lunedì 23 agosto 2010

Il potere (dopo Berlusconi) come mezzo o come fine ?

Segnalo un articolo di Franco Monaco che dovrebbe essere uscito su Europa del 14 Agosto:

IL PD OLTRE LA CRISI.
(potrete trovare il testo integrale nei commenti, copio qui solo la conclusione)

Al fondo, la madre di tutte le domande e' la seguente: perchè si fa politica? Certo chi sta in politica mira all'obiettivo di vincere, di sconfiggere gli avversari, di andare al governo, di conquistare il potere, ma a sua volta tale obiettivo dovrebbe rinviare a uno scopo ulteriore e più grande: quello di realizzare una società più libera e più giusta. Possibile che tocchi a me richiamare ai valori e alla ragione ideale e sociale di una sinistra, certo plurale e di governo, ma appunto una sinistra degna di questo nome, per la quale la conquista del potere sia un mezzo e non un fine?

3 commenti:

Franco Gatti ha detto...

IL PD OLTRE LA CRISI.

Se ho inteso bene, Bersani ha registrato la linea: senza più soverchie illusioni sul governo di transizione, si concentra sul dopo, si adopera generosamente per accorciare le distanze tra tutte le forze di opposizione e mette il PD alla testa di esse per organizzare una chiara alternativa.
Pur senza abbandonarla, si lascia sullo sfondo l'idea di imprecisati e improbabili governi di transizione. La strategia riconquista il suo giusto primato sulla tattica, la fiducia in se stessi sulla paura delle elezioni.
Sino a ieri si ragionava diversamente: quando si e' in guerra non si va tanto per il sottile. Ci si diceva: oggi siamo in guerra con Berlusconi e chi si interroga sulla sorte del bipolarismo italiano o comunque sull'evoluzione del sistema politico e' considerato eccentrico, politicista, insensibile alla priorità delle priorità, quella di sbarazzarsi dell'ingombro del Cavaliere. Il resto si vedrà. Curiosa la sorte di chi come me, fiero e dichiarato antiberlusconiano, oggi sente il dovere di obiettare che tutto il problema non si risolve nella persona di Berlusconi. Curioso anche che mi tocchi richiamarlo soprattutto all'indirizzo di chi sino a ieri ci ammoniva a "non demonizzare" Berlusconi e non escludeva forme di collaborazione. Anche perchè sono convinto che lo stesso proposito di liberarsi del premier non possa essere affidato a facili scorciatoie e a mere manovre parlamentari. Si richiedono una visione strategica e una competizione aperta. Provo a spiegarmi, cominciando appunto con la disputa sul bipolarismo per poi venire al passaggio stretto di come fronteggiare la crisi politica che si e' aperta.
E' opinione comune che il Cavaliere sia stato determinante nello sviluppo del bipolarismo italiano. Si può aggiungere che tuttavia la sua interpretazione assolutistica della democrazia maggioritaria (come tirannia della maggioranza), la sua versione populista della democrazia di investitura, la sua esasperazione dispotica della democrazia governante hanno gettato discredito sul bipolarismo, alimentando nostalgie verso la restaurazione (in senso etimologico-descrittivo) di un sistema multipartitico a base proporzionale. Personalmente penso si possa e si debba distinguere il paradigma dalle sue contraffazioni/degenerazioni. Che cioè si possa sostenere che Berlusconi e' stato e sia una sciagura in genere e, in ispecie, per la pessima interpretazione che egli ha dato e da' della democrazia maggioritaria; e contestualmente difendere il modello: quello di una democrazia competitiva e dell'alternanza, ove i cittadini scelgono i governi ed essi (governi) dispongano di strumenti (e tempi) atti a dare corso al programma incorporato nel patto con gli elettori. Una democrazia governante che ci metta nelle condizioni di tenere il passo dei paesi nostri partner-competitori e di bilanciare con un autorevole esecutivo centrale lo sviluppo del processo federalista interno ed esterno (europeo). Una democrazia che rafforzi un principio di responsabilità verso i cittadini-elettori chiamati poi a giudicare governi e partiti alla conclusione del mandato ricevuto.

Franco Gatti ha detto...

Anche la nostra gestione della crisi politica in atto, cioè la rottura della maggioranza e del PDL, deve essere inscritta dentro una visione di sistema. L'apertura ai centristi, a Fini, a Tremonti e persino Bossi, implicita nella proposta di un governo di transizione da parte del PD, non può prescindere da una visione di lungo periodo e di largo spettro, che investa appunto la conferma, la razionalizzazione ovvero la revoca del > bipolarismo italiano. Anche perchè, fuor di ipocrisia, e' di tutta evidenza che, allo stato, la proposta di un governo di larghe intese non ha chance alcuna, non ne esistono le condizioni ne' numeriche ne' politiche. Chi se l’è pensata aveva un'idea precisa: quella di offrire all'Udc (e ora forse anche a Fini) la legge elettorale proporzionale e alla Lega una sponda a sinistra per il federalismo. Si innestano qui alcune domande che il PD deve mettere a tema onde non consegnarsi a una logica emergenziale e a un tatticismo privo di una visione strategica, che può farci deragliare.
Primo quesito: verso la Lega dovremmo maturare un giudizio meno improvvisato e ballerino. Non si può passare dalla "convention ad excludendum" (rammento quando, pateticamente, Veltroni proponeva a Berlusconi un patto solenne con il quale tutti ci si impegnasse a non allearsi con Bossi) al proposito (illusione) di servirsi di Bossi per fare fuori Berlusconi. Ancora: il federalismo in salsa leghista e' materiale esplosivo, non lo si può maneggiare con leggerezza come arma tattica, ne' fare i carucci con Bossi e contestualmente scommettere sull'antileghismo al sud. Secondo interrogativo: davvero si pensa che i centristi (di sicuro non Fini) possano rappresentare un alleato strategico? Ha ragione Menichini: Casini e Fini, per indole, cultura e posizionamento, mirano a un centrodestra dopo e senza Berlusconi. L'alleanza del PD con loro può essere di una sola stagione. Forse di una sola tornata elettorale. Domando: si fa un affare se essa implica il prezzo della rinuncia al bipolarismo e, a regime, come si dirà più avanti, dell'autoisolamento del PD? Terzo quesito già posto da Ceccanti: reggerebbe l'unita' del PD a un rapporto così ravvicinato e subalterno a forze centriste cui sarebbe consegnato un esorbitante potere negoziale e forse persino la leadership, non entrerebbero in fibrillazione i centristi interni al PD? Quarto: un PD che tutto scommettesse su quel fronte dovrebbe mettere nel conto una rottura a sinistra e problemi nel rapporto con l'Idv. Con due corollari: 1) il sensibile depotenziamento del PD, il drastico ridimensionamento delle sue ambizioni, la rinuncia alla sua ben intesa vocazione maggioritaria, cioè di partito non autosufficiente ma, questo sì, perno e timone di una più vasta alleanza di centrosinistra nel solco dell'Ulivo; 2) la mutazione genetica dello stesso profilo identitario del PD, partito di centrosinistra che non delega ad altri la rappresentanza ne' del centro riformatore ne' della sinistra classica.

Franco Gatti ha detto...

Un partito residuale, che aprirebbe un'autostrada alla sua destra (sul centro) e alla sua sinistra. Un partito senza identità e senza ambizione, che tutto si giocherebbe nella conduzione tattica ed emergenziale, ma che rilascerebbe ad altri (i centristi, alleati di un turno e avversari domani) l'egemonia politica. Dentro uno scenario così, di stampo proporzionalistico e multipartitico, che evoca i partiti del primo tempo della Repubblica, la cosa curiosa e un po' paradossale e' che, nel PD, ci starebbero stretti e, alla lunga, sarebbero destinati a sentirsi fuori posto, proprio gli eredi delle due principali formazioni storiche del riformismo italiano: sia i veri cattolici democratici (che sono cosa altra e diversa dai dorotei) sia quelli che conferiscono spessore ideale alla sigla e alla militanza di sinistra.
Al fondo, la madre di tutte le domande e' la seguente: perchè si fa politica? Certo chi sta in politica mira all'obiettivo di vincere, di sconfiggere gli avversari, di andare al governo, di conquistare il potere, ma a sua volta tale obiettivo dovrebbe rinviare a uno scopo ulteriore e più grande: quello di realizzare una società più libera e più giusta. Possibile che tocchi a me richiamare ai valori e alla ragione ideale e sociale di una sinistra, certo plurale e di governo, ma appunto una sinistra degna di questo nome, per la quale la conquista del potere sia un mezzo e non un fine?
Franco Monaco

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