domenica 29 giugno 2025

Mine antiuomo, cos'è la Convenzione di Ottawa e cosa significa l'uscita dell'Ucraina



L'Ucraina ha annunciato la sua uscita dal trattato sulla messa al bando delle mine antipersona, anche detto Convenzione di Ottawa, che vieta l'uso, la detenzione, la produzione e il trasferimento di tali ordigni e impone la distruzione degli stock esistenti nonché l'assistenza alle vittime del loro uso. Kiev rottama Ottawa sulla scia di altri Paesi che hanno preso simili decisioni come la Polonia e i Paesi baltici, tra cui Lituania, Estonia e Finlandia.

La storia della Convenzione di Ottawa

La Farnesina ricorda che la convenzione conclusa nel 1997 ed entrata in vigore nel 1999, è stata ratificata inizialmente da 164 Stati, inclusa l'Italia. Tra i membri della Convenzione, però, non figurano sei Paesi significativi: Cina, Federazione Russa, India, Pakistan, Repubblica di Corea e Stati Uniti. L'universalizzazione della partecipazione al Trattato resta, quindi, uno degli obiettivi principali nel quadro della sua attuazione efficace. Attualmente, gravi preoccupazioni sono suscitate dal diffuso ricorso a questi tipi di armi da parte di attori non statuali, che sono anche in grado di produrle in proprio o di ricorrere a ordigni di circostanza noti come ordigni esplosivi improvvisati (Improvised Explosive Devices - Ieds).

Altre aree di lavoro attuali riguardano la distruzione degli stock, la bonifica delle aree minate (e relative richieste di proroga ai termini finali per il raggiungimento di tali obiettivi), le misure di trasparenza e, soprattutto, l'assistenza alle vittime. Distruzione degli stock: la Convenzione impegna gli Stati parte alla distruzione di tutte le mine antipersona in loro possesso o sotto il loro controllo, «al più presto» ma in ogni caso non oltre i quattro anni dall'entrata in vigore del Trattato per lo Stato interessato. L'unica eccezione alle disposizioni sulla distruzione riguarda mine che possono essere tenute ai fini di addestramento relativo a tecniche di rilevamento, bonifica o eliminazione e in numeri comunque minimi necessari a tali fini. A oggi, 157 Stati membri hanno eliminato l'interezza dei loro depositi, che cumulativamente contano oltre 47 milioni di ordigni.

In cosa consiste

Il Trattato impone ai suoi membri l'identificazione delle aree contaminate, la loro segnalazione e delimitazione che garantisca la protezione dei civili finché il processo di bonifica non sia terminato. La bonifica totale deve intervenire entro 10 anni dall'entrata in vigore della Convenzione per lo Stato interessato, salvo richiesta di proroga che, comunque, non può superare un ulteriore periodo di 10 anni. Le disposizioni sull'assistenza alle vittime sono di centrale importanza nella Convenzione di Ottawa e, al tempo della sua negoziazione, rappresentarono una novità nel panorama degli strumenti di disarmo e controllo degli armamenti.

Topastri e cavernicoli. Il sesso chimico secondo Alberto Angela


ed anche




Di Emanuele Boffi
26 Giugno 2025

I bei tempi del Paleolitico quando non c'era il gender gap, la monogamia dell'arvicola delle praterie e le scappatelle estive. Una puntata di "Noos, l'avventura della conoscenza"


Il conduttore televisivo Alberto Angela (Foto Ansa)

Voi non lo sapevate, ma pure l’arvicola delle praterie può diventare un dissoluto Don Giovanni o una scostumata Messalina. Voi non lo sapevate, e nemmeno io (che dell’arvicola ignoravo persino l’esistenza). Si tratta di un topastro americano «geneticamente fedele», che tende a vivere per tutta l’esistenza con lo stesso partner, formando una coppia stabile, con comportamento sessuale monogamo, fatto raro tra i mammiferi. Però, se all’arvicola delle praterie togliete gli ormoni giusti (ossitocina e vasopressina) si trasforma in un farfallone libertino che castiga qualunque altra graziosa arvicolicuzza incontra sui suoi passi. Come si dice, basta che respiri.

Ci sono tante cose dell’amore e del sesso che non sappiamo né io né voi, ma per fortuna Alberto Angela nella prima puntata di “Noos, l’avventura della conoscenza” ce le ha spiegate. E ci ha istruiti grazie a video e interviste, aiutandoci a rispondere a tutto ciò che, woodyallenianamente, avremmo voluto sapere, ma non abbiamo mai avuto il coraggio di chiedere.

Una parentesi sul libero arbitrio

«Amore e sesso. Cosa succede quando ci innamoriamo? E quando tradiamo?», ha chiesto Angela e né io né voi lo sapevamo, ma Angela sì e la risposta è facile. Quando incrociamo lo sguardo di lui o di lei, produciamo dopamina, il neurotrasmettitore del piacere. Dopo produciamo la noradrenalina, diminuiamo la serotonina e, col primo contatto fisico, ci diamo una botta di ossitocina. Se poi la cosa diventa seria, cioè decidiamo di rendere il rapporto stabile, è tutto merito della vasopressina, una sorta di «collante per l’amore duraturo». Ma se il legame si spezza, si ricomincia a produrre dopamina (e così altro giro, altra corsa, come criceti sulla ruota). Ergo, la prima importante risposta alla domanda di Angela è: «L’amore ha i suoi misteri, ma grazie alla scienza possiamo dire che, almeno in parte, è una questione di chimica».


Ora, sia io sia voi, dopo una siffatta spiegazione, l’unico dubbio che dovremmo avere a riguardo dell’amore è su quel pudico inciso («almeno in parte»), motivato dal fatto che, unici tra gli esseri viventi, siamo dotati di «libero arbitrio che ci permette di scegliere». A noi e a voi, questo inciso potrebbe sembrare un fatto di una qualche rilevanza, ma non ad Angela & soci, che infatti gli dedicano lo spazio di una parentesi. Per il resto è tutto un diluvio di spiegazioni su ormoni, neurotrasmettitori, parti del cervello che si illuminano e si spengono. Insomma: una faccenda chimica.

L’estate delle scappatelle

Voi non lo sapevate, e nemmeno io, ma c’è una spiegazione scientifica anche per il tradimento. Quindi, tranquilli, niente più sensi di colpa: è solo un fatto meccanico e l’amore (chimico) è cieco. Lui non è un bastardo e lei non è una stronza: è tutta una questione di quantità di ossitocina e vasopressina. Di più: da un punto di vista evolutivo «i vantaggi biologici dell’essere fedeli sono perfettamente uguali ai vantaggi di essere infedeli». Quindi, sciambola ragazzi, liberi tutti.


Per quanto riguarda il resto, cioè l’aspetto “non chimico” della questione, ci pensa l’esperto invitato in studio, il professor Emanuele Jannini, sessuologo, a diradare i nostri dubbi, spiegandoci che:
a) il maschio per sedurre usa la strategia del “pavone”, se vuole mostrarsi intelligente e aitante, oppure quella del “cervo” o del “leone” se vuole apparire carismatico e imbattibile (maschio alfa);
b) la donna, invece, può essere “pre”, se interessata a qualità “pre-riproduttive” come l’intelligenza e la prestanza fisica; oppure “post” se attenta a qualità come l’affidabilità e la fedeltà;
c) «gli uomini si innamorano con gli occhi e le donne con le orecchie»;
d) «l’estate è la stagione delle scappatelle perché tanto sole significa poca melatonina e poca melatonina significa che il testosterone è più attivo»;
e) «il tradimento è una strategia dell’evoluzione e la monogamia è un’eccezione in natura. Ce la siamo inventata noi perché siamo l’unico animale con l’ovulazione nascosta».

Ritorno al futuro paleolitico

Il punto e), dice Angela, anticipando la domanda su quel che né io né voi sappiamo, merita qualche parola in più. E nel video di approfondimento ci viene spiegato che «la specie umana non è sempre stata monogama e che avere più partner, fin dalla notte dei tempi, era la norma». Infatti, nel paleolitico le persone non avevano fissa dimora, erano cacciatori alla perenne ricerca di cibo e «le differenze tra i sessi erano ridotte. Le donne si dedicavano alla caccia come gli uomini, contribuendo così alla comunità». Voi non lo sapevate, e nemmeno io, ma nel fantastico e progredito paleolitico «le relazioni amorose erano fluide, non così diverse dalle storie amorose di molte coppie moderne». Poi, però, dodicimila anni fa, gli uomini decisero di «fare una scelta che cambiò tutto»: divennero stanziali e iniziò la «rivoluzione del neolitico» con la formazione dei primi villaggi. E tutto questo influì sulla convivenza di maschi e femmine rendendo vantaggiosa la coppia stabile, «un fortino per difendersi dai nemici esterni».

Fu così che nacque «la famiglia come la conosciamo oggi e i ruoli si fecero più rigidi: le donne dovevano occuparsi della casa e della prole, gli uomini si specializzarono nella difesa delle risorse e della proprietà». Erano finiti i bei tempi del paleolitico, quelli senza gender gap; col neolitico «il potere finì nelle mani degli uomini» e ci furono «più disuguaglianze». Tuttavia, né io né voi dobbiamo disperare, perché «guardando i ragazzi e le ragazze di oggi, vediamo qualcosa che somiglia al passato, ma anche qualcosa che sta diventando un futuro diverso».

Un gran progresso

Ora, non so voi, ma a me pare, dopo tutta questa positivistica spiegazione chimica di amore e sesso, di saperne quanto prima.

Nessuno si scandalizza per le scappatelle – nemmeno per quelle invernali quando si produce più melatonina -, ma immaginare una società in cui, distrutta la famiglia, ci si comporti tutti come quegli evoluti dei nostri antenati del paleolitico, non ci pare tutto ‘sto progresso e miglioramento della specie.

Tenetevelo voi un mondo in cui l’unico capace di giurare amore eterno alla propria amata è un topastro che scorrazza nelle praterie americane.






giovedì 26 giugno 2025

Trasporto pubblico peggiorato con l’apertura del capolinea M4, da Buccinasco l’appello: “Collegamenti ridotti, servono risposte”

https://pocketnews.it/trasporto-pubblico-peggiorato-con-lapertura-del-capolinea-m4-da-buccinasco-lappello-collegamenti-ridotti-servono-risposte/

Sollecitata ATM e Milano a dare risposte: “Servizi ridotti, pendolari penalizzati. Siamo pronti a investire risorse nostre”



Nella foto, un bus della linea 351  con la quale qualche mese fa si raggiungerva direttamente la stazione di Romolo


L’apertura della nuova metropolitana M4, con capolinea a San Cristoforo, doveva migliorare la mobilità dell’hinterland ovest milanese. Ma per i cittadini di Corsico e Buccinasco, il risultato è stato l’opposto. Collegamenti tagliati, tempi di percorrenza aumentati e corse meno frequenti stanno creando disagi quotidiani, soprattutto ai pendolari che un tempo utilizzavano la linea 351 per raggiungere direttamente la stazione di Romolo.

 

Doveva essere una svolta per la mobilità invece sin ora si è rivelato essere   un boomerang per gli abitanti della zona. Dopo aver tanto decantato l’arrivo della M4 ai confini del comune (e anche dentro i confini) e aver dato l’ok alle modifiche delle corse e dei percorsi del trasporto pubblico intercomunale, l’amministrazione di Buccinasco, spinto dalle proteste dei residenti, ha fatti una precipitosa inversione a U. Così ha cominciato a tempestare Atm e Comune di Milano di lettere con la richiesta di modifiche. Senza aver ottenuto alcuna risposta.

Ai due enti milanesi non sembrano interessare le proposte per riorganizzare il trasporto pubblico di superficie, peggiorato proprio dopo l’inaugurazione della nuova linea metropolitana. Il cuore del problema riguarda in particolare la linea 351, che un tempo collegava Buccinasco e Corsico  direttamente alla stazione di Romolo, punto nevralgico per i pendolari diretti verso il centro e l’università. Con la nuova M4, il capolinea è stato spostato, ma senza un adeguato rafforzamento delle connessioni, rendendo più complicati e meno frequenti gli spostamenti.

Lo scorso 30 novembre, la lista che sostiene il sindaco, aveva dato vita a una manifestazione organizzata per fare pressioni su Atm in merito al percorso proprio della linea 351 che dopo l’apertura della stazione della M4 di San Cristoforo non conduce più sino a Romolo. Una decisione che ha provocato disagi tra i pendolari e studenti costretti, per raggiungere la linea verde della metropolitana, a cambiate tre o quattro mezzi. Una scelta adottata certo da Atm, ma che secondo l’azienda trasporti di Milano sarebbe stata concordata con gli amministratori locali.

«I vecchi collegamenti sono stati modificati e ridotti, ma la nuova rete non risponde alle reali esigenze dei cittadini», sottolineano dal Comune di Buccinasco, che torna a sollecitare Atm e Comune di Milano a intervenire sulle criticità emerse. «Siamo pronti anche a investire fondi comunali per migliorare il servizio, ma ad oggi, dopo mesi, nessuna risposta è arrivata.» Nel dettaglio, l’amministrazione chiede il ritorno del capolinea della 351 a Romolo o, in alternativa, una rimodulazione degli orari per rafforzare le corse nella fascia di punta del tardo pomeriggio (17-19), riducendo quelle serali scarsamente utilizzate. Inoltre, si chiede una nuova fermata in prossimità della scuola Ilaria Alpi, lo spostamento della fermata “San Cristoforo M4” di via Lodovico il Moro e,  soprattutto, l’estensione della linea 325 di circa 2 chilometri per coprire meglio le zone periferiche della città,  raggiungendo vie come  Resistenza, Emilia, San Biagio e Don Minzoni.
La lettera con le richieste era stata inviata ufficialmente a fine gennaio, dopo un incontro con l’assessore Arianna Censi e i tecnici ATM. Da allora, silenzio. Oggi è il 24 giugno. Sono trascorsi cinque mesi. Intanto, i residenti continuano a dover affrontare quotidianamente tempi di percorrenza più lunghi, coincidenze mancate e una generale difficoltà nel raggiungere il centro di Milano.  L’auspicio è che le istituzioni preposte diano finalmente ascolto a un’esigenza che non è solo logistica, ma profondamente sociale: quella di garantire a tutti un diritto alla mobilità efficiente, sicura e accessibile. Nonostante gli errori di percorso. Di tecnici e amministratori.


mercoledì 25 giugno 2025

Westminster stacca la spina

https://www.tempi.it/regno-unito-parlamento-approva-suicidio-assistito/?utm_source=convertkit&utm_medium=email&utm_campaign=%C2%ABL%E2%80%99Iran+non+accetter%C3%A0+mai+un+%E2%80%9CChalabi+persiano%E2%80%9D%C2%BB+-+18065994

Nessuna libertà solo risparmio: la legge sul suicidio assistito, approvata dal parlamento inglese, è un passo verso la sanità selettiva, dove morire costa meno che curare. Nessuna salvaguardia, solo retorica e conti che tornano


Attivisti pro e contro la legge sul suicidio assistito davanti a Westminster (foto Ansa)

Nel voto cruciale di ieri, la Camera dei Comuni ha approvato con 314 voti a favore e 291 contrari il disegno di legge sul suicidio assistito. Ha sputato sopra ogni ultimo residuo di cautela e responsabilità verso i malati, sacrificando la cura sull’altare dei bilanci. E ha conferito allo Stato il potere di uccidere.
Non c’è un modo più pietoso di scriverlo. Westminster ha varato una legge che va ben oltre la richiesta “di scegliere come morire”. Ha approntato la cornice amministrativa. Ha definito il morire un servizio. E ha calcolato quante sterline risparmiare grazie all’eliminazione diretta dei pazienti fragili. Il tutto presentato agli inglesi come «il più solido insieme di garanzie e tutele al mondo».
Suicidio assistito, testo stravolto
Pubblicato appena due settimane prima del voto, il testo del Terminally Ill Adults (Access to End of Life Assistance) Bill è stato stravolto in pochi mesi e in modo sistematico fino a diventare «sempre più pericoloso», commentava in questo paper pe...


Legge 40. Vent’anni fa il referendum: cosa abbiamo imparato?



La consultazione del 12 e 13 giugno 2005 vide fallire il tentativo di cancellare le regole sulla procreazione assistita varate un anno prima. Anche grazie alla mobilitazione unitaria dei cattolici


Uno dei manifesti realizzati da Scienza & Vita nel 2005 per il referendum sulla legge 40

Il 12 giugno 2005 – vent’anni fa – gli italiani venivano chiamati a esprimersi sulla legge 40 che da poco più di un anno aveva steso una rete di principi, norme e sanzioni nel terreno prima del tutto privo di regole della fecondazione assistita. A votare si recò poco più di un quarto degli elettori, un dato nettamente inferiore alla partecipazione a ogni altro referendum. Il segno del pieno successo della campagna per il “non voto” consapevole e informato promossa dall’associazionismo cattolico per mettere in salvo una legge che cattolica di certo non era ma che conteneva alcuni principi elementari di salvaguardia della vita umana.
Non andare al voto non fu un segno di disinteresse o indifferenza: al contrario, fu l’esito di un’opera informativa vastissima, che coinvolse la base del mondo cattolico, dalle parrocchie alle sigle del laicato impegnato nel sociale, in una prova di unità e condivisione che è rimasta come un punto di riferimento.

Tornare alle motivazioni e al clima di quella stagione serve a capire meglio anche il presente, con sfide che sul fronte della bioetica si sono nel frattempo assai estese. Per il rilievo dei temi che vent’anni fa tutto il Paese affrontò e sui quali si pronunciò è utile ricordare lo spirito e i contenuti dell’impegno che percorse i mesi di avvicinamento alla scelta degli elettori.
Paola Binetti era presidente del Comitato Scienza & Vita (poi Associazione e oggi Centro studi) insieme a Bruno Dallapiccola, al centro della mobilitazione dei cattolici. Di quell’esperienza che poi si tradusse in un impegno diretto in politica ci offre la riflessione che qui pubblichiamo (e che su Avvenire del 12 giugno è uscita insieme a un articolo di Paola Ricci Sindoni, che le succedette alla guida di Scienza & Vita, e a un’analisi sui vent’anni di “è vita”, la sezione di bioetica di Avvenire che nacque proprio durante la campagna referendaria come strumento di informazione).

Il 12 e 13 giugno 2005, giusto vent’anni fa, ci fu il referendum sulla fecondazione assistita, in cui non fu raggiunto il quorum, perché oltre il 75% degli italiani non andò a votare, mentre l’80% di chi votò chiedeva di cancellare i divieti della legge 40. Una prima domanda – ancora oggi – riguardava il valore di un referendum abrogativo, se con il tempo il tribunale può vanificarne il senso e il significato. Il risultato vent’anni fa fu chiarissimo e contribuì, allora, a comprendere quale fosse la volontà degli italiani, ma, ciò nonostante, negli anni successivi i tribunali ribaltarono in gran parte la volontà popolare.

Il referendum popolare sulla legge 40/2004 mirava ad abrogare alcune disposizioni ritenute da troppo restrittive, in particolare quelle riguardanti la fecondazione eterologa, la crioconservazione degli embrioni e la ricerca. A favore dell’abrogazione dei limiti si schierarono tutta la sinistra e i radicali. Schierata per il no, o l’astensione, tutta l’area del centrodestra, salvo qualche eccezione. Fin dal primo momento apparve tuttavia chiaro che la contrapposizione era soprattutto con il mondo cattolico, estremamente variegato ma coinvolto in modo compatto nel suo opporsi al cambiamento della legge, che pure non si poteva certo definire né “cattolica” né “per i cattolici”. Ma il successo del non voto caratteristico di quel referendum fu proprio la grande unità dei cattolici, incoraggiata da Giovanni Paolo II in occasione della 44 Settimana sociale dei cattolici, il 4 ottobre 2004, quando il referendum non era ancora stato ammesso dalla Corte costituzionale. Wojtyla affermò in modo chiaro che «a nessuno sfuggono i rischi e le minacce che, per un autentico assetto democratico, possono derivare da certe correnti filosofiche, visioni antropologiche o concezioni politiche non esenti da preconcetti ideologici».

I cattolici devono «riconsiderare l’importanza dell’impegno nei ruoli pubblici e istituzionali e in quegli ambienti in cui si formano decisioni collettive significative, e in particolare in quello della politica, intesa nel senso alto del termine». Il suo appello venne immediatamente raccolto dal suo vicario, cardinale Camillo Ruini, allora presidente della Cei: «È inutile inseguire cambiamenti della legge in Parlamento – disse pochi mesi dopo – poiché nessuna modifica apporterebbe miglioramenti a una legge che comunque salvaguarda princìpi e criteri essenziali». Lo stesso Ruini propose di far mancare il quorum alla consultazione popolare, obiettivo per il quale serviva una grande mobilitazione popolare spiegando bene le varie questioni a tutti i cittadini e ottenendo un consenso realmente informato.

Fu creato il Comitato Scienza & Vita (del quale fui nominata copresidente insieme a Bruno Dallapiccola) cui aderirono tutti – ma proprio tutti – i movimenti, le associazioni, i gruppi di ispirazione cattolica, che si prodigarono in una incessante attività pedagogica in cui i contenuti scientifici si intrecciavano ai valori umani, in perfetta coerenza con i princìpi della fede cristiana. Questa enorme campagna divulgativa coinvolse anche la Federazione delle Chiese evangeliche in Italia. E così andò prendendo forma la grande avventura in cui si imbarcarono professionisti di diversa estrazione culturale: medici, giuristi, ricercatori. Tutti insieme resero familiari all’opinione pubblica i più recenti sviluppi della scienza, sconosciuti ai più. Gli incontri preparatori ai referendum diventarono una gigantesca operazione di formazione popolare, sul piano medico-giuridico e sul valore e i limiti della ricerca.

L’esito della consultazione secondo Ruini fu il «frutto della maturità del popolo italiano, che si è rifiutato di pronunciarsi su quesiti tecnici e complessi, che ama la vita e diffida di una scienza che pretenda di manipolare la vita».

Oggi, a distanza di vent’anni, la legge 40 conserva solo alcuni punti di riferimento essenziali, che vanno difesi per evitare ulteriori errori in futuro. Due sono ancora oggi i punti chiave: l’inizio della vita umana dal momento del concepimento e la vita umana come progetto biologico unico e irripetibile

Tutte le opzioni di chi annuncia e realizza altre azioni legali per continuare a demolire la legge 40 puntano a separare la nascita di un bambino dal suo contesto familiare, per soddisfare il desiderio di avere un figlio da parte di un adulto che lo considera un diritto da soddisfare quando e come vuole.

La legge 40, il suo iter e la mobilitazione per fermare la demolizione delle regole per via referendaria continuano ad avere ancora molto da insegnarci. Lo slogan di Scienza & Vita era molto semplice: “sulla vita non si vota”, ma se si vota allora è democraticamente doveroso rispettare il risultato delle urne. Qualche numero a distanza di anni può ancora aiutare a capire l’effettiva manipolazione a cui è stato sottoposto quel referendum: complessivamente votò solo il 25,50% degli aventi diritto (12 milioni su 50), di questi solo un 85% (10 milioni su 12) chiese l’abrogazione. Un quinto del corpo elettorale. Stiamo parlando di un 20%. Malgrado questa cifra eloquente, in questi vent’anni si è preteso (e spesso ottenuto) di piegare l’esito inequivocabile delle urne a scelte di parte. Un approccio nel quale c’è davvero poco di democratico. È forse questo il rischio maggiore per il prossimo futuro.

martedì 24 giugno 2025

Legge 40. Liberiamo il desiderio di figli dall'idea di un bene da possedere



A 20 anni dal referendum che, fallendo, sancì la conferma popolare delle regole approvate l'anno prima dal Parlamento: quali questioni ha aperto da allora l'affermarsi della genitorialità in provetta?


Manifesti per modificare la legge 40 nei referendum del 12 e 13 giugno 2005, poi falliti - -

Molta acqua è passata sotto i ponti da quando la legge 40/2004 sulle procedure di applicazione della Pma (procreazione medicalmente assistita) accese un dibattito politico e sociale culminato nel referendum abrogativo con i risultati che tutti conosciamo, legati all’astensione del mondo cattolico e risultato di un potente risveglio della coscienza etico sociale degli italiani.

Tale risultato fu il frutto della convergenza politica di una maggioranza trasversale che condivise alcuni assunti fondamentali: il primo secondo il quale non si poteva lasciare privo di governo legislativo un campo nel quale ogni novità scientifica automaticamente rischiava di diventare occasione per “aggiungere” un modo nuovo per generare un bambino, senza alcuna valutazione dell’impalcatura culturale e morale.

Il secondo, per il quale era indispensabile provvedere a una omogeneizzazione su standard minimi accettabili e condivisi per i Centri ove si realizzavano le procedure della Pma; il terzo, qui elencato per ultimo ma in realtà centrale nella riflessione bio-politica, per cui era da rimarcare la tutela di tutti i soggetti coinvolti in queste procedure, e tra questi anche il concepito. Sottoposta negli anni alla scure delle varie sentenze della magistratura e dei tentativi, da parte di alcune frange politiche, di annullarne l’impianto di fondo, la legge 40 continua a mostrare la sua solidità, se è vero che – ad esempio – negli ultimi dieci anni i centri clinici preposti hanno visto un aumento significativo nell’attività e nel numero delle coppie trattate, con un certo miglioramento del tasso di successo.


Detto questo, è il caso di indagare più a fondo, all’interno dello scenario sociale italiano, sul paradosso presente oggi, dopo vent’anni: da una parte sembrano aumentare le decisioni delle coppie sterili di intraprendere il cammino della procedura medica, spesso sofferto e talvolta destinato al fallimento, pur di vedere realizzato il sogno di tenere fra le braccia un neonato. Dall’altro però si assiste al continuo e inquietante fenomeno della crescita zero – la denatalità, appunto – che negli ultimi anni ha assunto percentuali impressionanti. Oltre le numerose indagini socioeconomiche e gli studi antropologici, spesso inclini a delineare quadri sconfortanti, occorre individuare, nel complesso dei fenomeni in gioco, almeno un nodo culturale, in grado di immaginare lenti ma necessari passi verso un cambio di prospettiva. Fare diagnosi, insomma, per individuare qualche forma di terapia. Si può al riguardo pensare a una passione triste che ci attraversa e che prende il nome di “crisi del desiderio”.

Desiderare è l’autentica spinta del vivere in modo giusto, quando questo sentire sia mosso non dalla misura breve del “tutto e subito” ma dall’immaginazione di un percorso lento di maturazione personale, che tutti dovremmo sostenere e proteggere. Riflettiamo sul vissuto sofferto di una coppia sterile che “desidera” un figlio e che la legge 40 tutela giuridicamente: il difficile percorso medico sostenuto dalla futura madre, spinta al raggiungimento del suo obiettivo, è certamente un bene in sé, ma talvolta – a causa del clima sociale segnato da obiettivi autocentrati – può essere il frutto di un bisogno di possesso di un bene, che altrimenti presuppone la maturazione responsabile verso il nuovo nato, altro rispetto al desiderio, e che è un altro che sfugge alle prese della soggettività della madre e del padre.

Non basta partorire bambini se non li si genera con impegni di vita che sappiano riattivare quella solidarietà generazionale che investe i genitori, i nonni, i fratelli, i cugini, e tutti gli altri attori sociali attraverso un forte investimento personale. Discorso analogo, anche se di segno opposto, è il rifiuto della genitorialità in nome di una autonomia della vita di coppia e di una polarizzazione del desiderio, calcolato ai fini personali e sganciato dalla responsabilità sociale. Manca in questo caso la molla del desiderio che superando i limiti della propria prospettiva, è pronta all’apertura verso il non più cercato, che con la sua imprevedibilità scardina le sicurezze e si impone come assoluta novità.

Tornare a desiderare non è soltanto una disciplina personale: è una virtù civile necessaria per riattivare la dinamica di una società troppo spesso appagata e appiattita. Fare o non fare un bambino non è un diritto della donna o una esclusiva scelta privata della coppia, ma è un evento che obbedisce a regole proprie: il nuovo altro che viene al mondo “esige” di essere accolto, curato e rispettato, pretende una nuova responsabilità relazionale, educativa e affettiva, che coinvolge l’intero corpo sociale. Fermare la corsa irresponsabile verso la morte del desiderio è compito di tutti: educatori, comunicatori, politici e tutte le persone che abbiano uno sguardo attento, quello che produce un gesto di responsabilità e di fiducia verso il futuro della famiglia umana.


Martiri dei nazisti o della Guerra civile spagnola, la Chiesa avrà 175 nuovi Beati

https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2025-06/chiesa-175-nuovi-beati-martiri-guerra-civile-spagnola-e-nazismo.html?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=NewsletterVN-IT

Il Papa ha autorizzato il Dicastero per le Cause dei Santi a promulgare i Decreti riguardanti 124 martiri uccisi in odio alla fede e 50 durante la Seconda Guerra mondiale. Promulgati anche i Decreti di quattro nuovi venerabili

Vatican News

La Chiesa cattolica universale avrà 175 nuovi beati e quattro nuovi venerabili. Durante l’udienza concessa questa mattina al cardinale Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi, Papa Leone XIV ha autorizzato la promulgazione dei loro Decreti.



I futuri Beati

Dei prossimi Beati uno lo diventerà per il riconoscimento del miracolo: si tratta del venerabile Servo di Dio, Salvador Valera Parra, sacerdote diocesano, arciprete e parroco di Huércal-Overa, nato il 27 febbraio 1816 a Huércal-Overa (Spagna) e morto il 15 marzo 1889. Gli altri 174 saranno elevati agli onori degli altari per il riconoscimento del martirio: 124 sono stati uccisi in odio alla fede durante la Guerra civile spagnola e 50 dai nazisti durante la Seconda Guerra mondiale.

Più nel dettaglio, i Decreti riguardano: il martirio dei Servi di Dio Manuel Izquierdo Izquierdo, sacerdote diocesano, e 58 compagni della Diocesi di Jaén (Spagna), uccisi tra il 1936 e il 1938, in odio alla fede, in diversi luoghi della Spagna, nel contesto della medesima persecuzione; poi il martirio dei Servi di Dio Antonio Montañés Chiquero sacerdote diocesano e 64 Compagni della Diocesi di Jaén (Spagna), uccisi tra il 1936 e il 1937, in odio alla fede, in diversi luoghi della Spagna, nel contesto della medesima persecuzione. Infine il martirio dei Servi di Dio Raimond Cayré, sacerdote diocesano, Gerard Martin Cendrier, religioso professo dell’Ordine dei Frati Minori, Roger Vallée, seminarista, Jean Mestre, fedele laico, e 46 compagni, uccisi tra il 1944 e il 1945 in odio alla fede, in diversi luoghi, nel contesto della medesima persecuzione. 


I venerabili

I Decreti relativi ai venerabili riguardano invece le virtù eroiche del Servo di Dio Raffaele Mennella, chierico professo della Congregazione dei Missionari dei Sacri Cuori, nato il 22 giugno 1877 a Torre del Greco (Italia) e ivi morto il 15 settembre 1898; le virtù eroiche del Servo di Dio João Luiz Pozzobon, diacono permanente e padre di famiglia, nato il 12 dicembre 1904 nel distretto di Cachoeira, nello Stato di Rio Grande do Sul (Brasile) e morto a Santa Maria (Brasile) il 27 giugno 1985; le virtù eroiche della Serva di Dio Teresa Tambelli (al secolo Maria Olga), religiosa professa delle Figlie della Carità di San Vincenzo de’ Paoli, nata il 17 gennaio 1884 a Revere (Italia) e morta il 23 febbraio 1964 a Cagliari (Italia); le virtù eroiche della Serva di Dio Anna Fulgida Bartolacelli, fedele laica, dell’Associazione dei Silenziosi Operai della Croce, nata il 24 febbraio 1928 a Rocca Santa Maria (Italia) e morta 27 luglio 1993 a Formigine (Italia).

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Anche la Svezia non ne può più di Greta Thunberg



Il governo svedese attacca la giovane ambientalista, che con il suo narcisismo patologico ha messo in pericolo i suoi connazionali facendo intasare la hotline consolare

lunedì 23 giugno 2025

Cos’è il genere e perché parlarne spaventa molti? Intervista ad Antonio Prunas



di Lina Cerrato

Il genere è un concetto molto complesso da definire: ognuno ha una sua idea di che cosa voglia dire essere uomo, essere donna, o essere qualcos’altro. Per comprendere meglio che cosa sia il genere e riflettere su come siamo abituati a pensare alle categorie di genere abbiamo posto alcune domande ad Antonio Prunas. Psicoterapeuta specializzato in sessuologia clinica, durante la scorsa edizione del CICAP Fest, nella conferenza Come si misura il genere?, ha illustrato e messo in discussione il modello tradizionale che abbiamo di genere: binario, statico e legato al sesso biologico degli individui. Le categorie di genere sono, ha evidenziato Prunas, concetti in mutamento, legati sia alla cultura sociale sia alla psicologia individuale.

Che cosa ci rende appartenenti a un genere piuttosto che a un altro?

Se ci riflettiamo, noi stessi non sappiamo dire bene che cosa fa di noi un uomo o una donna. È per noi un’evidenza che funziona in se stessa, che non viene messa in discussione. Ci troviamo quindi con tantissime persone che dicono di essere uomini e di essere donne partendo da questa evidenza che loro stessi non saprebbero neanche definire. E abbiamo uno sterminato gruppo di entità diverse che consideriamo accettabili nel contesto dell’essere uomo o dell’essere donna. Ad esempio, possiamo pensare a un uomo che nasce senza testicoli, a un uomo che ha la voce femminile, o a un uomo con la ginecomastia. Tutti questi individui rimangono, per noi, sempre uomini. Ma se pensiamo a un uomo con la vagina, improvvisamente, il discorso cambia: non riusciamo più a considerarlo un uomo. In quel punto poniamo un veto molto rigido, definiamo un confine che riguarda però soltanto quella categoria, mentre tutto il resto è assolutamente legittimo e fa parte di una variabilità che siamo in grado di concepire. Se ci fermiamo a riflettere, quel confine sembrerà sempre più arbitrario. 

Cos’è, quindi, l’identità di genere? 

L’identità di genere è un costrutto sociale che, però, si incarna anche in una dimensione psicologica. È qualcosa che noi respiriamo costantemente e si trova al di fuori di noi, ma che a un certo punto penetra nel modo in cui pensiamo a noi stessi e ci rapportiamo al mondo esterno, presentandoci in un modo più o meno aderente a uno stereotipo che corrisponde al maschile o al femminile. Nell’immagine che diamo di noi stessi infatti, come risvolto esterno, è presente anche la nostra decisione di conformarci o meno a ciò che la società ci dice essere “maschile” o “femminile”. È importante ricordare però ciò che la società reputa essere “maschile” o “femminile” è valido oggi e per uno specifico contesto: siamo abituati a pensare che il nostro sistema di pensiero contemporaneo e occidentale sia immobile, l’unico sempre esistito, ma non è affatto così.

Esistono sistemi di pensiero senza il binarismo rigido di uomo e donna?

Ci sono moltissime altre culture diverse da quella occidentale in cui il genere non è binario, ma si possono trovare fenomeni simili anche nelle culture occidentali. Ad esempio, anche in Italia: molti antropologi sostengono che il fenomeno campano dei “femminielli” sia un fenomeno culturale che è riconducibile a un genere altro: il “femminiello” non è una donna trans, appartiene a una categoria altra, riconosciuta socialmente e con un valore di buon auspicio. Il problema è che la cultura occidentale tende ad appiattire tutto, e così l’idea del binarismo maschio-femmina è radicata anche a un livello ancora più profondo. Pensiamo ad esempio alle persone intersex che vengono operate senza il loro consenso: tutto ciò che non è incanalabile in stereotipicamente maschile o stereotipicamente femminile non ha diritto di esistere, viene patologizzato, e per essere reso comprensibile viene portato da una parte o dall’altra. Porpora Marcasciano, un’attivista trans, diceva che quando leggiamo sul National Geographic che in un metro quadro di foresta equatoriale ci sono 80 miliardi di specie di uccelli, tessiamo le lodi del Creatore; quando invece pensiamo agli esseri umani ci limitiamo a pensare al grembiulino rosa e al grembiulino azzurro, e qualsiasi cosa che sta in mezzo ci spaventa. Però, pensare che l’output di un sistema così complesso come l’essere umano sia “grembiulino azzurro” o “grembiulino rosa” è molto poco credibile.

Come mai questa complessità ci spaventa così tanto? Si parla addirittura spesso di “ideologia gender”: perché?

Credo che uno dei punti fondamentali a questo proposito sia la convinzione che riconoscere l’esistenza di altre opzioni oltre a eterosessuale e cisgender sia in grado di attivare automaticamente nelle persone il bisogno o il desiderio di “andare da quella parte”: ma questa è una delle più grandi idiozie che siano mai state dette. La prova più evidente di questo sono le persone LGBT stesse, che raccontano che da bambini nessuno mai parlato loro di mondi pieni di unicorni in cui le persone gay sono felici, anzi. Alcune persone hanno subìto maltrattamenti non da poco per il fatto di aver detto di essere diversi, e nonostante ciò la loro identità è rimasta assolutamente invariata: neanche le percosse riescono a cambiare una persona, figuriamoci sapere che esistono persone gay e persone trans.

Immagine: Antonio Prunas (a sinistra) con Lorenzo Montali durante il suo intervento al CICAP Fest, foto di Serena Pea

sabato 21 giugno 2025

Statale community - Ornella Vanoni laureata ad honorem dell’Università Statale di Milano

https://lastatalenews.unimi.it/ornella-vanoni-laureata-ad-honorem-delluniversita-statale-milano


mercoledì 11 giugno 2025 alle ore 17

L'Ateneo ha conferito la laurea honoris causa in "Musica, Culture, Media, Performance" alla celebre cantante, punto di riferimento non solo artistico, ma anche civile, in grado di trasmettere valori e consapevolezza.


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La stessa Ornella Vanoni ha infatti sottolineato nel suo libro autobiografico che “va bene cantare un testo con le scarpe, ma bisogna soprattutto saperlo cantare “a piedi nudi”, “per sentire il contatto del corpo con il suolo e ascoltare la vibrazione che ti percorre”.

mercoledì 18 giugno 2025

Limitare la circolazione delle auto Euro 5 diesel non serve a molto


Di Francesco Ramella
17 Giugno 2025


Il provvedimento ha costi di gran lunga superiori ai benefici. Le emissioni pro-capite dell’Italia sono tra le più basse in Europa e le abbiamo drasticamente ridotte negli ultimi decenni. Un po' di numeri e grafici

Vietato vietare. Il vecchio slogan sessantottino potrebbe utilmente essere riesumato per le auto sulle quali sta per abbattersi l’ennesimo provvedimento restrittivo: dal primo ottobre, nei comuni con più di 30 mila abitanti in Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia-Romagna non potranno più circolare le auto diesel con standard di emissioni Euro 5 come previsto dal decreto 121/2023. Il provvedimento legislativo si propone di dare attuazione a due sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, una del 2020 e l’altra del 2022, che condannano l’Italia per il mancato rispetto della normativa relativa alla qualità dell’aria e, più nello specifico, dei limiti relativi alla concentrazione di polveri sottili (PM10) e di biossido di azoto (NO2).

Qual è la nostra colpa? Inquiniamo più degli altri? No, anzi. Per entrambi gli inquinanti le emissioni pro-capite dell’Italia sono tra le più basse in Europa.

E sono state drasticamente ridotte negli ultimi decenni con conseguente radicale (ma sconosciuto ai più) miglioramento della qualità dell’aria.

Emissioni di inquinanti atmosferici in Italia
Emissioni di inquinanti atmosferici in Italia

Radere al suolo il passo del Turchino

Il valore limite annuale per il PM10 è rispettato su tutto il territorio nazionale ad eccezione di qualche isolato valore. E così quello del biossido di azoto che è soddisfatto in 606 stazioni su 617, pari al 98 per cento dei casi. Il valore limite giornaliero per le polveri sottili è rispettato in 83 casi su 100; gli sforamenti sono in prevalenza nell’area del bacino padano colpevole di… essere circondato dalle Alpi con conseguenti condizioni molto più sfavorevoli alla dispersione degli inquinanti in atmosfera rispetto alle altre zone dell’Europa. Non è, ovviamente, un fattore sul quale sia possibile intervenire con un’azione governativa (a meno di non voler riesumare la bizzarra idea del signore che a Portobello, per migliorare la ventilazione in Val Padana, propose di radere al suolo il passo del Turchino).

L’esperimento involontario condotto nel 2020 in occasione del lockdown ha mostrato come gli attuali limiti e, a maggior ragione, quelli ancora più stringenti che entreranno in vigore nel 2030, non possono essere rispettati nel bacino padano neppure con una riduzione della mobilità di oltre l’80 per cento anche perché per le polveri sottili, l’inquinante più dannoso, il contributo di auto e camion è minoritario, intorno al 20 per cento.


Chi inquina, paga

Ogni politica, così come ogni terapia, comporta non solo benefici ma anche effetti collaterali negativi.

La decisione di attuarla o meno dovrebbe sempre essere preceduta da una valutazione di entrambi: un’aria più pulita è ovviamente un beneficio ma non ogni riduzione dell’inquinamento è desiderabile; se così fosse dovremmo vietare da subito non solo ogni forma di mobilità ma tutte le attività che hanno un qualche impatto negativo.

Provvedimenti come il divieto di circolazione per gli Euro 5 hanno costi di gran lunga superiori ai benefici e, pertanto, non dovrebbero essere adottati.

Una politica ragionevole è quella basata sul principio, in teoria sostenuto dalla stessa Ue, del “polluter pays”: chi inquina, paga.


Ora, è la stessa Commissione Europea, a dirci quanto vale l’inquinamento atmosferico causato da una persona che si sposta in città con un’auto diesel Euro 5: 1,04 centesimi di euro per chilometro. Se in un anno costui percorre 10 mila chilometri, il danno complessivo è pari a 104 euro, solo 18 euro in più di chi possiede una Euro 6 che, almeno per ora, continua a poter circolare.

Costo esterno dell’inquinamento atmosferico di un’autovettura diesel in ambito urbano

Non servono altri divieti

A fronte di questo “costo esterno”, la stessa persona versa alla collettività intorno ai 500 euro di tasse sul gasolio. Fatta eccezione per i veicoli più vecchi, chi inquina, in Italia e in Europa, paga già fin troppo anche tenendo in considerazione gli altri impatti ambientali.

Non servono altri divieti, incentivi all’acquisto di auto nuove o limiti imposti a tutti da Bruxelles a prescindere dalle condizioni particolari di ogni territorio.

Il problema, peraltro, non si limita all’inquinamento atmosferico. È identico per le emissioni di CO2 e, più in generale, per le politiche dei trasporti. Da decenni la Ue e i singoli Stati promuovono il cosiddetto riequilibrio modale: meno strada e più ferrovia. Si fissano obiettivi da raggiungere (mai conseguiti) e si spendono centinaia di miliardi dei contribuenti europei sulla base dell’argomentazione – corretta – che il treno ha un minore impatto ambientale di auto e camion. Anche in questo caso, come per i limiti dell’inquinamento atmosferico, tranne poche eccezioni come la Milano – Napoli, i costi di costruzione e gestione superano di gran lunga i benefici (compresi quelli per chi viaggia) e, quindi, la realizzazione delle opere danneggia la collettività pur generando un limitato e decrescente nel tempo vantaggio ambientale.

Un esempio

Chi scrive, avendo contributo alla redazione di una valutazione molto negativa della nuova linea ferroviaria Torino – Lione, fu accusato dal Commissario del Governo, Paolo Foietta, di “costruire i presupposti per trasformare la valle di Susa in una camera a gas”.

Peccato che, anzi per fortuna, in Valsusa, come ovunque, la qualità dell’aria è oggi molto migliore di trent’anni fa quando si iniziò a discutere di Tav e in futuro sarà migliore di oggi grazie a camion e auto sempre più puliti.

Per non farci del male, servono meno direttive, meno finanziamenti europei, più sussidiarietà e più valutazioni.


È un “bambino” anche se non ancora nato?

https://www.avvenire.it/vita-e-cura/e-un-bambino-anche-se-non-ancora-nato_101114 di  Carlo Casini ;     18 novembre 2025 La Convenzione appr...