lunedì 16 luglio 2007

Partito "Democratico" ?


Diciamo che per sta avendo una pessima gestazione, e sta accumulando difetti genetici prima ancora di nascere...
Partito sessista ? Sì !
Assemblea di oltre 2'000 componenti ? Sì !
Liste bloccate senza preferenze ? Sì !
Candidato unico ? Forse...!

Boh..., forse si vogliono SCIENTEMENTE far scappare gli elettori !

1 commento:

Franco Gatti ha detto...

Pd, assemblea costituente o pubblico plaudente?

Scritto da Paola
Wednesday 11 July 2007
(l'Unità, 11 luglio 2007)

- Fermi tutti. Ripensateci, in nome del cielo (e della democrazia). Ma davvero avete in mente di affibbiare al Partito democratico prossimo venturo un’assemblea costituente di duemila-duemilacinquecento persone? Ma lo sapete quante sono duemilacinquecento persone? Ma avete mai provato a contarle? Sono decine di plotoni. Sono piazza del Pantheon stracolma con la gente aggrappata ai lampioni e alle finestre. Sono cinque volte cinquecento. Volete dimezzare il numero dei parlamentari perché sono troppi a decidere per un intero paese, e poi quadruplicate i numeri della Camera, ottuplicate i numeri del Senato, per decidere per un solo partito? Ma pensateci, santi numi: che assemblea possono mai essere duemilacinquecento individui? Che cosa possono decidere insieme, su un piano di parità come è giusto e doveroso che sia in una vera assemblea costituente? Come possono parlare, farsi sentire, confrontarsi, obiettare, controargomentare, esprimere le proprie competenze, le proprie passioni, le proprie biografie? Ma chi l’ha avuta questa idea perversa? E perché nessuno si oppone, perché tutti la danno per scontata? Ve lo dico io allora (in tutta umiltà, si intende, pronto a inchinarmi davanti a dimostrazione del contrario), ve lo dico io che cosa sono duemilacinquecento persone. Sono il pubblico, non un’assemblea costituente.


Sono il pubblico plaudente; pago, e in fondo perfino orgoglioso, di essere stato ammesso nel ring del grande spettacolo, di avere un pregiato titolo da esibire nei dibattiti e nei salotti locali della politica. Sono la dimostrazione che a dispetto di quel che si dice e si rivendica, siamo tutti berlusconiani, che il Cavaliere che si lascia scappare il “pubblico” al posto dell’”elettorato” o dei “cittadini”, in fondo esprime un senso comune condiviso, annuncia un cambio dei tempi che è di tutti. Dà la cifra anche di quello che vorrebbe essere il partito democratico. Un leader incoronato da duemilacinquecento persone di cui venti, trenta, cento potranno parlare, sette minuti a testa, salva la solita riserva aurea che ha diritto a mezz’ora o cinquanta minuti.

L’ideologia del pubblico travestito da assemblea federale, da organo decisionale, proprio mentre si denunciano le “derive plebiscitarie” della destra. Devo dire la verità. Io più ancora che il candidato unico temo questa assemblea costituente fasulla, che dovrà esprimere il dna del nuovo partito, certificandone sin dall’inizio, se sarà come annunciato, una struttura ferreamente oligarchico-autarchica. Sì, perché dietro il leader, comunque prescelto, non ci sarà un gruppo dirigente vero, votato dagli elettori, dagli iscritti e simpatizzanti nel vagheggiato bagno di democrazia autunnale. Ma ci saranno dieci-quindici capi che faranno parte dei duemilacinquecento; e che si distaccheranno con consumata scioltezza dal pubblico per dettare le loro volontà e ricontrattarle a ogni stormir di fronde della politica quotidiana. Dieci-quindici che assumeranno la guida del partito senza che nessuno li abbia mai indicati come guide. Ma che inventeranno l’ennesimo, arguto meccanismo misto - un po’ di cooptazione, un po’ di investitura unanimistica - che è riuscito a uccidere la passione politica in tanti elettori, perché ciò che nasce nei partiti si riflette inevitabilmente nello svolgimento dei ruoli pubblici e istituzionali e produce, come ha forse prodotto, la più grande crisi di sfiducia nella politica che l’Italia abbia mai sperimentato. La sfiducia, l’alienazione inevitabili quando nei congressi di partito anche il più assiduo dei militanti si ritrova smarrito a chiedere al vicino chi mai siano quel tipo o quella tipa seduti alla presidenza, militi ignoti dell’ultima spartizione a tavolino.


No, amici. Il Partito democratico sarà tale se la sua assemblea costituente (costituente: capisce questa parola?) avrà poteri veri. E sarà davvero rappresentativa del popolo democratico. Ossia se non verrà composta attraverso una pletorica affluenza di pubblico dai singoli “collegi” (sic…), dove le candidature verranno proposte con le solite cautele (i collegi sicuri, e gli sconosciuti ben piazzati a rappresentare questa o quella corrente). Ma se avrà, l’assemblea, queste elementari caratteristiche, che dovrebbero essere assolutamente ovvie per chi abbia una passabile nozione di democrazia. Prima caratteristica: essere costituita da duecento, al massimo trecento persone. Che è la dimensione massima per potere discutere e votare consapevolmente e sul serio, a ritmi veloci e senza rinunciare alla propria professione. La dimensione utile, anche, a formare al suo interno commissioni di lavoro né troppo ampie né troppo striminzite. Seconda caratteristica: essere votata effettivamente in base a criteri di libera competizione, senza le posizioni precostituite che tante volte si è detto di volere rifiutare; posizioni che invece possono essere tranquillamente garantite dai collegi, grazie a una sapiente redistribuzione delle candidature da parte delle nomenclature.

Dunque si voti in un collegio unico nazionale. Ci si candidi con un certo numero di firme di sostegno. E poi i primi duecento (o trecento) più votati formino l’assemblea costituente. La quale finalmente sarà composta da coloro che hanno più seguito, da coloro che parlano di più al Paese. E per questa via l’assemblea contribuirà a ricucire un rapporto di fiducia e di identificazione tra popolo e politica, tra elettori e partito. Altrimenti, grazie al “pubblico” impotente dei duemilacinquecento e ai dosaggi correntizi dei collegi, avremo ancora sulla plancia di comando persone di cui nessuno ha mai misurato l’effettiva capacità di rappresentanza. Signori nessuno che non si sono mai guadagnati i galloni su alcun campo di battaglia. Dirigenti senza cicatrici sulla faccia. Giovani investiti con un tocco di spada da “vecchi” di cui esprimeranno volontà e pensiero. In linea con la legge elettorale. In linea con l’ideologia del pubblico plaudente. In linea con i congressi in cui il militante chiede “chi è?” indicando sbigottito il dirigente alla presidenza. In linea con una società che ha paura del merito e della concorrenza. In linea con una società a cui piacciono le rendite e le eredità. In linea con le caste.

Tratto da http://www.nandodallachiesa.it/public/index.php?option=com_content&task=view&id=648&Itemid=123

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