliminarlo con una rapidità definita “anomala” dalla stessa Procura di Caltanissetta e che la sparizione di questo dossier dalla borsa di Paolo sia stata contestuale alla sottrazione dell’ agenda rossa.

Per parte mia io credo che questo possa essere stato soltanto uno dei motivi, all’interno del più ampio filone “mafia-appalti” che lo stesso Paolo aveva fatto intuire fosse il motivo principale dell’eliminazione di Giovanni Falcone insieme alla sua ormai certa nomina a Procuratore Nazionale Antimafia.

Il motivo principale credo invece sia stato quell’accordo di non belligeranza tra lo stato e il potere mafioso che deve essergli stato prospettato nello studio di un ministro negli incontri di Paolo a Roma nei giorni immediatamente precedenti la strage, accordo al quale Paolo deve di sicuro essersi sdegnosamente opposto.

Su questi incontri, che Paolo deve sicuramente aver annotato nella sua agenda scomparsa, pesa un silenzio inquietante e l’epidemia di amnesie che ha colpito dopo la morte di Paolo tutti i presunti partecipanti lo ha fatto diventare l’ultimo, inquietante, segreto di Stato, come inquietanti sono i segreti di Stato e gli “omissis” che riempiono le inchieste su tutte le altre stragi di Stato in Italia.

Ma il vero segreto di Stato, anche se segreto credo non sia più per nessuno, è lo scellerato accordo di mutuo soccorso stabilito negli anni tra lo Stato e la mafia.

A partire da quando i voti assicurati dalla mafia in Sicilia consentivano alla Democrazia Cristiana di governare nel resto dell’Italia anche se questo aveva come conseguenza l’abbandono della Sicilia, così come di tutto il Sud al potere mafioso, la rinuncia al controllo del territorio, l’accettazione della coesistenza, insieme alle tasse dello Stato, delle tasse imposte dalla mafia, il pizzo e il taglieggiamento.

E, conseguenza ancora più grave, la rinunzia, da parte dei giovani del sud, alla speranza di un lavoro se non ottenuto, da pochi, a prezzo di favori e clientelismo e negato, a molti, per il mancato sviluppo dell’industrializzazione rispetto al resto del paese.

A seguire con il “papello” contrattato da Riina con lo Stato con la minaccia di portare la guerra anche nel resto del paese (vedi via dei Georgofili e Via Palestro), contrattazione che è stata a mio avviso la causa principale della necessità di eliminare Paolo Borsellino, e di eliminarlo in fretta.

A seguire, infine, con l'individuazione di nuovi referenti politici dopo che le vicende di tangentopoli aveva fatto piazza pulita di buona parte della precedente classe politica e dei referenti "storici".

Accordi questi che costituiscono la causa del degrado civile di oggi dove si consente che indagati per associazione mafiosa governino la Sicilia e dove, a livello nazionale, cresce, almeno nei sondaggi, il consenso popolare verso chi ha probabilmente adoperato capitali di provenienza mafiosa per creare il proprio impero industriale con annesso partito politico.

Come possono allora chiamarsi “deviati” e non consoni all’essenza stesso di questo Stato quei “Servizi” che, per “silenzio-assenso” del capo del Governo o su sua esplicita richiesta, hanno spiato magistrati ritenuti e definiti “nemici” nei relativi dossier e addirittura convinto altri magistati a spiare quei loro colleghi che, sempre negli stessi dossier, venivano definiti come “nemici”, “comunisti” e “braccio armato” della magistratura, con un linguaggio che non è difficile ritrovare negli articoli di certi giornali e nelle dichiarazioni di certi poltici.

Giaocchino Basile mi dice che sarebbe mio diritto “pretendere” dallo stato di conoscere la verità sull’assassinio di Paolo, ma da “questo” Stato, dal quale ho respinto “l’indennizzo” che pretendeva di offrirmi quale fratello di Paolo, indennizzo che andrebbe semmai offerto a tutti i giovani siciliani e italiani per quello che gli è stato tolto, sono sicuro che non otterrò altro che silenzi.

Gli stessi silenzi, lo stesso “muro di gomma”, che hanno dovuto subire i figli del Generale Dalla Chiesa, i parenti dei morti in quella interminabile serie di stragi, la strage di Portella della Ginestra, la strage di Piazza Fontana, la strage di Piazza della Loggia, la strage del Treno Italicus, la strage di Ustica, la strage di Natale del rapido 904, la strage di Pizzolungo, le stragi di Via dei Georgofili e di Via Palestro, delle quali oggi si conoscono raramente gli esecutori, ma i mandanti e spesso neanche il movente, susseguitesi mentre nel nostro Sud, grazie alla latitanza delle altre istituzioni dello Stato, uno dopo l’atro venivano uccisi tutti i Magistrati e i rappresentanti delle forze dell’ordine che della lotta alla mafia avevano fatto la propria ragione di vita, in una tragica sequenza che non ha eguali in nessuno degli altri paesi del mondo cosiddetto civile.

Io mi chiedo invece, con amarezza , di quante altre stragi, di quanti altri morti avremo ancora bisogno perchè da parte dello Stato ci sia finalmente quella reazione decisa e soprattutto duratura, come finora non è mai stata, che porti alla sconfitta delle criminalità mafiosa e soprattutto dei poteri, sempre meno occulti, ad essa legati, perché venga finalmente rotto quel patto scellerato di non belligeranza che, come disse il giudice Di Lello il 20 Luglio del 1992, pezzi dello Stato hanno da decenni stretto con la mafia e che ha permesso e continua a permettere non solo la passata decennale latitanza di boss famosi come Riina e Provenzano ma la latitanza e l’impunità di decine di “capi mandamento” che sono i veri padroni sia di Palermo che delle altre città della Sicilia.

Da parte mia sono certo che non riuscirò a conoscere la verità in quel poco che mi resta da vivere dato che, a 65 anni, sono solo un sopravvissuto in una famiglia in cui mio padre, il fratello di mio padre, mio fratello, sono tutti morti a 52 anni, i primi per cause natuarali, l’ultimo perché era diventato un corpo estraneo allo Stato le cui Istituzioni egli invece profondamente rispettava (sempre le Istituzioni, non sempre invece quelli che le rappresentavano).

Spero soltanto che, in questo anniversario, mi siano risparmiate la vista e le parole dei tanti ipocriti che oggi piangono su Paolo e Giovanni quando, se fossero ancora in vita, li osteggerebbero accusandoli, nella migiore della ipotesi , di essere dei “professionisti dell’antimafia” o li farebbero addirittura spiare da squallidi personaggi come Pio Pompa come “nemici” o come “braccio armato della magistratura” .

Chiedo solo, in questa occasione, di avere delle risposte ad almeno alcune delle tante domande, dei tanti dubbi che non mi lasciano pace.

Chiedo al Proc. Pietro Giammanco, allonatanato da Palemo dopo l’assassinio di Paolo, ma promosso ad un incarico più alto piuttosto che rimosso come avrebbe meritato, perché non abbia disposto la bonifica e la zona di rimozione per Via D’Amelio.

Eppure nella stessa via, al n.68 era stato da poco scoperto un covo dei Madonia e, a parte il pericolo oggettivo per l’incolumità di Paolo Borsellino, le segnalazioni di pericolo reale che pervenivano i quei giorni erano tali da da far confidare da Paolo a Pippo Tricoli lo stesso 19 Luglio : “e’ arrivato in città il carico di tritolo per me”.

A meno che, come affermato dal Sen. Mancino in un suo intervento del 20 Luglio alla camera, anche lui credesse che “Borsellino non era un frequentatore abituale della casa della madre” : infattivi si recava appena almeno tre volte alla settimana !

La stessa domanda inoltro all’allora prefetto di Palermo Mario Jovine anche se la risposta ritiene di averla già data con l’affermazione fatta in quei giorni: “Nessuno segnalò la pericolosità di Via D’Amelio” .

Affermazione palesemente risibile : in quei giorni si erano susseguite le segnalazioni di possibili attentati a Paolo Borsellino e bastava interrogare gli stessi agenti della scorta, cinque dei quali morti insieme a lui, per sapere quali erano i punti più a rischio.

Chiedo alla Procura di Caltanisseta, e in particolare al gip Giovanbattista Tona, il motivo dell’archiviazione delle indagini relative alla pista del Castello Utveggio : eppure proprio da questo luogo partirono, subito dopo l’attentato, delle telefonate dal cellulare clonato di Borsellino a quello del Dott.Contrada, oggi finalmente condannato in via definitiva dalla Corte di Cassazione per collusione e favoreggiamento.

Chiedo alla stessa Procura di Caltanissetta, e sempre allo stesso gip Giovanbattista Tona, i motivi dell’archiviazione dell’inchiesta relativa ai mandanto occulti delle stragi.

Per un’altra archivazione, quella relativa alle vicissitudini del fascicolo relativo alla Fincantieri ho già inoltrato richiesta di chiarimenti in via ufficiale.

Chiedo alla Procura di Caltanissetta di non archiviare, se non lo ha già fatto, le indagini relative alla sparizione dell’agenda rossa di Paolo e di chiarire il coinvolgimento dei tutte le persone, dei servizi e non, in essa coinvolte.

Chiedo soprattutto al sen. Nicola Mancino, del quale ricordo, negli anni immediatamente successivi al 1992, una sua lacrima spremuta a forza durante una commemorazione di Paolo a Palermo, lacrima che mi fece indignare al punto da alzarmi ed abbandonare la sala, di sforzare la memoria per raccontarci di che cosa si parlò nell’incontro con Paolo nei giorni immediatamente precedenti alla sua morte.

O spiegarci perché, dopo avere telefonato a Paolo per incontrarlo mentre stava interrogando Gaspare Mutolo, a sole 48 ore dalla strage, gli fece invece incontrare il capo della Poliza Dott. Parisi e il Dott. Contrada, incontro dal quale Paolo uscì sconvolto tanto, come racconto lo stesso Mutolo, da tenere in mano due sigarette accese contemporaneamente

Altrimenti, grazie alla sparizione dell’ agenda rossa di Paolo, non saremo mai in grado di saperlo.

E in quel colloquio si trova sicuramente la chiave dalla sua morte e della strage di Via D’Amelio.

Milano, 15 Luglio 2007

Salvatore Borsellino

Testo tratto da:
http://www3.varesenews.it/italia/articolo.php?id=77421

Franco Gatti ha detto...

http://archivio.corriere.it/archiveDocumentServlet.jsp?url=/documenti_globnet/corsera/2007/07/co_7_070711035.xml

(11 luglio, 2007) Corriere della Sera


L' ex primo cittadino dell' Ulivo: un errore politico. Cereda: non accetto lezioni

Pizzeria confiscata alla ' ndrangheta Scontro sulla legalità a Buccinasco
Il sindaco del Polo ritira la delibera che riqualifica il negozio

C' erano panettoni, bottiglie di vino, pietanze. Resto dell' ultima cena di affiliati. Una cena lasciata in sospeso, e lì rimasta fin quando l' Antimafia confiscò la pizzeria e la consegnò al Comune. A Buccinasco, nonostante dicano che non esiste più, che è morta sepolta, la ' ndrangheta c' è. Non si vede. Però parla. Fa parlare. E succede che il nuovo sindaco (centrodestra) Loris Cereda, eletto a maggio, annunci il «ritiro» della delibera che il precedessore Maurizio Carbonera (Ulivo) gli aveva lasciato in eredità. Una delibera per riconvertire la pizzeria, in via Bramante, in luogo di servizio per i disabili. E farne un emblema della lotta alla criminalità nata a inizio anni 80, quando la calabrese Platì si svuotò e s' accalcò a Buccinasco. Dice Cereda, 45 anni, direttore d' una azienda farmaceutica: «Tanto per cominciare, ho qualche perplessità sulla cooperativa che ha vinto la gara per la conversione del locale... E comunque: l' opposizione non deve spiegare a me la legalità». Dell' opposizione Carbonera, 55 anni, è il capo. Ieri pomeriggio, Carbonera era tra i manifestanti - convogliati da centrosinistra, Acli, associazione «Libera» - in via Bramante per chiedere a Cereda di darsi una mossa. Ha parlato, Carbonera. Ed è tornato a parlare coi giornalisti. Nel novembre 2005, disse che era meglio star zitto, la volta prima aveva aperto bocca e l' indomani due tizi avevano fermato il figlio: «Papà s' è per caso stancato di stare al mondo?». E pensare che ne aveva, Carbonera, di cose da raccontare. In breve tempo, gli avevano bruciato due volte l' auto, mandato una busta con tre proiettili, e fatto trovare in un parco una croce, una per lui, più altre due per altrettanti tecnici comunali per far capire al trio che sul piano regolatore c' era da star attenti. In ogni modo: Cereda spiega che, alla fine, è pure una questione di soldi: «Riqualificare la pizzeria mi costerebbe tra i 20 e i 30 mila euro, quando io non ho un soldo per scuole che cadono a pezzi e per i bimbi che le frequentino». In ogni modo, assicura, «ho già in mente delle soluzioni per utilizzare gli spazi di via Bramante e metterli al servizio dei cittadini». Sarà. Il centrosinistra non ci crede: «A due mesi dalla delibera di giunta, regolare ed esecutiva, il Comune non ha ancora fatto niente. I motivi di questo ingiustificabile ritardo sono fumosi». Carbonera: «C' è una priorità, che deve essere e credo sinceramente sia, di destra e sinistra». Cereda: «Ribadisco: nessuna lezione. E niente manifestazioni, presidi, niente pagliacciate: tiro dritto per la mia strada. Tranquillo». Strada. Tranquillo. Buccinasco non ha ormai una strada che non sia tranquilla. Non si spara, non ci si ammazza. C' è controllo. Non unicamente delle forze dell' ordine. Nel ' 99, con l' Antimafia che sulla città picchiava duro nei giudizi («Capitale della ' ndrangheta»), l' allora primo cittadino forzista Luigi Lanati la prese male. S' offese. Invitò: basta con ' ste solite storie. Il superpentito Saverio Morabito, i nascondigli dei rapiti Cesare Casella e Alessandra Sgarella, i bazooka rinvenuti nei campi, le forze dell' ordine all' angolo, lontane dalla prima linea, e quand' anche ci scendevano poteva finire come con la vigilessa Sara Mascitelli, che nel ' 97 era scappata con un pregiudicato. Per amore. * * * La vicenda DELIBERA Il sindaco del Polo Loris Cereda (nella foto) ha annunciato il ritiro della delibera approvata dalla giunta (centrosinistra) che l' ha preceduto alla guida di Buccinasco. Suo predecessore è stato Maurizio Carbonera, oggi a capo dell' opposizione e in passato più volte minacciato e intimidito dalla malavita SEQUESTRO In via Bramante c' è una pizzeria confiscata alla ' ndrangheta dall' Antimafia e consegnata al Comune. Carbonera aveva previsto di mettere gli spazi a disposizione dei disabili. Ma da due mesi si attende che la delibera si concretizzi. Cereda: «Non diano lezioni di legalità a me»

Galli Andrea

Franco Gatti ha detto...

http://archivio.corriere.it/archiveDocumentServlet.jsp?url=/documenti_globnet/corsera/2007/07/co_7_070721031.xml

(21 luglio, 2007) Corriere della Sera


La nuova giunta boccia la «pizzeria sociale». I ricavi andranno a un fondo per i disabili

Buccinasco, un laboratorio artigianale nel negozio confiscato alla ' ndrangheta


Buccinasco non avrà la «pizzeria sociale»: il ristorante in cui si doveva cucinare usando gli ortaggi prodotti sui terreni agricoli sottratti alla mafia nel Meridione. Il locale di via Bramante, confiscato alla ' ndrangheta e acquisito dal Comune nel 2002, diventerà un laboratorio di produzione e vendita di oggetti artigianali, confezionati dal «Gruppo arti e mestieri». I proventi della vendita, finiranno, una volta coperte le spese, in un fondo di solidarietà per i disabili sensoriali: non vedenti e non udenti. L' annuncio lo ha dato, l' altra sera in apertura del consiglio comunale, il sindaco Loris Cereda. La nuova amministrazione di centrodestra non aveva mai nascosto le perplessità sul progetto della pizzeria, che era stato invece approvato il 23 maggio scorso dall' amministrazione precedente, guidata da Maurizio Carbonera. «Intendiamo revocare la delibera e abbiamo già avviato l' iter per farlo», ha esordito Cereda, che ha proseguito definendola «un atto calato dall' alto, senza chiedere il parere ai cittadini e alle associazioni» e un progetto «senza alcuna utilità per la città», affidato «con un bando a cui ha partecipato una sola società, cioè la cooperativa Spazio Aperto e sulle cui procedure nutriamo seri dubbi». Quindi, è arrivata la proposta del laboratorio artigianale (al momento al vaglio insieme ad altre idee, nate da incontri fra il Comune e cinquanta associazioni locali), ma di cui, ha detto il sindaco, «è rimasta entusiasta anche l' assessore provinciale Francesca Corso». Una doccia fredda per l' opposizione, che proprio per accelerare l' esecuzione della vecchia delibera aveva presentato un ordine del giorno urgente. L' amministrazione, però, ha deciso di rinviarlo al prossimo consiglio. In questo documento si chiede anche di istituire una commissione consigliare straordinaria per «valutare il patrimonio edilizio esistente confiscato dallo Stato, identificarne l' utilizzo possibile con relative finalità, e definire criteri e metodi di assegnazione».

Fagnani Giovanna Maria

“Ci ha amati”, l’Enciclica del Papa sul Sacro Cuore di Gesù

Dilexit nos”, quarta Enciclica di Francesco, ripercorre tradizione e attualità del pensiero “sull’amore umano e divino del cuore di Gesù Cri...