Care amiche e cari amici, da venerdì a domenica arriva il Giubileo delle famiglie, dei bambini, dei nonni e degli anziani. Evento centrale a Roma ma appuntamenti specifici anche nella maggior parte delle Chiese locali. Scelta condivisibile per ribadire che, quando parliamo di famiglia parliamo di alleanza tra le generazioni. Anzi, come spiega Gabriella Gambino, sottosegretaria del Dicastero laici, famiglia e vita che abbiamo intervistato su Avvenire di oggi, proprio le relazioni familiari sono “il sistema umano più potente” per generare speranza, ma anche fiducia, perdono, riconciliazione, comprensione, educazione e tante altre virtù preziose, che rivestono anche significato sociale (vedi qui). Ma come si coniuga la speranza – valore centrale di questo Anno giubilare - in chiave familiare? Va detto subito che genitori e figli sono di per sé pellegrini di speranza. Nulla incarna meglio questa dimensione di una coppia che si apre al dono della vita, di un bambino che nasce, di un adolescente che con fatica e rabbia cerca la sua strada combattendo con il futuro, di un nonno che si sforza di trasferire nei figli e nei nipoti i sogni di una vita. Nelle relazioni familiari, anche in quelle più faticose e complicate, ci sono tanti segni di speranza, c’è un dono capace di coniugare due momenti che sembrerebbero in opposizione: lo stare e l’andare. Cosa significare “stare” quando parliamo di coppia e di famiglia? Significa essere fedeli a una promessa, significa accettare con gioia impegni e sacrifici, significa rimanere ancorati a un progetto d’amore anche quando sembra che quell’obiettivo vacilli e venga messo in forse. La tenacia dell’amore più forte delle delusioni e delle sconfitte della vita, nella consapevolezza che – quasi sempre – è possibile aggiustare con la perseveranza del cuore ciò che appare segnato dalla persistenza di ferite che sgretolano la relazione e ne fanno impazzire le dinamiche, come granelli di sabbia gettati negli ingranaggi degli affetti. No, non è semplice restare. Non è semplice resistere al vento che in qualche giornata soffia potente e manda segnali contraddittori, lusinghe devianti, inviti a rivedere obiettivi e propositi. Non parliamo solo di conflitti coniugali. Una madre, un padre, sanno quanto sia importante – talvolta determinante – stare quando si tratta di accompagnare un figlio, una figlia, in difficoltà. E questa difficoltà genera il rifiuto, l’opposizione. Quando le scelte segnano dolorosamente una frattura rispetto al paradigma di valori su cui i genitori hanno tentato di costruire il futuro dei loro figli. Ci sono talvolta sconfitte familiari così brucianti da rendere quasi eroico lo stare di quella moglie, di quel marito, di quei genitori. Sconfitte che rendono lo sforzo di trattenere la speranza cristiana una preghiera silenziosa, più bella e più luminosa di tante formule ripetute per inerzia. Ma, insieme allo stare, nella vita della famiglia, c’è sempre anche un andare. Potremmo dire, con un gioco di parole, che lo stare della famiglia non è mai stare fermi, non è volontà di immobilismo, ma è uno stare dinamico, attivo, intraprendente, uno stare alimentato da quella fantasia dell’amore consapevole del fatto che in ogni frangente della vita familiare occorre reagire alla stasi con il movimento, alle lusinghe della conservazione con la forza delle idee, all’impulso dell’indifferenza con la progettualità del cuore. L’andare della famiglia non è in opposizione al restare, ma è un movimento ideale che trasporta nel futuro i progetti dell’oggi, che proietta nel domani quello che è stato costruito ieri, che traduce nel divenire la bellezza e la verità delle relazioni che segnano il cammino familiare. Perché è possibile questo dinamismo solo apparentemente antitetico tra lo stare e l’andare? Perché la vita di ogni famiglia è alimentata, sostenuta, incoraggiata dalla speranza. Senza speranza non si va e non si resta. E questa, forse, la preghiera più bella che ogni famiglia dovrebbe rivolgere in queste giornate giubilari: “Signore fa che nella nostra famiglia, anche e soprattutto nelle situazioni più difficili e più tristi, non venga mai meno il dono della speranza”. Luciano Moia |
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