SPERIMENTAZIONE ANIMALE
Modelli animali e malattie: due facce della stessa medaglia
Dopo le azioni violente, come l’assalto allo stabulario del Dipartimento di Farmacologia dell’Università di Milano e la "liberazione" e trasferimento degli animali dagli ambienti perfettamente condizionati in cui vivevano, ai freddi, umidi e malsani bagni di casa, ora gli animalisti ci provano con la "moral suasion" (absit iniuria verbis, dato che finora la si è riferita al Presidente Napolitano). Così la Sen. Amati (Pd) ci informa su L’Unità del 27 Dicembre che "gli animali sono esseri "senzienti", giusto, ma questo vale anche per specie del mondo vegetale, come quelle piantine carnivore, in vendita nei supermercati, capaci di catturare gli insetti che si posano sulle loro foglie a forma di tagliola.
Ma la strategia più raffinata è quella che si è dimostrata vincente nella lotta alle Br o alla mafia: l’uso dei "pentiti", ricercatori cioè, arruolati in una lotta contro la ricerca.
In questo, l’On. Michela Vittoria Brambilla (Fi) ha precorso i tempi, avendo acquisito come testimonial della sua campagna una ricercatrice, la dott.ssa Susanna Penco, patologa generale presso il Dipartimento di Medicina Sperimentale dell’Università di Genova, la quale ha dichiarato che la sperimentazione animale costituisce un inutile dispendio di risorse e di energie, che potrebbero essere più efficacemente rivolte alle ricerche sull’uomo.
Secondo la dott.ssa Penco gli studi sugli animali non sono applicabili alle malattie umane perché gli animali sono troppo diversi dall’uomo. Ora, non bisogna essere laureati in Medicina per capire che le affermazioni della Penco sono contraddette dalla storia stessa della medicina, dai primordi, fino ai nostri giorni.
Valga per tutti un esempio relativamente recente: negli anni 60, il farmacologo Arvid Carlsson sviluppò nel ratto un modello di Morbo di Parkinson con la semplice somministrazione di un farmaco, la reserpina.
Dallo studio di questo modello, Carlsson concluse che la malattia umana fosse dovuta ad una carenza di dopamina, proponendo quindi l’L-Dopa, il precursore naturale della dopamina, come razionale terapia.
Nel 2001 fu Carlsson, il "medico dei topi", ad essere insignito del premio Nobel per la Medicina, piuttosto che i clinici che, grazie ai suoi studi, testarono con successo l’L-Dopa nei parkinsoniani.
In questo, l’On. Michela Vittoria Brambilla (Fi) ha precorso i tempi, avendo acquisito come testimonial della sua campagna una ricercatrice, la dott.ssa Susanna Penco, patologa generale presso il Dipartimento di Medicina Sperimentale dell’Università di Genova, la quale ha dichiarato che la sperimentazione animale costituisce un inutile dispendio di risorse e di energie, che potrebbero essere più efficacemente rivolte alle ricerche sull’uomo.
Secondo la dott.ssa Penco gli studi sugli animali non sono applicabili alle malattie umane perché gli animali sono troppo diversi dall’uomo. Ora, non bisogna essere laureati in Medicina per capire che le affermazioni della Penco sono contraddette dalla storia stessa della medicina, dai primordi, fino ai nostri giorni.
Valga per tutti un esempio relativamente recente: negli anni 60, il farmacologo Arvid Carlsson sviluppò nel ratto un modello di Morbo di Parkinson con la semplice somministrazione di un farmaco, la reserpina.
Dallo studio di questo modello, Carlsson concluse che la malattia umana fosse dovuta ad una carenza di dopamina, proponendo quindi l’L-Dopa, il precursore naturale della dopamina, come razionale terapia.
Nel 2001 fu Carlsson, il "medico dei topi", ad essere insignito del premio Nobel per la Medicina, piuttosto che i clinici che, grazie ai suoi studi, testarono con successo l’L-Dopa nei parkinsoniani.
E’ passato mezzo secolo dagli studi di Carlsson e l’uso di modelli animali in vivo ha fatto enormi progressi, con la creazione di animali transgenici portatori degli stessi geni che nell’uomo sono implicati nelle malattie.
Sono proprio questi animali "umanizzati’’, capaci di sintetizzare le stesse proteine dell’uomo, sano o malato, che hanno permesso lo studio e lo sviluppo di farmaci biologici (per es.anticorpi monoclonali) o di virus capaci di inattivare o di impedire la sintesi di proteine patologiche o di promuovere la sintesi di quelle mancanti.
La Penco liquida gli studi sui modelli animali affermando che, essendo pubblicate su prestigiose riviste scientifiche, servono solo alla carriera degli autori, e questo basterebbe a far capire che c’è qualcosa che non torna nei suoi argomenti.
In realtà, le affermazioni della Penco sembrano dettate più da scelte personali, rispettabili, ma prive di basi scientifiche. Se certe malattie non hanno ancora una terapia capace di controllarle, se non di curarle, non significa che i modelli animali non servono a niente. Il fatto è che la scienza non può fare miracoli, il caso Stamina docet, ma la storia della medicina insegna che l’applicazione paziente e rigorosa del metodo scientifico, di cui gli esperimenti sui modelli animali sono un aspetto irrinunciabile, può portare al controllo e talvolta alla cura di malattie considerate intrattabili.
Ciò che dovrebbe far riflettere la dott.ssa Penco è che la sua idea di azzerare gli studi sperimentali per potenziare quelli clinici finisce per colpire non solo la sperimentazione animale ma la medicina in generale. Infatti, la contrapposizione tra studi sperimentali e studi clinici è espressione di una visione manichea, del tutto estranea, sia storicamente che praticamente, alla medicina.
Ciò che sfugge alla Penco, come ad altri che vorrebbero escludere la ricerca di base e preclinica sull’animale, è che per essere efficaci le terapie devono essere razionali, devono cioè colpire il cuore della patologia e per far questo bisogna prima conoscere il substrato biologico dal quale la patologia si sviluppa o sul quale si insedia.
Per questo motivo, non ha senso separare la conoscenza della normalità da quella della patologia o la ricerca di base da quella biomedica traslazionale, riferita cioè alle malattie.
Sono proprio questi animali "umanizzati’’, capaci di sintetizzare le stesse proteine dell’uomo, sano o malato, che hanno permesso lo studio e lo sviluppo di farmaci biologici (per es.anticorpi monoclonali) o di virus capaci di inattivare o di impedire la sintesi di proteine patologiche o di promuovere la sintesi di quelle mancanti.
La Penco liquida gli studi sui modelli animali affermando che, essendo pubblicate su prestigiose riviste scientifiche, servono solo alla carriera degli autori, e questo basterebbe a far capire che c’è qualcosa che non torna nei suoi argomenti.
In realtà, le affermazioni della Penco sembrano dettate più da scelte personali, rispettabili, ma prive di basi scientifiche. Se certe malattie non hanno ancora una terapia capace di controllarle, se non di curarle, non significa che i modelli animali non servono a niente. Il fatto è che la scienza non può fare miracoli, il caso Stamina docet, ma la storia della medicina insegna che l’applicazione paziente e rigorosa del metodo scientifico, di cui gli esperimenti sui modelli animali sono un aspetto irrinunciabile, può portare al controllo e talvolta alla cura di malattie considerate intrattabili.
Ciò che dovrebbe far riflettere la dott.ssa Penco è che la sua idea di azzerare gli studi sperimentali per potenziare quelli clinici finisce per colpire non solo la sperimentazione animale ma la medicina in generale. Infatti, la contrapposizione tra studi sperimentali e studi clinici è espressione di una visione manichea, del tutto estranea, sia storicamente che praticamente, alla medicina.
Ciò che sfugge alla Penco, come ad altri che vorrebbero escludere la ricerca di base e preclinica sull’animale, è che per essere efficaci le terapie devono essere razionali, devono cioè colpire il cuore della patologia e per far questo bisogna prima conoscere il substrato biologico dal quale la patologia si sviluppa o sul quale si insedia.
Per questo motivo, non ha senso separare la conoscenza della normalità da quella della patologia o la ricerca di base da quella biomedica traslazionale, riferita cioè alle malattie.
Anche la possibilità di sviluppare metodi alternativi di sperimentazione dei farmaci che non comportino l’uso di animali vivi dipende da conoscenze di base che ancora, soprattutto per organi complessi come il cervello, non possediamo e che non possono essere acquisiti se non dallo studio dell’animale.
Nel suo intervento su L’Unità la Sen. Amati parla di una nuova era promossa dalla nuova legge sulla sperimentazione animale, nella quale gli studi in vivo saranno sostituiti da studi in silico, cioè su microcircuiti che ricreino quelli del cervello umano. e che renderanno il nostro paese "più competitivo e più efficiente nel settore della ricerca scientifica’’. Secondo questa visione tanto ottimistica quanto fantascientifica, i nuovi farmaci antidepressivi o quelli per il trattamento di malattie neurodegenerative come il Morbo di Parkinson, la Malattia di Alzheimer, la sclerosi multipla, la chorea di Hungtington, potranno essere sperimentati su un cervello artificiale. Peccato che siamo ben lontani dal riprodurre in silico l’enorme complessità del cervello dell’uomo e dei mammiferi in generale e, ancora di più, dal creare un modello virtuale di malattia del sistema nervoso centrale.
Nel suo intervento su L’Unità la Sen. Amati parla di una nuova era promossa dalla nuova legge sulla sperimentazione animale, nella quale gli studi in vivo saranno sostituiti da studi in silico, cioè su microcircuiti che ricreino quelli del cervello umano. e che renderanno il nostro paese "più competitivo e più efficiente nel settore della ricerca scientifica’’. Secondo questa visione tanto ottimistica quanto fantascientifica, i nuovi farmaci antidepressivi o quelli per il trattamento di malattie neurodegenerative come il Morbo di Parkinson, la Malattia di Alzheimer, la sclerosi multipla, la chorea di Hungtington, potranno essere sperimentati su un cervello artificiale. Peccato che siamo ben lontani dal riprodurre in silico l’enorme complessità del cervello dell’uomo e dei mammiferi in generale e, ancora di più, dal creare un modello virtuale di malattia del sistema nervoso centrale.
Purtroppo queste posizioni puramente personali o falsamente scientifiche, un danno l’hanno già fatto, o almeno hanno contribuito a farlo, dato che il Parlamento italiano, nel recepire la Direttiva dell’Unione Europea sulla sperimentazione animale, ne ha alterato radicalmente lo spirito, ponendo una serie di divieti e limitazioni, che, nel caso dei modelli animali transgenici, ne rendono molto difficile, se non impossibile, lo sviluppo e l’allevamento in Italia. Di questo dobbiamo ‘’ringraziare’’ l’attivismo di alcuni parlamentari di ambedue gli schieramenti.
Tuttavia, qualcosa si sta muovendo anche nella sinistra, come il dibattito in corso all’interno di Sel, inizialmente schierata contro la sperimentazione animale, dibattito dal quale è nata una petizione pro-sperimentazione di cui sono primi firmatari l’ex-ministro della Ricerca, Fabio Mussi e il nostro Giorgio Parisi.
Ancora su L’Unità, la Sen. Amati si appella a principi etici che riguardano gli animali, senza considerare che la sperimentazione animale ha anch’essa un fine etico: conoscere la biologia per capire la patologia ed usare queste conoscenze al fine di curare.
Sono quindi i malati che più di tutti dovrebbero farsi portatori, assieme ai ricercatori, dell’esigenza di facilitare, piuttosto che limitare, la ricerca sperimentale sull’ animale.
Tuttavia, qualcosa si sta muovendo anche nella sinistra, come il dibattito in corso all’interno di Sel, inizialmente schierata contro la sperimentazione animale, dibattito dal quale è nata una petizione pro-sperimentazione di cui sono primi firmatari l’ex-ministro della Ricerca, Fabio Mussi e il nostro Giorgio Parisi.
Ancora su L’Unità, la Sen. Amati si appella a principi etici che riguardano gli animali, senza considerare che la sperimentazione animale ha anch’essa un fine etico: conoscere la biologia per capire la patologia ed usare queste conoscenze al fine di curare.
Sono quindi i malati che più di tutti dovrebbero farsi portatori, assieme ai ricercatori, dell’esigenza di facilitare, piuttosto che limitare, la ricerca sperimentale sull’ animale.
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