Tratto da "Il Giornale" di giovedì 13 agosto 2009 (un anno fa): LINK
Cossiga: "In radio divento il Deejay K" di Paolo Giordano
Il presidente emerito è la star di Un giorno da pecora su Radiodue: "Mi sono scoperto 'lanciatore' di dischi. Il mio idolo? La Pausini". Poi racconta: "Ho migliaia di cd. E sul web spendo una follia
Milano - Dunque, la notizia è che il presidente emerito è anche deejay. Non così, tanto per dire. Fa proprio il deejay ogni pomeriggio dalle 18 alle 19,30 su Radiodue nel programma Un giorno da pecora, vero cult dell’estate radiofonica. Lui, Francesco Cossiga, si fa chiamare Deejay K, parla di musica pop con una competenza che neanche Linus o Cecchetto e, come confermano i responsabili del programma, spedisce alla redazione i brani via email in formato mp3. Addirittura.
Segue nei commenti
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N.d.r.: Francesco Cossiga era titolare di stazione di radioamatore con il nominativo IO FCG
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5 commenti:
Cossiga: "In radio divento il Deejay K" di Paolo Giordano
Il presidente emerito è la star di Un giorno da pecora su Radiodue: "Mi sono scoperto 'lanciatore' di dischi. Il mio idolo? La Pausini". Poi racconta: "Ho migliaia di cd. E sul web spendo una follia
Milano - Dunque, la notizia è che il presidente emerito è anche deejay. Non così, tanto per dire. Fa proprio il deejay ogni pomeriggio dalle 18 alle 19,30 su Radiodue nel programma Un giorno da pecora, vero cult dell’estate radiofonica. Lui, Francesco Cossiga, si fa chiamare Deejay K, parla di musica pop con una competenza che neanche Linus o Cecchetto e, come confermano i responsabili del programma, spedisce alla redazione i brani via email in formato mp3. Addirittura.
Presidente, si sapeva della sua passione per la musica sinfonica. Ma il pop è una sorpresa.
«In effetti molti si meravigliano. Ovviamente mi piacciono Beethoven, Bach, Brahms. Ma già nel 1964 andai a Londra a seguire un concerto di Burt Bacharach. Anzi, sono tornato ad ascoltarlo recentemente anche all’Auditorium di Roma».
Però da qui a diventare Deejay K...
«Il nome se lo è inventato Claudio Sabelli Fioretti, l’ideatore del programma con Giorgio Lauro. E io mi diverto».
Si sente.
«Quando uno ha fatto il serio per tutta la vita, poi ci prende gusto a cambiar tono».
Però la passione per la musica leggera è di vecchia data.
«La ascoltavo anche quando ero al Quirinale. Nello Studio Bianco, che è un po’ defilato, avevo sempre la radio accesa con musica pop. E, se proprio vogliamo dirla tutta, sono stato tra i primi ad ascoltare la radio via internet».
Ancora adesso un’abitudine di pochi.
«Infatti sono venuti a casa mia i figli di due miei amici e si sono stupiti».
Magari ora acquista pure i brani musicali via download.
«Da iTunes naturalmente. Di solito costano 0,99 euro l’uno, però ce ne sono anche da 0,69 e da 1,29. Se poi uno vuole acquistare tutte le canzoni dell’album, c’è uno sconto. Ma questo è un trucchetto che conoscono solo i vecchi marchingegni come me».
E per la scelta?
«Spesso mi affido alla funzione «Genius» di iTunes, che ti aiuta a creare una playlist sulla base delle canzoni che sono già nel tuo hardware. Una ricerca per somiglianza».
E lei quante ne ha accumulate nel suo computer?
«Non me lo chieda, ho il disco pieno».
E quanto spende di media?
«Un sacco di soldi. Ma lo sa che ci sono le occasioni per risparmiare? E poi ho una collezione immensa di cd che sto trasferendo su hardware».
segue...
Popstar preferita?
«Dalla redazione mi chiamano sempre per chiedermi: oggi chi vuole lanciare? Loro ridono perché io uso ancora questo vecchio termine da deejay».
Oggi chi vuole lanciare?
«Mi piace molto James Blunt, il capitano dell’esercito inglese che fu tra i primi a entrare a Pristina ai tempi della guerra in Kosovo. Lì scrisse il suo bellissimo brano Carry me home, che vuol dire portami a casa».
Durante «Un giorno da pecora» lei lo ha dedicato a Pier Ferdinando Casini.
«Pensavo al ritorno nella Dc. Lo sa che Blunt fu anche uno degli ufficiali che trasportò il feretro della Regina Madre? Poi forse ha capito che facendo il cantante avrebbe guadagnato più denari. E in effetti You’re so beautiful, che ha composto per la sua prima fidanzata, è una canzone molto commovente».
E poi chi le piace?
«Michael Bublé, italiano da parte di madre».
Ha anche il passaporto italiano.
«Certo che lo so. Canta Call me irresponsible in modo perfetto».
In radio lei l’ha dedicata a Veltroni.
«Eh già».
Le piacciono solo stranieri?
«Laura Pausini è bravissima, la migliore che ci sia in Italia».
D’altronde ha duettato con Blunt.
«Ma lei lo sa di quale cantante italiano sono molto amico?».
Dica.
«Di Iva Zanicchi, da ragazza era nei gruppi giovanili della Dc. L’ho anche difesa quando qualcuno l’ha criticata per la sua nomina a europarlamentare. Ho detto: attenzione, questa è una signora che sa il fatto suo. Lei mi ha anche telefonato per ringraziarmi. E poi sento spesso anche Al Bano, che ai tempi era moroteo. Ci diamo del tu e mi riempie la casa con i suoi vini».
Ottimi rossi, molto robusti.
«Ho conosciuto sia Romina Power che Loredana Lecciso».
Secondo Claudio Sabelli Fioretti lei è molto orgoglioso di essere Deejay K. Dice pure che se ne fa vanto in giro.
«Mi sono inventato questo ruolo di lanciatore di dischi e mi piace da matti. Lo sa che Antonio Ricci mi ha proposto un contratto per Striscia La Notizia?».
E lei?
«Ho rifiutato. Ma solo perché i parlamentari non possono fare queste cose. Però, quasi quasi...».
Segnalo un articolo di Franco Monaco pubblicato sul Riformista.
LE CONTRADDIZIONI DI COSSIGA.
Con il trascorrere delle ore e dei giorni si può sperare in un giudizio più schietto e meditato sulla figura di Francesco Cossiga. Figura decisamente più controversa di quanto non risulti dal coro apologetico levatosi alla sua morte, con rare e deplorevoli eccezioni di segno radicalmente opposto: denigrazioni sino all'insulto e alla calunnia.
> Personalmente - avverto subito - mi iscrivo al fronte dei critici, non degli estimatori. Tuttavia, mi auguro, senza acrimonia e avanzando qualche argomento. In sintesi, semplificando drasticamente, direi così: quelli che sono stati rappresentati come paradossi espressione del suo genio politico sono stati più semplicemente contraddizioni irrisolte. Di più: contraddizioni non elaborate e governate ma, al contrario, da lui esasperate.
La prima: il suo profilo di cattolico fedele e libero, obbediente e fieramente laico. Egli si professava amico del Papa e docile al suo magistero. Ma, per esempio, prendeva a bersaglio con vere e proprie invettive, i due ultimi arcivescovi di Milano, Martini e Tettamanzi, muovendo loro l'accusa di deragliare dalla vera dottrina. Una contraddizione, a meno di accedere alla tesi, francamente audace, secondo la quale questi eminenti pastori non sarebbero fedeli alla Chiesa di Roma.
La sua stessa irridente polemica di "cattolico infante" contro i "cattolici adulti" e' a dir poco sorprendente. La locuzione di "cattolico adulto" non ha nulla di presuntuoso e polemico. Tale espressione fu coniata dai pastori
della Chiesa per definire la meta della formazione cristiana. La polemica, a ben riflettere, e' indirizzata contro la Chiesa del Concilio, con il suo investimento sull'autonomia responsabile del laicato cattolico nell'esercizio della mediazione culturale, politica e legislativa. In nome
della distinzione tra legge di Dio e legge degli uomini, tra morale,
diritto e legge specie dentro una società democratica e pluralista.
Distinzione propiziata dal Concilio e semmai singolarmente cara proprio alla tradizione cattolico-liberale. La cosa risulta sconcertante se solo si considera quanto la riforma conciliare e l'enfasi sulla coscienza responsabile del credente siano debitrici ai due autori forse più cari a Cossiga: Rosmini e Newman.
Secondo: la sua idea di Costituzione. Nei suoi comportamenti e, in forma
ancor più chiara ed organica in un suo scritto postumo affidato a Marzio Breda, Cossiga propone un'idea di Costituzione più conforme a una visione giacobina che non liberale. Di qui il suo giudizio tranciante sulla nostra Costituzione, a suo dire troppo garantista e mortificante la sovranità popolare. Tesi sostenibile, sia chiaro. Ma che indiscutibilmente si discosta dai paradigmi della democrazia liberale che tutta si regge su equilibri, controlli, bilanciamenti e comunque sull'idea architettonica del costituzionalismo contemporaneo: l'esigenza di porre limiti al potere di chi comanda.
Terzo: la sua presidenza della Repubblica e, segnatamente, gli ultimi due
> anni che l'hanno contraddistinta dopo i cinque sostanzialmente rutinari. I
> commentatori hanno esaltato la sua lucida e preveggente intuizione circa il
> collasso del sistema politico e il suo contributo all'accelerazione della
> crisi. Al riguardo pongo due quesiti. 1) Davvero, come egli sostiene,
> l'interventismo dei quattro ultimi presidenti (lui, Scalfaro, Ciampi,
> Napolitano), tutti effettivamente indotti a un di più di attivismo dagli
> squilibri di sistema connessi a una transizione difficile, si sono
> differenziati solo in ragione della loro indole soggettiva e delle
> oggettive esigenze di contesto? Personalmente penso che invece abbia pesato
> proprio quella diversa idea di Costituzione. La visione che appunto
> distingue arbitrariamente - come nella disputa che oggi oppone Napolitano a
> Berlusconi - una Costituzione formale (la sola che conta) a una asserita
> Costituzione materiale. 2) Ammessa e non concessa una tale idea di
> Costituzione, domando: spetta al capo dello Stato applicarsi attivamente
> alla sua delegittimazione e al suo superamento? Di più: in quali forme,
> considerato che la forma e' quasi tutto per il supremo organo di garanzia?
> Mi spiego: moderazione ed equilibrio, per il Quirinale, sono virtù
> istituzionalmente prescritte, non un optional, ne' un mero stile affidato
> alle inclinazioni soggettive. Di qui il mio giudizio severamente critico
> sulla presidenza Cossiga.
> Quarto: la guerra fredda interna. Si e' molto insistito sul fiero, energico
> anticomunista che poi patrocina l'ascesa di un ex comunista a palazzo
> Chigi. Con il nobile intento di sancire così la chiusura della guerra
> fredda interna. Proposito apprezzabile, ma, mi si consenta, decisamente
> presuntuoso, figlio del suo protagonismo/narcisismo. Processi e traguardi
> di tale portata esigono i loro tempi e modi appropriati. Quella
> scorciatoia/forzatura e il killeraggio dell'Ulivo (una delle due gambe del
> bipolarismo italiano) da lui perpetrato, letti a posteriori, non hanno
> giovato alla stabilizzazione della nostra democrazia dell'alternanza, al
> centrosinistra e neppure ai Ds e a D'Alema. Il quale, in un cenno
> autocritico retrospettivo in lui piuttosto infrequente, ha riconosciuto
> l'errore e il danno personale e politico.
Quinto: l'autonomia e il primato della politica, in Cossiga, si spingevano
> sino al compiaciuto elogio della cruda realpolitik, della ragion di Stato,
> dei meri rapporti di forza e di potere. E all'irrisione di chi si adopera
> per coniugare giustizia e potere, pace e diritti. Eppure l'idea del limite
> da porre alla politica e al potere e' molto liberale e molto cristiana.
> Suppongo che tale approccio abbia a che fare con la virulenza del
> polemista. Oggi ci si spiega che, al fondo, l'uomo era buono e incline a
> recuperare rapporti (da lui) lacerati. Picconava per amore, si dice. Non ho
> motivo di dubitarne. Ma resta la gratuita cattiveria con cui egli usava
> ferire anche (soprattutto?) persone amiche o un tempo a lui vicine,
> talvolta facendo loro male.
> Sesto. Sul piano strettamente politico, dopo la morte della Dc, egli si
> professava cane sciolto e dunque si prendeva la libertà di spiazzare:
> votando la fiducia una volta a Prodi e un'altra a Berlusconi. Due leader
> che più diversi e' difficile immaginare, sul piano umano, ideale,
> culturale e politico. I due attori protagonisti del bipolarismo italiano.
> Anche qui domando: funambolismo, paradosso o inspiegabile contraddizione?
> Ancora, la sua nomea di statista. Certo, il suo cursus honorum non ha
> paragoni, la sua erudizione aveva pochi eguali, i suoi autori e maestri
> (compreso Dossetti, poi sconfessato) erano uomini grandi, ma a volte egli
> aveva sconcertanti cadute di stile. Penso alla leggina istitutiva di un
> cumulo di privilegi e di desueti rituali per i presidenti emeriti della
> Repubblica, alla sua concreta sollecitudine per la corte che gli stava
> intorno a lenire la sua solitudine, alle liti tipo quella con il ministro
> degli esteri Ruggero per ottenere il passaporto diplomatico per un
> familiare, alla ossessione di attirare i riflettori su di sè con
> quotidiane invenzioni non sempre geniali ma quasi sempre polemiche e
> corrosive. Infine, l'uomo dei misteri nazionali. Anch'io mi sono fatto
> l'idea che egli un po' ci giocasse, che talvolta ne sapesse di più e
> talvolta di meno di quanto non millantasse. E tuttavia, trattandosi a volte
> di pagine dolorose e tragiche non solo per la Repubblica ma anche per
> persone e famiglie, mi chiedo se fosse giusto occuparsene con soverchia
> disinvoltura.
> In breve, un uomo controverso, le cui luci e le cui ombre sono affidate al
> tempo galantuomo. Un uomo, lo riconosco, che prendeva gusto a rompere gli
> schemi, a sfidare le convenzioni, a smascherare l'ipocrisia. Un uomo che
> detestava la retorica e che perciò ha diritto ad essere ricordato con
> parole di verità o quantomeno con onestà intellettuale anche dai suoi
> critici.
> Franco Monaco
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