martedì 26 luglio 2011

Milano, un mese e mezzo dopo le elezioni comunali

http://www.corriere.it/politica/11_luglio_24/moratti-intervista-pdl_ef03f240-b5c4-11e0-b43a-390fb6586130.shtml
L'INTERVISTA - Letizia Moratti: «Pdl senza senso etico»
L'ex sindaco di Milano: «Avverto un disagio profondo»

MILANO - Un mese e mezzo dopo aver lasciato Palazzo Marino, Letizia Moratti rompe il silenzio. «La manovra del governo è rigorosa. È stata approvata da Bruxelles. Ma non risponde alla domanda, che sale dal Paese, di una nuova etica politica. Non si possono chiedere ai cittadini sacrifici durissimi, senza fare sacrifici a propria volta. Non si possono tassare i pensionati, senza tagliare i costi della politica: gli emolumenti dei parlamentari, ma soprattutto le inefficienze della macchina amministrativa dello Stato, che costituiscono il maggior impedimento allo sviluppo del Paese. Questo mi induce oggi a riflettere sulla scelta che ho fatto due anni fa di entrare nel Pdl. Avverto un disagio profondo: non so più se la mia idea di politica, di una politica eticamente fondata, corrisponda ancora alla politica che pare aver smarrito il significato vero di servizio ai cittadini».

Letizia Moratti, sta pensando di lasciare la politica, o il suo partito?
«Di certo non lascio la politica. Non voglio comunque fare passi affrettati in un momento in cui verrebbero strumentalizzati per alimentare una polemica tra schieramenti che non produce riflessioni e chiarimenti profondi. È una scelta difficile perché mi sento stretta nella tenaglia tra una politica egoista, che difende privilegi e poteri, e una politica demagogica che cavalca il vento dell'opinione pubblica ma non affronta i nodi del sistema. Il mio impegno continua, nel solco del riformismo liberale e della solidarietà espressa nella dottrina sociale della Chiesa. Trovo però sempre più difficile riconoscermi in un partito che non ha saputo fare le scelte di libertà e di equità che il Paese chiedeva».

Quali colpe imputa al Pdl?
«La questione non riguarda solo il Pdl. Anche l'opposizione ha le sue colpe: nei momenti cruciali si è limitata ad astenersi e non ha mai fatto proposte concrete per il rinnovamento e la crescita del Paese. Ma la responsabilità della manovra è del partito di maggioranza. Il vero ostacolo alla crescita è questa resistenza al cambiamento. Purtroppo, l'impulso al cambiamento che era venuto dal governo Berlusconi del 2001, e prima ancora dai governi di centrosinistra, oggi sembra perduto».

Il Pdl si è appena dato un nuovo segretario, Alfano.
«Sarebbe ingiusto, prematuro, non corretto dare giudizi su chi si accinge a operare in un ruolo delicato. Massima apertura e rispetto. Ma il Pdl deve tornare alle radici. Alle forze del Partito popolare europeo. All'idea di libertà, di responsabilità individuale. Io seguirò con attenzione il nuovo cammino del partito. E ne trarrò le conseguenze».

Lei ha parlato di questo con Berlusconi?
«Sì. Ne ho parlato in passato, con Berlusconi e con Tremonti, e anche negli ultimi giorni. Ho espresso la mia convinzione che si debba andare oltre la politica dei tagli lineari, verso la spending review , un'autentica riforma della spesa pubblica. Invece si va nella direzione opposta. Si è ridotto al minimo lo scarto tra Comuni virtuosi e Comuni non virtuosi, riducendo sia la premialità per chi ha i bilanci in ordine sia le penalizzazioni per chi non li ha. La revisione e ristrutturazione della spesa pubblica erano state avviate dal governo Berlusconi nel 2001, ma sono state interrotte. Anche il cammino del federalismo fiscale è rimasto incompiuto. Manca la cultura dell'efficienza e del merito. Manca una forte motivazione etica».

Non crede che anche il tono della campagna elettorale e il clima da scontro finale con la magistratura spieghino il calo del Pdl, in particolare a Milano?
«A Milano, caso unico in Italia, il Pdl non è calato. Sommando i voti del partito a quelli della lista civica a me vicina, si arriva a quota 186 mila. Più che alle Regionali 2010, sui livelli delle Provinciali 2009».

Ma per la prima volta il centrodestra ha perso il Comune.
«E anche da questo si devono trarre riflessioni. È sempre doveroso riflettere sulle sconfitte».

Non crede che la strategia di Berlusconi abbia disorientato molti moderati?
«Il momento imporrebbe di operare per una maggiore coesione nel Paese, come ha più volte chiesto il presidente Napolitano. Non voglio fare polemiche sul passato. Metto in guardia su un pericolo: per chiedere i sacrifici ai cittadini occorrono consenso e credibilità. Rinviando i tagli della politica, non si hanno né l'uno, né l'altra».

Quali tagli propone?
«Se anche tutti i parlamentari si riducessero lo stipendio del 10 per cento, avvicinandosi alle medie europee, sarebbe un fatto poco più che simbolico. Bisogna agire su proposte di riforma molto più forti, che devono essere realizzate subito. Per esempio, la riduzione del numero dei parlamentari. La drastica riduzione, se non abolizione, delle Province; difese anche dal Pd, affezionato a privilegi e clientele. Il rilancio del progetto delle città metropolitane, cui all'Anci avevamo lavorato con il ministro Maroni. Il federalismo fiscale, con il meccanismo del fabbisogno standard, che introdurrebbe principi di maggiore qualità e minori costi nei servizi ai cittadini. Sulla sussidiarietà, sul trasferimento di funzioni ai privati, lavorano il governo britannico, quello tedesco, persino Obama. E il nostro? Tra il '92 e il 2000, con i governi Amato, Ciampi, Prodi, D'Alema, i costi della macchina amministrativa erano scesi di due punti di Pil. Segno che riformare è possibile».

Che effetto le ha fatto il caso Penati?
«I giudizi si danno alla fine. Mi sembra però la conseguenza di un allontanamento dallo spirito di servizio che dovrebbe sempre animare la politica. È quello che bisogna ritrovare».

E il caso Milanese?
«Idem. Dobbiamo essere più rigorosi possibile, quando è in gioco l'etica politica».

L'etica è un problema anche per il Pdl?
«Certo. L'ultima manovra è il risultato di una politica che ha perso il senso etico. Da qui il mio disagio. Ma in gioco c'è molto di più. In tutto l'Occidente si avverte la necessità di ritrovare una cultura del limite e il compito spetta prima di tutto alle classi dirigenti».

Pensa che la leadership di Berlusconi possa avere un futuro? O è finita?
«È finito il tempo di questa politica. Una politica che non è capace di coniugare rigore e crescita, che chiede sacrifici ai cittadini ma non li sa imporre a se stessa».

Il Pdl paga anche il fatto di aver lasciato troppo spazio alla Lega?
«Il Pdl deve recuperare la cultura dei popolari e dei liberali europei, che tutela i più deboli e non le rendite di posizione, che propugna una big society , come quella di Cameron. Il Pdl ha abbandonato questa via perché troppo forte è stato il condizionamento della Lega? Può darsi. Il Pdl deve tenere un dialogo più stretto con mondi attorno a cui potrebbe ritrovarsi, i moderati, i cattolici? Personalmente, ne sono convinta».

Ma dove immagina il suo futuro? Dopo Berlusconi, saranno altri leader e altri partiti a rappresentare i ceti moderati?
«Il mio impegno politico sarà indirizzato al dialogo con tutte le forze che intendono lavorare su una piattaforma programmatica davvero riformista, liberale e solidale. Le mie critiche vogliono ancora essere un contributo costruttivo al rinnovamento del Pdl. Mi auguro sinceramente che il Pdl possa mettersi alla guida di questo necessario cambiamento».

Se non lo fa?
«Se non lo fa il Pdl, lo faranno altre forze. I vuoti politici vengono sempre colmati».
Aldo Cazzullo - 24 luglio 2011(ultima modifica: 25 luglio 2011 08:10)

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