venerdì 3 ottobre 2014

TFR in busta paga?

Credo che solo i Renziani più sfegatati, quelli che hanno portato il cervello all'ammasso..., non si rendano conto delle conseguenze della proposta del loro "capo" di anticipare il TFR in busta paga,
Conseguenze per i lavoratori, per le imprese, per l'INPS, per l'erario.
Attendo ora la prossima brillante proposta:  rimettere la tassa sul celibato per incentivare i matrimoni...

P.S. tra le  clausole di garanzia della prossima legge finanziaria dovrebbe esserci un ulteriore incremento dell'IVA. Tassa che paghiamo tutti in modo non progressivo.

Per maggiori informazioni segnalo questo articolo: http://www.epossibile.org/tfr-la-busta-non-paga/
Scritto da qualcuno che è rimasto mal tollerato nel  PD.  E  forse non si rende conto che il PD sta andando da un'altra parte...

Tfr, la Busta non Paga

Di cosa parliamo quando parliamo di Trattamento di Fine Rapporto? E’ bene specificare che si tratta di retribuzione, seppur differita nel tempo. Con l’intervista a Ballarò, il presidente del Consiglio ha annunciato che, a far data da Gennaio 2015, tale reddito sarà inserito in busta paga. Non sono noti ulteriori dettagli della proposta ma risulta dalla narrazione giornalistica che tale riforma sia intesa dai proponenti come un intervento a favore dell’incremento dei salari. I giornali abbondano di ipotetici conteggi: 100 euro lordi in busta, da sommarsi in maniera semplicistica agli ottanta euro, il – per alcuni invisibile – “bonus Renzi”.
Va da sé che spostare ad oggi un guadagno di domani non può essere annoverato come un incremento di salario. E’, nei fatti, soltanto un anticipo. Un anticipo con invito alla spesa. I confini della riforma sono ancor tutti da decifrare e i dettagli non sono, in questo come in altri casi, affatto trascurabili e sono tali da rendere la medesima riforma nociva non solo verso i lavoratori ma anche per le casse dello Stato.
In primis, non è certo che l’anticipo in busta paga del Tfr sia in grado di re-innescare la domanda aggregata interna. Gli ottanta euro sono una testimonianza a sfavore di questo credo. In generale, il Tfr rappresenta per il lavoratore un surplus di risparmio a cui accedere in caso di necessità, secondo una fattispecie definita per legge (n. 297/82), ovvero per astensione facoltativa di maternità, formazione, spese mediche per terapie e interventi, acquisto o costruzione della prima casa per sé o per i figli, ristrutturazione straordinaria della casa di proprietà. La ratio originaria di questa norma, che prevede quindi un accantonamento obbligatorio operato alla fonte, è quella di fornire al lavoratore una forma di previdenza diversa da quella pensionistica. Essendo obbligatoria la sua erogazione al termine di ogni rapporto lavorativo, quale sia l’origine della sua interruzione, la liquidazione ha allo stesso tempo una funzione sussidiaria degli ammortizzatori sociali, poiché interviene proprio nel momento della perdita del posto di lavoro.
La riforma del 2005 introduceva poi la facoltà per il lavoratore di destinare il Tfr a fondi pensionistici complementari. Pur applicando il meccanismo del silenzio-assenso, per cui in assenza di un comportamento attivo del lavoratore il Tfr veniva inderogabilmente attribuito al fondo integrativo negoziale di categoria, la legge 252/2005 rispettava il principio originario dello scopo previdenziale dell’accantonamento. Invece, la mancata accumulazione di capitale che la riforma descritta da Renzi determinerebbe, costituisce un danno per il lavoratore poiché verrebbe limitata la possibilità dell’anticipazione del capitale cumulato nei casi di necessità che, stante alla loro indifferibilità, finirebbero per indirizzarlo verso un maggior indebitamento rispetto al sistema bancario. Il Tfr, fra l’altro, rappresenta in molti casi l’unica garanzia che il lavoratore può offrire per l’accesso al credito (ad esempio, per la Cessione del quinto). Sarà pur vero che negli altri paesi europei “il Tfr non esiste”, come sostiene il presidente del Consiglio, tuttavia è innegabile che esso assolva ad una funzione assicurativa che altrimenti verrebbe persa e dovrebbe quindi essere reintegrata per via volontaria ricorrendo a forme di risparmio individuale.
In secondo luogo, il lavoratore perderebbe la rivalutazione degli interessi, che nel caso di Tfr lasciato all’azienda, è pari al tasso fisso dell’1,5% annuo più il recupero del 75% del tasso di inflazione, mentre nel caso di assegnazione ai fondi complementari, è dipendente dalle fluttuazioni del mercato ma pur sempre intorno al 4/5% annuo (nel 2013, i fondi pensione negoziali hanno reso in media il 5,4% mentre il rendimento medio dei fondi pensione aperti è stato dell’8,1 per cento [...] Dal 2000 ad oggi il rendimento cumulato dei fondi pensione negoziali è stato pari al 48,7% rispetto al 46,1% ottenuto dal «trattamento di fine rapporto» – Il Sole 24 Ore).
Non è affatto chiaro, inoltre, se la porzione di Tfr anticipato in busta continuerà ad essere soggetta a tassazione separata, se deriverà da una libera scelta del lavoratore oppure se l’attribuzione sarà applicata in forza di legge. Le organizzazioni imprenditoriali lamentano la possibile crisi di liquidità che si potrebbe generare in seguito alla riforma: oggi nessuna piccola o media impresa riesce ad accantonare la quota di Tfr e l’anticipazione in busta della liquidazione costringerebbe al ricorso al credito bancario, con ulteriore incremento dei costi.
Ma non è tutto: la riforma del 2005 ha imposto alle aziende con più di 50 dipendenti di trasferire il Tfr inoptato presso un fondo unico nazionale, gestito direttamente dall’INPS. Secondo la relazione Covip del 2013, “circa 6 miliardi di euro risultano confluiti nel Fondo per l’erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato dei trattamenti di fine rapporto di cui all’art. 2120 del codice civile, (cosiddetto Fondo di Tesoreria); sulla base dei dati disponibili a fine 2012, l’accantonamento annuale presso le imprese, comprensivo della componente di rivalutazione dello stock accumulato, è valutabile in circa 14,5 miliardi di euro” (1). L’eventuale scorporo, con erogazione diretta in busta paga del 50% della quota Tfr, determinerebbe una analoga riduzione negli accantonamenti presso il fondo di Tesoreria (2).
La Legge Finanziaria 2007 (Legge n. 296/2006, art. 1 comma 758) già destinava tali somme al finanziamento fino al 2009 di una lunga lista di attività, fra le quali il Fondo di competitività per le imprese e i lavori per la rete ferroviaria Alta Velocità/Alta Capacità (Elenco 1, Legge n. 296/2006). Nel 2010 questo meccanismo veniva seriamente criticato dalla Corte dei Conti (3), la quale lamentava i rischi delle operazioni di prelievo che lo Stato ha operato sul Fondo fra il 2007 e il 2010 (pari 15,86 miliardi di euro) nonché la scarsa trasparenza nell’utilizzazione delle risorse.
Al di là dell’opinabilità circa l’impiego – operato dai precedenti governi – del reddito (differito) dei lavoratori per sostenere la spesa pubblica per infrastrutture, è evidente come il Tfr – per le imprese con più di 50 dipendenti – sia già ‘fuori cassa’. Il Fondo di Tesoreria opera con il meccanismo della ripartizione, ovvero le liquidazioni restituite dal Fondo alle Imprese (e da queste ai lavoratori) sono pagate tramite gli accantonamenti dei lavoratori in esercizio. Una sorta di partita di giro che, se venisse parzialmente ridotta dalla paventata riforma, metterebbe seriamente a rischio la sopravvivenza del Fondo medesimo e di conseguenza il pagamento dei trattamenti di fine rapporto futuri.
Infine, occorre riflettere sull’abitudine di assegnare una valenza migliorativa a quanto fatto dagli ‘altri’ paesi.Negli altri paesi il Tfr non esiste, dice il presidente del Consiglio, e il meccanismo di accantonamento della liquidazione dei lavoratori italiani immediatamente sembra avvolto da un velo di obsolescenza. Ma siamo certi sia così? In Germania, scrive Daniele Fano su lavoce.info, “strumenti di risparmio a medio termine sono stati fortemente incoraggiati nell’’ultimo decennio •con i Riester plan” (4). Il legislatore tedesco ha cercato di incentivare il risparmio privato con piani pensionistici volontari: la riforma Renzi, invece, è indirizzata a stimolare la spesa per consumi delle famiglie, a discapito del risparmio previdenziale. Questo cambio di versonon procede di pari passo alla definizione di strumenti di welfare universali, come il reddito minimo e il sussidio di disoccupazione, e ciò evidenzia ancora una volta la mancanza di visione d’insieme del presunto riformismo renziano.
Giova inoltre ricordare che una simile proposta per una ‘terza via’ al Tfr fu pensata nel terribile (incombeva la crisi finanziaria e la lettere della Bce) Agosto 2011 da Roberto Calderoli. Gli argomenti impiegati all’epoca erano gli stessi, ovvero la necessità di attuare un stimolo alla domanda interna. Il progetto, stante all’emergere di una infinità di complicazioni, specie in relazione al Tfs, ‘Trattamento di fine servizio’ dei dipendenti statali, fu abbandonato nel giro di pochi giorni e restò sul campo della battaglia fra il ministro dell’Economia, Tremonti, Silvio Berlusconi e la cosiddetta ‘manovra delle Bollicine’ (cfr. Massimo Giannini, Repubblica). A riprova di tutto ciò, si legga il fondo di Massimo Riva (sempre Repubblica) del 19 Agosto 2011:
Ma è possibile che un premier sedicente imprenditore lasci circolare indisturbate, per esempio, anche ipotesi assurde sulle liquidazioni di fine rapporto? Non è chiaro a chi sia venuta in mente per primo la scemenza di anticipare a rate mensili in bustapaga gli accantonamenti per il Tfr. È viceversa chiarissimo che una tale sciocchezza può essere immaginata soltanto da chi ignora il peso e il ruolo assunto da tali cespiti sia nella struttura finanziaria di una qualunque azienda sia nel nuovo sistema della previdenza integrativa. Gli spettacoli da ora del dilettante hanno smesso di divertire anche sulle reti Mediaset (5).
E’ proprio vero che del passato (governo di centrodestra) non si butta via niente.
Sitografia



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