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Melzo. La festa è più bella se il vento è cambiato
Scritto da Nando dalla Chiesa
Tuesday 05 July 2011 - Il Fatto Quotidiano, 3.7.2011
E’ ufficiale. Ci sono ancora. Resistono in natura le feste politiche con quella faccia un po’ così. Ruspanti, sudate, gioiose. Pensate non per regalare tivù compiacenti al lìder màximo. O per annunciare passerelle di celebrità e filotti di concerti, a dimostrazione che si scoppia di salute. Ma nate nella testa di decine di dirigenti e militanti per stare in mezzo al popolo, farlo ballare, mangiare in spazi collettivi tra simboli e bandiere e, se possibile, discutere di politica. E per guadagnare qualcosa, così da finanziarsi convegni e manifesti e volantini nei mesi successivi. Alla festa democratica di Melzo, provincia est di Milano, se ne trova un esemplare. Arrivarci è un’ occasione per imparare e fare ottime conoscenze. Entri e subito dietro le casse che sputano scontrini a valanga (“ecco, le presento i militanti che contano” motteggia il padrone di casa) conosci Quintino Sella. E’ il nome di battaglia di Angelo, un tipo alto e distinto, occhiali e barba brizzolata, capelli tirati indietro. E’ il ministro del tesoro della festa. Solo che qui non c’è spazio per la finanza creativa. Qui l’obiettivo è trecentomila euro di incasso totale dal 14 giugno all’11 luglio. E i soldi che entrano devono essere tutti veri. Così alla fine di ogni sera viene segnato l’incasso su una grande tabella che campeggia alle spalle del ministro. E accanto alla cifra del giorno si aggiunge l’incasso totale al quale si è arrivati. Quando la sera si supera quota diecimila euro suona una campanella e scoppia la gioia dei militanti. Che applaudono: i sessanta-cento volontari per primi e tutti gli altri a ruota. “Qui la quarta settimana non è quella del piatto che piange”, spiega Antonio, che della festa è una delle menti. “La quarta settimana è quella che consente di guadagnare. Le prime tre servono a coprire le spese. Poi arrivano gli euro buoni. Che vengono divisi tra i circoli del partito. Sono quattordici i comuni che si sono consorziati per fare la festa: Melzo, Gorgonzola e Cassano d’Adda sono i più importanti. I soldi vengono assegnati secondo il peso dei circoli, ma anche secondo il loro contributo di lavoro volontario”.
Già, i volontari. Ma non assomiglia al professor Alfredo Canavero quel tipo maturo con i guanti bianchi intento a svuotare i tavoli? Che ci fa questo illustre docente universitario di storia contemporanea con le mani sui gusci delle cozze e i sacchi della spazzatura trasportati insieme alla moglie da un tavolo all’altro? Pullulano amministratori e dirigenti locali di partito. Ex sindaci di Cassina de’ Pecchi, Gorgonzola e Pozzuolo Martesana. La moglie del nuovo sindaco di Pessano con Bornago, via il vestito di rappresentanza che aveva a Milano in prefettura il 2 giugno. E Mario Barbaro, tre volte sindaco di Melzo, ora impegnato nel volontariato con gli immigrati dai francescani di Sant’Angelo a Milano. E Salvatore, l’idraulico. “Per gli impianti della festa”, racconta Barbaro, “ci avevano fatto un preventivo di tremilaseicento euro, lui ne ha chiesti ottocento e duecento li ha pure lasciati al partito”. E Pinuccia che sa di politica messa al bancone e Aurora in cucina (“ma in casa sono io che leggo, mio marito guarda la tivù”), due delle tante signore che consentono di ospitare mille persone a sera. Schizzi di buon umore anche alle pentole e ai tavoli, “la mano è un po’ unta ma non è inquinata, stia tranquillo”.
E la politica? Be’, di quella si discute mangiando e nei capannelli, e in fondo non è un male. I dibattiti ci sono, ma avvengono in condizioni eroiche, roba da corsi di sopravvivenza. Tra i megadecibel musicali che giungono dalla pista da ballo e il tendone chiuso nell’illusione di tener fuori la musica e che invece rende invisibili gli incontri, è una gara titanica ad arrivare alla fine. E poi pure i fuochi d’artificio. Si balla il liscio. Romagna o Lombardia, è sempre quello che comanda. Un giorno gratis, un altro si paga. Due euro, spiega Leopoldo dandosi un gran daffare per contrastare gli inconvenienti tecnici, soprattutto i cali della tensione elettrica. Arrivano a sciami quelli che qui chiamano con affetto “i ragazzi del ‘99”. Talora si portano da casa anche la bottiglia dell’acqua. Conquistano la pista e poi iniziano a danzare. Si muovono quasi in gruppo, come i pinguini, sembra che sfiorino il pavimento, chi disegnando armonie soavi chi dondolando senza fantasia. Ogni tanto si intravedono coppie impegnate in giravolte più ambiziose e altre tese in stuzzicanti pose pelviche. E’ uno spettacolo che non si smetterebbe mai di osservare. Di là, sotto la grande struttura bianca del ristorante, le pizze sono arrivate a quota cinquecento, il pizzaiolo egiziano fa sfracelli. Intanto tra gli eroi del dibattito Serena, una giovane architetta, rilancia la sua proposta di premiare con qualche volumetria in più i costruttori osservanti delle regole, un giovane antidalemiano lamenta che di recente un giudice a Monza non abbia riconosciuto la qualità di clan mafioso alla famiglia dei Paparo, una signora chiede se il cardinale Scola sia stato mandato a Milano proprio ora perché ha vinto Belzebù Pisapia.
Sì, resistono ancora queste feste con la faccia un po’ così. E d’altronde ci sarà una ragione se alle ultime amministrative la Lombardia ha sorpreso tutti, centrosinistra che avanza ovunque, anche in provincia di Varese. Sarà stato pure il vento della storia. Ma il fatto è che qui qualcuno ha tenuto duro quando non c’era trippa per i gatti. E anche ora che va meglio non chiede nulla. Almeno per sé. “Ehi, Quintino Sella, a quanto siamo arrivati?”.
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