di Lina Cerrato
Il genere è un concetto molto complesso da definire: ognuno ha una sua idea di che cosa voglia dire essere uomo, essere donna, o essere qualcos’altro. Per comprendere meglio che cosa sia il genere e riflettere su come siamo abituati a pensare alle categorie di genere abbiamo posto alcune domande ad Antonio Prunas. Psicoterapeuta specializzato in sessuologia clinica, durante la scorsa edizione del CICAP Fest, nella conferenza Come si misura il genere?, ha illustrato e messo in discussione il modello tradizionale che abbiamo di genere: binario, statico e legato al sesso biologico degli individui. Le categorie di genere sono, ha evidenziato Prunas, concetti in mutamento, legati sia alla cultura sociale sia alla psicologia individuale.
Che cosa ci rende appartenenti a un genere piuttosto che a un altro?
Se ci riflettiamo, noi stessi non sappiamo dire bene che cosa fa di noi un uomo o una donna. È per noi un’evidenza che funziona in se stessa, che non viene messa in discussione. Ci troviamo quindi con tantissime persone che dicono di essere uomini e di essere donne partendo da questa evidenza che loro stessi non saprebbero neanche definire. E abbiamo uno sterminato gruppo di entità diverse che consideriamo accettabili nel contesto dell’essere uomo o dell’essere donna. Ad esempio, possiamo pensare a un uomo che nasce senza testicoli, a un uomo che ha la voce femminile, o a un uomo con la ginecomastia. Tutti questi individui rimangono, per noi, sempre uomini. Ma se pensiamo a un uomo con la vagina, improvvisamente, il discorso cambia: non riusciamo più a considerarlo un uomo. In quel punto poniamo un veto molto rigido, definiamo un confine che riguarda però soltanto quella categoria, mentre tutto il resto è assolutamente legittimo e fa parte di una variabilità che siamo in grado di concepire. Se ci fermiamo a riflettere, quel confine sembrerà sempre più arbitrario.
Cos’è, quindi, l’identità di genere?
L’identità di genere è un costrutto sociale che, però, si incarna anche in una dimensione psicologica. È qualcosa che noi respiriamo costantemente e si trova al di fuori di noi, ma che a un certo punto penetra nel modo in cui pensiamo a noi stessi e ci rapportiamo al mondo esterno, presentandoci in un modo più o meno aderente a uno stereotipo che corrisponde al maschile o al femminile. Nell’immagine che diamo di noi stessi infatti, come risvolto esterno, è presente anche la nostra decisione di conformarci o meno a ciò che la società ci dice essere “maschile” o “femminile”. È importante ricordare però ciò che la società reputa essere “maschile” o “femminile” è valido oggi e per uno specifico contesto: siamo abituati a pensare che il nostro sistema di pensiero contemporaneo e occidentale sia immobile, l’unico sempre esistito, ma non è affatto così.
Esistono sistemi di pensiero senza il binarismo rigido di uomo e donna?
Ci sono moltissime altre culture diverse da quella occidentale in cui il genere non è binario, ma si possono trovare fenomeni simili anche nelle culture occidentali. Ad esempio, anche in Italia: molti antropologi sostengono che il fenomeno campano dei “femminielli” sia un fenomeno culturale che è riconducibile a un genere altro: il “femminiello” non è una donna trans, appartiene a una categoria altra, riconosciuta socialmente e con un valore di buon auspicio. Il problema è che la cultura occidentale tende ad appiattire tutto, e così l’idea del binarismo maschio-femmina è radicata anche a un livello ancora più profondo. Pensiamo ad esempio alle persone intersex che vengono operate senza il loro consenso: tutto ciò che non è incanalabile in stereotipicamente maschile o stereotipicamente femminile non ha diritto di esistere, viene patologizzato, e per essere reso comprensibile viene portato da una parte o dall’altra. Porpora Marcasciano, un’attivista trans, diceva che quando leggiamo sul National Geographic che in un metro quadro di foresta equatoriale ci sono 80 miliardi di specie di uccelli, tessiamo le lodi del Creatore; quando invece pensiamo agli esseri umani ci limitiamo a pensare al grembiulino rosa e al grembiulino azzurro, e qualsiasi cosa che sta in mezzo ci spaventa. Però, pensare che l’output di un sistema così complesso come l’essere umano sia “grembiulino azzurro” o “grembiulino rosa” è molto poco credibile.
Come mai questa complessità ci spaventa così tanto? Si parla addirittura spesso di “ideologia gender”: perché?
Credo che uno dei punti fondamentali a questo proposito sia la convinzione che riconoscere l’esistenza di altre opzioni oltre a eterosessuale e cisgender sia in grado di attivare automaticamente nelle persone il bisogno o il desiderio di “andare da quella parte”: ma questa è una delle più grandi idiozie che siano mai state dette. La prova più evidente di questo sono le persone LGBT stesse, che raccontano che da bambini nessuno mai parlato loro di mondi pieni di unicorni in cui le persone gay sono felici, anzi. Alcune persone hanno subìto maltrattamenti non da poco per il fatto di aver detto di essere diversi, e nonostante ciò la loro identità è rimasta assolutamente invariata: neanche le percosse riescono a cambiare una persona, figuriamoci sapere che esistono persone gay e persone trans.
Immagine: Antonio Prunas (a sinistra) con Lorenzo Montali durante il suo intervento al CICAP Fest, foto di Serena Pea
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