giovedì 15 settembre 2011

E se volessimo / dovessimo ammortizzare il debito pubblico ?

Tratto da http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2011-09-12/debito-costa-anni-lavoro-063955.shtml?uuid=AaQaee3D
Il grassetto è mio

Commenti e Inchieste - Il debito? Costa 20 anni di lavoro
di Gian Carlo Blangiardo - 12 settembre 2011

Il recente richiamo del presidente Napolitano alle «grandi riserve di risorse umane e morali, d'intelligenza e di lavoro di cui disponiamo (…)», rilancia il significato e il valore di quello che potremmo definire il "patrimonio demografico", ossia l'insieme di tutti coloro che oggi vivono e operano nel nostro Paese.

È infatti nella popolazione italiana, con o senza formale cittadinanza, che vanno cercate le forze capaci di garantire sviluppo e qualità della vita alla comunità nazionale ed è dunque sulla consistenza e sulle caratteristiche della popolazione che conviene riflettere per cogliere la reale portata della "riserva di capitale umano" cui è in via naturale affidato il futuro dell'Italia.
Limitandoci a considerare gli aspetti quantitativi e gli elementi strutturali di base del nostro patrimonio demografico, si osserva come gli attuali 60 milioni e 600mila italiani abbiano mediamente alle spalle 43,5 anni di vita e, sulla base delle aspettative di sopravvivenza del nostro tempo, ne avranno ancora mediamente altri 40,2.

Preso atto del sorpasso (non banale) tra anni spesi e anni ancora da consumare - il che lascia intendere il rischio di una società sempre più propensa a valorizzare l'esperienza del passato e sempre meno incentivata a costruire e investire nel suo futuro - il dato sull'aspettativa media assegna al complesso della popolazione italiana del 2011 circa altri 2,4 miliardi di anni di vita residua. Un ricco patrimonio che, se ci si pone nell'ottica di comprenderne la potenzialità rispetto ad alcune importanti problematiche presenti e future, sembra interessante rileggere secondo le sue tre fondamentali componenti che stanno alla base del ciclo esistenziale: il tempo della formazione, quello del lavoro e infine quello della pensione.

In particolare, applicando ai dati sulla struttura per sesso ed età della popolazione italiana del 2011 un modello di calcolo che tiene conto dei corrispondenti livelli di sopravvivenza e ipotizza l'ingresso nel mondo del lavoro a 20 anni e l'uscita a 60 per le donne e a 65 per gli uomini, si scompongono i 2,4 miliardi di vita residua in 1,17 miliardi di anni di lavoro, 1,14 miliardi di anni di pensione e solo 119 milioni di anni di formazione. In altri termini, ipotizzando un'equa spartizione del patrimonio demografico tra tutti gli attuali abitanti, 2 dei 40,2 anni che ancora mediamente ci spettano verrebbero spesi in formazione, 19,4 anni in lavoro e 18,8 verrebbero vissuti in pensionamento. Ne segue che se, a partire da tali risultanze, immaginassimo di ammortizzare i 1.843 miliardi di euro del debito pubblico che affligge il nostro paese (fonte Eurostat 2010), accollandocene una quota costante per ogni futuro anno di lavoro, si quantificherebbe in 1.567 euro annui il contributo necessario per l'estinzione del debito stesso.
O almeno ciò è quanto si verrebbe ad avere con la stessa ipotesi sulle soglie di accesso/uscita dal mercato del lavoro insieme all'assunto (ben più impegnativo) di una perfetta coincidenza tra essere in età da lavoro e svolgere realmente un'attività lavorativa.
Accantonando quest'ultimo aspetto - che pur si riconosce come obiettivo assolutamente importante e prioritario - e proseguendo nell'esplorazione delle potenzialità del patrimonio demografico italiano, può essere utile una verifica di "cosa accadrebbe se" le tanto dibattute regole sull'età di uscita dal mercato del lavoro dovessero subire taluni dei cambiamenti che da più parti vengono ventilati.
Ad esempio, introducendo l'equiparazione tra uomini e donne nell'uscita dal lavoro a 65 anni, le conseguenze sulle componenti del patrimonio demografico degli italiani sarebbero un aumento di circa 100 milioni del complesso degli anni di lavoro e un calo dello stesso ammontare degli anni di pensione.

L'equiparazione avrebbe come effetto la crescita di 1,8 anni della durata media del tempo di lavoro e determinerebbe la riduzione di 134 euro del contributo necessario per l'ipotetica estinzione del debito pubblico. Lungo la stessa direzione si muovono le componenti anche nell'ipotesi, non del tutto irrealistica, di estensione dell'uscita dal mercato del lavoro al 67esimo anno di età per entrambi i generi. In tal caso il totale degli anni di lavoro attesi salirebbe a 1,38 miliardi, sottraendo al pensionamento altri 90 milioni di anni in più rispetto al precedente caso di soglia unificata al 65esimo compleanno. Il tempo di lavoro aumenterebbe di altri 1,5 anni e il carico necessario per ammortizzare il debito pubblico scenderebbe a 1.340 euro per ogni anno di lavoro.

È indubbio che le leve per rispondere alle sfide delle emergenze, già in atto o che si prospettano, debbano agire su più fronti e non è solo sull'età al pensionamento che ci si deve soffermare. L'obiettivo di accrescere la partecipazione al mercato del lavoro chiama in causa il "quando si comincia" e "quanto e chi si offre" prima ancora del "fino a quando" si lavora. Tuttavia l'esistenza delle dinamiche e dei vincoli strutturali nel patrimonio demografico italiano svolgono un ruolo che non può essere ignorato. Se si pensa che nel 2030, ove dovessero persistere soglie di pensionamento a 60 anni per donne e a 65 per gli uomini, il patrimonio demografico degli italiani di allora sarà caratterizzato da un pericoloso sorpasso: 1,13 miliardi di anni di pensione a fronte di 1,07 miliardi di anni di lavoro. Il tutto mentre sarà salito a 1.728 euro il contributo annuo da chiedere a ogni lavoratore per poter ammortizzare il debito pubblico. Sempre che quest'ultimo, nel frattempo, non si sia ulteriormente accresciuto. Direttore del Dipartimento di Statistica Università di Milano-Bicocca

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