martedì 10 febbraio 2015

Che destino ci attende?

Tratto da:  http://www.aldogiannuli.it/partito-unico-renziano/

Siete pronti al Pur (Partito Unico Renziano)?


Come avevamo detto, la frattura del Nazareno non era simulata ma realissima, perché si sbriciolava uno dei due assi portanti: Forza Italia. Renzi non sa cosa sia la lealtà, è un tattico ed è velocissimo. Ricordiamocelo sempre. Se cambia alleato, dopo non si lascia nemici alle spalle, ma punta in breve a radere al suolo l’ex alleato. E lo sta dimostrando con Berlusconi, che ha trovato uno peggiore e più cinico di lui.
In poche ore, dopo la rottura ufficiale del Nazareno, gli ha assestato una raffica di cazzotti da atterrare un bisonte: improvviso sblocco della questione dei diritti sul digitale (50 milioni di Euro da versare da parte della Mediaset), annuncio dello “scouting” fra i senatori di Forza Italia e Gal, cambio di posizione sul falso in Bilancio. Vedrete che rispunterà anche il conflitto di interesse e, neanche a dirlo, la mano sarà pesantissima sul caso Mediolanum che si lega al problema della Consulta.

Il Cavaliere vuol ricorrere alla Corte Costituzionale per la questione Mediolanum: la Banca d’Italia gli ha imposto di vendere il 24% delle azioni in suo possesso per aver perso i requisiti di onorabilità a seguito della sentenza per il falso in bilancio, altro effetto parallelo della legge Severino che, se dichiarata non retroattiva, consentirebbe al Cavaliere di tenersi la Mediolanum e di recuperare la candidabilità. Ne consegue che il Cavaliere abbia interesse vitale ad eleggere almeno un giudice della Consulta. Ora i posti da riempire sono due: uno per effetti delle dimissioni di Mattarella, l’altro perché pendente sin da settembre:  era stato riconosciuto a Forza Italia, e poi non eletto proprio per le sue fratture interne che avevano triturato candidati uno dietro l’altro. Non so se Forza Italia sia in grado ora di trovare l’intesa che era mancata 4-5 mesi fa, ma, anche se fosse, dubito molto sinceramente che Renzi insista nell’offerta. E le motivazioni di un cambio di cavallo ci sarebbero tutte: il polo di destra non esiste più, dopo il distacco di Fratelli d’Italia e della Lega e, come partito singolo, Fi ha meno seggi del M5s e non si capisce perché abbia più diritti di questo ad avere il giudice costituzionale; soprattutto, non c’è più il patto del Nazareno.
Tuttavia Renzi un problemino lo ha: per eleggere un membro della Corte c’è bisogno del 60% dei voti dei componenti del Parlamento in seduta comune (952 membri) e, per quanto egli stia assorbendo i rimasugli centristi e rubacchiando qualcosa a Fi ed al M5s, sembra difficile che arrivi a 571 voti. Vero è che su Mattarella ha messo insieme 665 voti (di cui una buona dose di delegati regionali), ma non è affatto sicuro che fittiani e Sel tornino a votare secondo ortodossia renziana, inoltre Alfano sta avendo abbandoni verso destra, poi il gruppo parlamentare Pd è sempre in ebollizione e non c’è da fare affidamento su tutti; infine gli assenti contano come voti contrari. Allora, il fiorentino ha due scelte: offrire uno dei due seggi alla Lega o al M5s, per mettere insieme la maggioranza necessaria. In ogni caso, lascia il Cavaliere a bocca asciutta.
Vedrete che finirà così. E per il Cavaliere potrebbe profilarsi un futuro molto nero, magari con il sole a scacchi, dato che la sua disfatta incoraggerebbe anche le iniziative penali esistenti o da venire. Non vorrei essere nei suoi panni.
Tornando all’asse centrale del nostro ragionamento, quale è il senso della strategia renziana denominata Partito della Nazione?  Una sorta di super-Dc, che tiene dentro il grosso della minoranza Pd (Bersani-Cuperlo, ovviamente molto ridimensionati al momento di formare le liste), frange di Sel, tutta l’ex area di centro (Scelta Civica, Alfano e Casini) ed anche fette della fu Forza Italia. Praticamente, lascerebbe fuori solo il polo di destra riunito intorno alla Lega ed il M5s che avrebbe funzione di polo di sinistra. Quanto ai resti di Sel e Rifondazione, a Civati e gruppi minori, il problema potrebbe non porsi per l’effetto combinato della legge elettorale e del “voto utile” che potrebbe lasciarli fuori del Parlamento o ridurli a una piccolissima pattuglia del tutto irrilevante.
Scommetto già da ora sul trasloco di un’altra fetta di Sel nel Pd. Neanche a dirlo, le due ali non sarebbero coalizzabili fra loro e così il corpaccione di centro potrebbe candidarsi a governare il paese per una vita. Anche perché Renzi, da buon democristiano, ha già iniziato l’occupazione del potere e va giù a rullo compressore, come la vicenda della “riforma” delle Banche popolari sta insegnando.
Poi, con la riforma del bicameralismo, il controllo su Quirinale, Csm e Corte Costituzionale sarebbe completo e la riforma del titolo V assicurerebbe il guinzaglio alle Regioni.
Insomma, una concentrazione di potere che la Dc dei tempi migliori non si sognava nemmeno. Questa strategia ha, però, diversi “buchi neri”. In primo luogo il problema è la rappresentatività di un simile partito. Un po’ di parlamentari in fregola di rielezione -sia ex Fi che ex Sel – li si può anche mettere insieme: è gente di mondo che si adatterebbe a qualsiasi cosa, pur di tornare sui banchi di Montecitorio; però non è detto che la relativa base sociale sia disposta a seguirli. Il pubblico impiego vuole la conservazione delle sue garanzie e, soprattutto, l’illicenziabilità e non vuol sentir parlare di tagli alla spesa, i lavoratori autonomi vogliono che cali la pressione fiscale, i pensionati vogliono mantenere il loro potere d’acquisto, gli utenti dei servizi pubblici vogliono servizi almeno un po’ più decenti e a prezzi più o meno attuali, i lavoratori dipendenti vogliono retribuzioni accettabili, giovani vogliono trovare lavoro, i risparmiatori vogliono la garanzia sui titoli di Stato e interessi appetibili e, tutti insieme, vogliono una sanità efficiente ed a costi non demenziali. Ma, Renzi dove trova le risorse per soddisfare una simile domanda politica? La Dc privilegiava i lavoratori autonomi ed il pubblico impego a scapito dei lavoratori dipendenti dell’industria, consentiva una evasione fiscale selvaggia ma aveva uno stato sociale  molto meno costoso, apriva i cordoni della borsa per lavori pubblici inutili (che producevano insieme occupazione e tangenti), ma comprimeva le pensioni e, soprattutto, aveva la gallina delle uova d’oro del debito pubblico in ascesa che apriva praterie vastissime per la raccolta del consenso. Renzi, non solo non ha la possibilità di alimentarsi con nuove emissioni di bond, ma deve pagare la super tassa degli interessi sul debito accumulato ed un po’ di nuovo debito può servire si e no al pagamento degli interessi. Perché, quello di Renzi, prima ancora che delle Nazione, è il partito delle banche. Inoltre, il paese è in recessione (non fatevi ingannare dalla momentanea miglioria dovuta al petrolio a buon prezzo ed all’Euro debole sul dollaro, che dà un po’ di fiato alle esportazioni) e, realisticamente, il gettito fiscale diminuirà piuttosto che aumentare. Stretto fra una economia che soffoca e il rigore del fiscal compact e del pareggio di bilancio, Renzi può solo ripetere la disperata ironia di Nino Taranto, che, indicando il mare di cambiali sul tavolo e l’ufficiale giudiziario alle spalle, diceva: “E cu’ stu mare annanz e ‘stu sciandino areta, Cameriè: acqua e anice e ‘na foto a colori formato gabbinetto!”.
Di fatto, la sommatoria di ceti politici non si tradurrà in una coalizione sociale, sia perché la coperta è troppo corta e mancano le risorse necessarie alla raccolta del consenso, sia perché si tratta di un ventaglio di interessi troppo eterogeneo: gli interessi delle banche, il potere di acquisto dei pensionati, le aspettative dei giovani, la protesta antifiscale degli autonomi, il salario dei dipendenti privati ecce cc. E c’è anche troppa disomogeneità culturale: se per un elettore di centro potrebbero non esserci problemi a convivere in un partito con Pierluigi Bersani e Denis Verdini, un elettore di destra potrebbe ritenere inaccettabile la presenza del primo e uno di sinistra del secondo. Nonostante l’annacquamento delle culture politiche di questo trentennio, in Italia restano zolle di elettorato fortemente caratterizzate come di destra o di sinistra. Ne consegue che la liquefazione dei partiti tradizionalmente percepiti come destra (Forza Italia, Alleanza Nazionale) crea un vuoto che la Lega non riesce a riempire, perché percepita come troppo “estremista” e territorialmente delimitata e, perciò stesso, non competitiva con il partito di Renzi. Similmente, sul fianco di sinistra il collasso della cd “Sinistra Arcobaleno” e il crescente malcontento della residua base ex Pci nel Pd, crea un bacino elettorale inespresso, che non è disposto ad andare nel M5s, ma non prende neppure in considerazione l’ennesimo pateracchio elettorale fra Sel, Rifondazione ecc, magari con la Fiom. Sia l’area degli insoddisfatti di destra che quella di sinistra si dirigono piuttosto verso l’astensione che si ingrossa ed ormai sfiora il 40%. Una situazione che non può durare indefinitamente e che, prima o poi, “precipiterà” condensandosi su un nuovo soggetto politico.
Oggi il lavorìo per la nascita di un potenziale nuovo partito di centro destra è particolarmente accentuato a destra (ci stanno provando Benetton, Della Valle ma soprattutto Passera), ma, per lo più, si tratta di stanche repliche dell’imprenditore che “scende in campo”: un film già visto che non eccita più nessuno. Peraltro, il cadavere del Cavaliere ostacola qualsiasi ipotesi alternativa e, sino a quando non sarà tolto di mezzo e sepolto, l’ipotesi di una nuova aggregazione di centro destra ne risulta fortemente disturbata.
A sinistra le cose sono molto meno dinamiche: la sinistra Pd ormai sembra accucciata ai piedi di Renzi (con la sola eccezione di Civati), ed il resto non sa proporre altro che il solito rimescolone di nuove sigle e vecchie facce: Sel e Vendola, Lista Tsipras, Rivoluzione civile, Ferrero, Landini, Fiom… Ma sono tutti morti.
Quanto al M5s, non è certo nel suo momento più smagliante e, per almeno ora e per ben che vada, non sembra in grado di andare oltre il risultato di due anni fa. Peraltro, allo stato attuale, il M5s non sembra interessato a trovare alleati per una coalizione.
Ne deriva una situazione di stallo nella quale Renzi non ha sfidanti credibili. Questo se si votasse oggi o fra un anno. Ma il 2018 (o l’autunno del 2017) non sono vicinissimi e molte cose possono succedere.
Aldo Giannuli

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