Abbiamo dunque capito: Il presidente Napolitano ha approvato un decreto-legge che sarà, se non stravolto, profondamente modificato in aula dalla stessa maggioranza (che conferma così di avere tuttora idee confuse in materia), e sul quale, alla fine, in nome dell’”emergenza”, sarà comunque posto l’ennesimo voto di fiducia, che, alla faccia dell’impegno per un serio confronto con l’opposizione, strozzerà ogni dibattito. Il decreto, tra l’altro, contiene assurdamente anche disposizioni “ordinamentali”, la cui “urgenza” (che ne giustificherebbe il loro inserimento in un decreto-legge, appunto) non pare per niente dimostrata, se si considera, per fare un solo esempio, che la cancellazione di un certo numero di Province è prevista (inevitabilmente) alla scadenza della consiliatura in essere, non ora. Ma questo governo e questa maggioranza vivono di “propaganda”, e così, supportati dall’enfasi dei “media” fiancheggiatori, si gonfiano il petto dichiarando di aver fatto scomparire di colpo 54 mila “poltrone”. In realtà sono solo “poltroncine”, che, complessivamente, “costano” assai poco. Si pensi in particolare alle indennità degli amministratori dei piccoli Comuni, coinvolti, insieme alle Province, nel processo di “razionalizzazione”. Sia chiaro: la riduzione dei costi della politica è un’esigenza inderogabile, ma andrebbe realizzata nel quadro di un disegno organico, che riguardi tutte le istituzioni. Con un complesso di norme “costituzionali” e “ordinarie”, sulle quali dovrebbe essere possibile ottenere in breve tempo il vasto consenso di un Parlamento che non fosse preoccupato soltanto della propria sopravvivenza, si potrebbe ottenere che: sia dimezzato il numero di deputati e senatori, scelta ormai matura quarant’anni dopo aver costituito i parlamentini regionali; gli “stipendi” dei suddetti parlamentari vengano allineati alla media europea, e dunque ridotti corposamente (insieme, correlativamente, a quelli dei “regionali”); siano ridisegnate le competenze di ciascun’istituzione, impedendo tassativamente sovrapposizioni di funzioni. In tal senso, alle Regioni in particolare dovrebbe essere semplicemente impedito, diversamente da quanto accade di fatto ora, di occuparsi di attività “amministrative” di spettanza degli enti locali; vengano istituite obbligatoriamente, laddove esistono le condizioni, le “città metropolitane”, superando, in tali contesti, le Province. Magari partendo dall’area milanese, dove la costituzione della Provincia di Monza ha rappresentato un “nonsense”; venga razionalizzato profondamente il “sistema Province”, sulla base, però, di parametri non esclusivamente “quantitativi”. L’abolizione totale di questi enti intermedi, in ogni caso, è sbagliata. I Comuni piccoli siano poi obbligati, senza perdere necessariamente la propria identità storica, a gestire i servizi in partnership tra loro; sia stabilito, ulteriormente, un limite ai “mandati” a tutti i livelli: difficile capire, in argomento, perché un Sindaco non possa essere rieletto dopo due mandati, mentre … Formigoni (grande elargitore diretto di “bonus” e “voucher”) possa fare il Presidente della Regione “ad vitam”. E forse è bene, di questi tempi, che lo stesso mandato parlamentare venga ridimensionato temporalmente. Siano introdotte, ancora, norme incisive sulle incompatibilità, compreso il divieto assoluto di incarichi plurimi. Infine, venga abrogato il “porcellum”. Dicevamo, però, che il decreto in questione è destinato a essere pesantemente modificato, a quanto si legge dai giornali. Perciò, l’attuale apprezzamento dell’Unione europea non si capisce bene cosa significhi. Rimetteranno in discussione, sono pronto a scommettere, la stessa questione “Province” e “Comuni”, perché la destra difficilmente avrà la forza di “tagliare”, in proposito, ma non perché abbia intenzione di pensare davvero (e doverosamente) a un riassetto istituzionale più complessivo, bensì per ragioni “di bottega”. Genio Calderoli ha già detto che no, non intendono cancellare gli esecutivi delle piccole comunità: solo i consigli comunali. Torniamo al “podestà”, allora, suvvia! Cambierà però anche il “superprelievo”, si dice, perché Berlusconi non vuole in alcun modo “mettere le mani nelle tasche dei cittadini” (già sentita, vero?). Per sostituirlo con che cosa, non si sa, e questo preoccupa molto. Resta il fatto che la “manovra”, così come ora concepita, è iniqua perché va contro i ceti medi (“ i forzati del fisco si sacrificheranno ancora per la patria e la patrimoniale, mentre gli evasori li deridono e quelli che vivono di rendita si sfregano le mani”, ha scritto l’Eco di Bergamo) e tocca principalmente i lavoratori “dipendenti”, meno gli “autonomi”, perseguendo poi scientificamente (è un classico della destra) l’obiettivo di far passare l’idea che quelli “pubblici” in particolare sono, come classe, dei “fannulloni”, e vanno dunque puniti. Certo sarà però risolutiva, per le finanze pubbliche, la “sterilizzazione” delle feste (“di sinistra”) del 25 aprile e del 1° maggio (buon Dio!). In conclusione: questa manovra è comunque “invotabile”, come afferma persino Casini, quali che siano gli appelli, anche “elevati”, alla “responsabilità”. Non v’è dubbio, allora, che il momento presente esigerebbe primariamente che questo governo fosse sostituito celermente con uno davvero “di emergenza”, presieduto da personalità all’altezza, come dice Bersani. Questa sì sarebbe una scelta responsabile, per il paese. I rischi di spendere, allo scopo, un tempo troppo lungo rispetto alla drammaticità della situazione mi pare non siano superiori a quelli che corriamo con le decisioni di un governo e di una maggioranza che non ha più alcuna credibilità, né nazionale né internazionale.
VINCENZO ORTOLINA - 15 agosto 2011
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