Meglio, molto meglio (per Renzi) che a scrivere legge elettorale e riforma costituzionale siano degli incompetenti, e vigilare affinché non si facciano influenzare da nessun esperto.
D'altronde, tutto è già stato deciso dalle menti illuminate sua e di Berlusconi. Sara mica possibile che in democrazia possa essere messa in discussione quanto deciso da cotanti statisti!
N.B. Roberto Zaccaria è Professore ordinario di Istituzioni di Diritto pubblico presso l’Università di Firenze
Alcune
considerazioni critiche ed alcuni suggerimenti sulla legge
elettorale
di
Roberto Zaccaria
Premessa.
In
questa audizione che si svolge alla Camera dei deputati durante la
terza lettura della legge elettorale mi limiterò ad alcuni rilievi
che siano compatibili con questa fase del procedimento e che quindi,
anche se accolti, non stravolgano completamente il testo. Dati poi i
tempi ristretti dedicati normalmente agli interventi in questo genere
di riunioni, eviterò di “bilanciare” il mio tempo tra
apprezzamenti e critiche, ma mi limiterò soltanto a queste ultime e
alle soluzioni connesse, per facilitare il lavoro dei commissari.
La
maggior parte dei costituzionalisti prenderanno necessariamente le
mosse dalla sentenza della Corte costituzionale n.1 del 2014 e molti
cercheranno di capire se in questa proposta di legge sia rispettato o
meno il corretto bilanciamento tra il principio di rappresentanza e
tra quello di governabilità che costituisce uno degli assi centrali
di quella fondamentale decisione e nella consapevolezza che la prima
è la regola assoluta e il secondo rappresenta un correttivo che
opera in termini di pura “eccezione”.
Uno
dei nodi centrali che caratterizza questa legge è certamente
costituito dalle modalità di costruzione
del premio di maggioranza
che, anche se supera alcune delle obiezioni fatte dai giudici
costituzionali, è suscettibile di molte altre valutazioni critiche
per la sua struttura che altera il principio maggioritario (vedi per
tutti Onida in sede scientifica, ma anche le incisive considerazioni
di Scalfari, domenica su Repubblica: un premio che non sia attribuito
al 50+1% rappresenta una forte distorsione) e costituisce, con ogni
evidenza, una deformazione del principio di rappresentanza
democratica.
Ragionando
nella traiettoria della sentenza della Corte è difficile non
rilevare che non
c’è alcuna soglia per il secondo turno di ballottaggio
tra le due liste più votate al di sotto del 40%, con la conseguenza
che potrebbe avere il premio di maggioranza una lista, certamente più
votata delle altre, ma che potrebbe aver raggiunto al primo turno una
soglia di molto inferiore al 40%, rendendo così il primo turno una
fase meramente formale. E’ molto dubbio che questa soluzione
corrisponda alle indicazioni della Corte (Così Caretti). Introdurre
un secondo tetto per il secondo turno, in mancanza del raggiungimento
del quale si ripartiscano i seggi con il sistema proporzionale
potrebbe avere un senso reale.
Si
afferma da parte di molti specialisti che un
premio di maggioranza come è concepito da noi non esiste in nessuna
grande democrazia occidentale,
salvo forse la Grecia. Io non
mi soffermerò, in questa sede, neppure su possibili confronti di
diritto comparato con gli Stati che applicherebbero un principio
equivalente (ci sono molti colleghi che ne sanno di più), né
intendo misurarmi con quanti sostengono che presto questo nostro
modello sarà copiosamente esportato all’estero: infatti non ho
alcuna capacità divinatoria.
Sarebbe
anche molto interessante valutare le connessioni
tra riforma costituzionale e legge elettorale.
Anche in questo caso non ho il tempo per farlo, ma vorrei decisamente
collocarmi tra coloro che ritengono che queste connessioni siano
rilevantissime e, a prescindere dalla diversa natura delle fonti,
credo che nessun serio costituzionalista possa sottovalutare le
interrelazioni che vengono a porsi tra questi due atti fondamentali.
Ragionando
sul terreno della forma
di Governo
(e lasciando per un attimo da parte la forma di Stato) è difficile
trascurare il fatto che la riforma costituzionale determina un
fortissimo aumento del peso dell’Esecutivo rispetto al Parlamento
(fiducia, leggi monocamerali, corsia preferenziale, decreti legge,
deleghe, clausola di supremazia ecc) e non è difficile rilevare che
l’intera legge elettorale rafforza un tale assetto proprio
attraverso il grande premio di maggioranza e il peso del leader
vincente nel determinare la composizione del Parlamento.
Non
si dovrebbe trascurare infine, anche se attinente a diversi ambiti
disciplinari, il fatto che il leader in alcuni dei partiti principali
ha un tipo di legittimazione molto forte e che ora anche il settore
mediatico pubblico rischia di essere caratterizzato da una governance
molto accentrata e totalmente nelle mani dell’esecutivo. Sono pochi
quelli che pensano che il peso della televisione sia secondario nella
competizione elettorale.
In
ordine a queste preliminari considerazioni e per le conseguenti
soluzioni contenute nella proposta, non suggerirei formali soluzioni
emendative, se non per quella molto rilevante appena accennata, ma è
indubbio, come è stato osservato, che esse rischino, se mantenute
in vigore e combinate tra loro, di precostituire realmente una sorta
di presidenzialismo di fatto, del tutto privo dei pesi e dei
contrappesi che caratterizzano le moderne democrazie di questo tipo.
Mi
limiterò invece in questo intervento a suggerire quattro ordini di
osservazioni, collegate ad altrettanti principi costituzionali, che
senza toccare la struttura fondamentale del ddl sottoposto al nostro
esame, possano renderlo, a mio giudizio si intende, più conforme ad
un corretto bilanciamento tra rappresentanza e governabilità in una
democrazia parlamentare. Eccole riassunte in schematica successione:
1) Aumentare il numero dei collegi per renderli più piccoli; 2)
Ridurre
il numero dei “nominati”sensibilmente al di sotto del 50% della
rappresentanza globale 3) Adottare un sistema che vieti o
disincentivi le pluricandidature; 4) Consentire gli apparentamenti in
sede di ballottaggio.
1)
Aumentare
il numero dei collegi per renderli più piccoli.
L’attuale legge ne prevede 100 che equivalgono ad una popolazione
tra 400 e 800 mila elettori. Questa dimensione è una novità
assoluta nel nostro paese per eleggere la Camera dei deputati e non
ha alcun serio ancoraggio nella realtà politico sociale del paese,
se non quello del collegamento con i territori delle Province, enti
che l’ordinamento ha mostrato recentemente di voler bandire. E’
molto discutibile che siffatti collegi possano essere considerati
“piccoli”.
La
locuzione “piccoli collegi” è stata introdotta nel dibattito
nazionale in ossequio alle indicazioni della Corte costituzionale
sulla immediatezza e personalità del voto.
La
Corte ha esplicitamente parlato di “circoscrizioni elettorali di
dimensioni territorialmente ridotte, nelle quali il numero dei
candidati da eleggere sia talmente esiguo da garantire l’effettiva
conoscibilità degli stessi e con essa l’effettività della scelta
e la libertà del voto (al pari di quanto accade nel caso dei collegi
uninominali)”
Ora
non sappiamo quali saranno le soluzioni che il Governo vorrà
adottare in sede di delega, ma è certo che con questi parametri sarà
ben difficile rispettare le indicazioni poste dalla Corte. Non
sarebbe neppure un bene che i prossimi 'corpi elettorali' vengano
formati più o meno liberamente o comunque con eccessiva
discrezionalità da parte del futuro legislatore delegato. In che
cosa saranno coerenti quei collegi plurinominali con gli interessi
costituiti nel territorio della circoscrizione? Forse il legislatore
attuale immagina che nel tempo - elezione dopo elezione - quel corpo
elettorale avrà assunto una unitarietà propria: insomma, che gli
interessi da rappresentare in Parlamento finiranno per costituirsi
sul territorio dopo che ne sono stati eletti i rappresentanti.
In
conclusione: questi collegi appaiono decisamente troppo ampi per
poter consentire un’adeguata conoscibilità tra elettori ed eletti
e
con essa l’effettività della scelta e la libertà del voto
collegi.
Correggere il numero di 100 ed aumentare sensibilmente il numero dei
collegi (cosa facile da fare visto che comunque è già prevista una
delega in materia) potrebbe rendere la legge più aderente alle
indicazioni della Corte e, cosa non trascurabile, vista la più
facile conoscenza dei candidati contribuire ad un considerevole
risparmio sulle altrimenti preoccupanti spese elettorali,, dei
candidati.
2)
Ridurre
il numero dei “nominati” al di sotto del 50% dell’Assemblea e
ed individuare una diversa modalità di scelta.
Attualmente l’Italicum
adotta la soluzione secondo la quale i capilista non sono
sottoponibili a preferenze così come avviene per tutti gli altri
candidati. Sulla base di previsioni abbastanza convergenti risulta
che almeno il 55 o 60 per cento dei componenti della Camera, se non
di più, finiranno per l’ essere “scelti dall’alto”.
Di
fronte alla riforma costituzionale che attribuisce alla Camera dei
deputati il peso più significativo, disegnare un’Assemblea
composta nella sua maggioranza da nominati rischia di configgere con
il principio stigmatizzato dalla Corte costituzionale, nella sentenza
n.1 del 2014.
Questo
sistema renderebbe il voto sostanzialmente “indiretto”,
posto che i partiti non possono sostituirsi al corpo elettorale e che
l’art. 67 Cost. presuppone l’esistenza di un mandato conferito
direttamente dagli elettori. Ciò violerebbe – secondo le testuali
parole della Corte - gli artt. 56, primo comma, e 58, primo comma,
Cost., l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 3
del protocollo 1 della CEDU, che riconosce al popolo il diritto alla
“scelta del corpo legislativo”, e l’art. 49 Cost. Inoltre,
sottraendo all’elettore la facoltà di scegliere l’eletto,
farebbero sì che il voto non sia né libero, né personale, in
violazione dell’art. 48, secondo comma, Cost.
I
rischi di incostituzionalità significativamente emergono dalla
lettura della sentenza della Corte Costituzionale n. 203 del 1975
richiamata nell’ultimo pronunciamento della Corte e in cui si
sottolinea, con specifico riferimento ai capolista, che «la piena
libertà dell’elettore sarebbe garantita attraverso il voto di
preferenza», un principio che sarebbe qui intaccato in presenza di
un numero così rilevante di capilista «bloccati» e dunque
automaticamente nominati.
Secondo
aspetto: si passa dalle liste bloccate ai capilista bloccati (100),
con una previsione anche questa di dubbia costituzionalità,
soprattutto se letta insieme alla previsione che consente candidature
multiple (fino a 10). Una volta esercitata la scelta, si avranno
capilista paracadutati in collegi non solo senza essere stati votati,
ma che potrebbero essere del tutto sconosciuti al relativo elettorato
(aspetto di dubbia costituzionalità).
Ma
c’è una terza obiezione che potrebbe pesare molto sul piano
costituzionale ed è quella derivante dal fatto di inserire
sostanzialmente insieme (almeno nelle liste pubblicate, anche se poi
non sarà così nelle schede sottoposte al voto) in un unico contesto
i candidati scelti con le preferenze e “candidati bloccati”.
Ci
sono almeno due profili delicati, uno legato all’art.48 e al
principio del voto eguale e l’altro legato al principio di
ragionevolezza.
Come
escludere che la diversa condizione dei partecipanti alla gara
elettorale non
rischi di inquinare la scelta dei secondi e dei terzi eletti,
attraverso un’infinità modalità di sfumature e magari con
possibile spostamento dei pacchetti di voti del primo “già eletto”
a favore degli altri concorrenti?
Come
non riconoscere che vi
saranno candidati di serie A e di serie B
e come giudicare poi il fatto che il candidato più rappresentativo
in quel collegio plurinominale per quel partito sarà proprio quello
che non si sottopone al voto.
Non
è questo quello che avviene nei collegi uninominali tradizionali
dove i candidati scelti dal partito sono comunque posti al vaglio
degli elettori. Ed è bene, vorrei aggiungere, che i leader politici
si sottopongano anch’essi a questo esame, senza troppi paracadute.
I
candidati destinati a confrontarsi con le preferenze dovrebbero
correre nelle liste dei collegi plurinominali della circoscrizione,
gli altri dovrebbero essere inseriti in appositi “listini”
circoscrizionali (sul modello del Mattarellum o delle legge
elettorale regionale) o, in alternativa, inseriti in liste nazionali.
In
questo modo si recupererebbero le competenze che si vogliono portare
in Parlamento, senza necessariamente dover innalzare alcune
personalità, che potrebbero anche avere uno scarso seguito popolare,
a simboli di quel partito.
Resta
comunque il problema di ridurre il numero dei nominati.
In relazione al consolidamento del testo derivante dalla doppia
lettura mi permetto di suggerire una soluzione emendativa per porre
un tetto in questa direzione. Fermo tutto quanto è scritto per
l'assegnazione dei seggi nei collegi plurinominali, l'emendamento fa
si che
ai candidati capolista sia assegnato soltanto il 20%
(o altra percentuale che si preferisca) dei seggi ottenuti dalla
rispettiva lista. Il resto dei seggi spettanti è assegnato agli
altri candidati secondo la graduatoria decrescente dei rispettivi
voti di preferenza
3)
Adottare
un sistema che vieti le pluricandidature
o le riduca fortemente per evitare che l’eletto possa optare a suo
insindacabile giudizio per altro collegio.
Oggi
la legge dispone che un
candidato possa “essere incluso in liste con il medesimo
contrassegno,
in una o più circoscrizioni,
solo
se capolista
e
fino
ad un massimo di dieci
collegi
plurinominali ».
Anche
se il senso di questa disposizione è diretto a moltiplicare la
visibilità leader di alcuni partiti su tutto il territorio nazionale
o a favorire i leaders dei piccoli partiti, consentendo loro una più
facile elezione.
Anche
se in passato si è fatto largo uso di questo istituto, non è
difficile scorgere in questa disposizione un contrasto con alcuni
principi costituzionali
In
primo luogo con il principio
contenuto nell’art. 48 della Costituzione che parla di voto eguale.
La soluzione contrasta anche con il principio di eguaglianza. Non c’è
dubbio che per effetto di questa disposizione non tutti gli elettori
verrebbero trattati nello stesso modo. Alcuni elettori
parteciperebbero al voto eleggendo direttamente i loro candidati,
altri si vedrebbero totalmente sottratta questa scelta, per effetto
di una decisione esclusivamente rimessa al candidato eletto.
Ma
anche l’art.51 Cost. che pone il principio dell’accesso agli
uffici e quindi anche alle cariche elettive in condizioni di
eguaglianza risulta compromesso. Osservando questa disposizione dal
punto di vista dei candidati, è facile osservare che il principio di
eguaglianza verrebbe stravolto perché alcuni potrebbero accedere
agli uffici pubblici in presenza del raggiungimento di un
determinato numero di preferenze, mentre ad altri la stessa
possibilità sarebbe preclusa per effetto di una scelta totalmente
discrezionale del loro capolista.
4)
Consentire gli apparentamenti in sede di ballottaggio. Oggi
è
esclusa ogni forma di collegamento tra liste o di apparentamento tra
i due turni di votazione.
La
ragione che spiega questa esclusione è collegata al fatto che in
questo modo una lista venendo a patti con altre più piccole per
superare il ballottaggio dovrebbe dividere con queste l’eventuale
premio di maggioranza e rischierebbe di compromettere poi la saldezza
della sua maggioranza.
Questo
è solo un lato del ragionamento. Vi sono infatti altre
considerazioni che possono essere fatte.
La
prima nasce dall’accostamento con il modello francese: anche se le
due realtà appaiono molto distanti, è vero che in quell’ordinamento
l’apparentamento con altri soggetti è del tutto naturale e questo
avviene anche nel nostro ordinamento locale.
La
seconda considerazione nasce dal fatto che questa legge cerca
“coattivamente” di creare un sistema bipartitico, ma questa non è
la realtà del nostro paese. Se dunque questa più articolata è la
realtà del paese, perché non permettere ai soggetti che abbiano
superato la soglia del 3% di coalizzarsi al secondo turno con la
forza maggiore.
Infine
un argomento importante è quello collegato alle considerazioni che
facevamo all’inizio. Visto che si va al ballottaggio con liste o
partiti che potrebbero essere lontani dalla maggioranza assoluta e
visto che al ballottaggio la tradizione di molti paesi ed anche del
nostro porta gli elettori ad allontanarsi dalle urne, esiste
il rischio fondato che la lista vincente possa essere molto lontana
da quella soglia (50%)
che sola legittimerebbe un premio di governabilità. Se allora vi
fosse un secondo tetto per giustificare il premi, questo potrebbe
essere il solo modo per conquistarlo.
Ed
allora adottare un meccanismo che consenta alla competizione del
secondo turno di essere una vera novità e quindi di provocare la
partecipazione degli elettori è questione tutt’altro che
secondaria.
Roma
14 aprile 2015
Emendamento
all’A.C. 3 e abbinati – bis B
All’articolo
2, comma 26, capoverso Art. 84, sostituire le parole
«a partire dal candidato capolista e successivamente in ragione del
numero di preferenze ottenute da ciascun candidato, in ordine
decrescente» con le seguenti:
«A
tal fine, per ciascuna lista alla quale sono stati attribuiti seggi
nella circoscrizione determina il numero di seggi da assegnare
rispettivamente ai candidati capolista e agli altri candidati nei
collegi plurinominali. Per ciascuna di tali liste l’ufficio
determina il numero di seggi corrispondente al venti
per cento,
arrotondato all’unità superiore, del totale dei seggi attribuiti
alla lista nella circoscrizione. A tali seggi proclama eletti i
candidati capolista nel collegio in cui ciascuno di essi è presente,
seguendo in successione l’ordine decrescente del numero di voti
validi ottenuti dalla lista nel rispettivo collegio e sino ad
esaurimento del numero dei seggi prima determinato. Il candidato
presente come capolista in più collegi plurinominali della
circoscrizione è proclamato eletto una sola volta nel collegio tra
questi in cui la rispettiva lista ha ottenuto il maggior numero di
voti validi. Per ciascuna lista cui sono attribuiti seggi, qualora il
numero dei candidati capolista presenti nella circoscrizione sia
inferiore al numero di seggi ad essi spettanti secondo la
determinazione effettuata ai sensi del secondo periodo, ai seggi
residuali sono proclamati i candidati presenti nelle liste dei
collegi plurinominali. Successivamente, nel numero complessivo dei
seggi spettanti a ciascuna lista secondo le determinazioni effettuate
ai sensi dell’articolo 83-bis e detratto per ciascun collegio il
seggio al quale è già proclamato il candidato capolista, proclama
eletti in ciascun collegio gli altri candidati procedendo secondo
l’ordine decrescente del numero di preferenze ottenuto da ciascuno
di essi e sino a concorrenza del numero di seggi complessivamente
spettante alla lista in quel collegio.»
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