venerdì 25 luglio 2014

Se il Ministro per le riforme Maria on. Elena Boschi potesse leggere questa lettera! (1)

Lettera aperta al Ministro per le riforme Maria on. Elena Boschi.
Tratta dal sito di Aldo Giannuli:  http://www.aldogiannuli.it/2014/07/lettera-aperta-ministro-boschi/

Onorevole Ministro,

ho seguito lo scontro che Ella ha avuto in Parlamento con i senatori dei gruppi M5s e Sel, a proposito delle riforme istituzionali in corso d’opera. Ella ha comprensibilmente difeso il suo operato, negando che tali riforme costituiscano una svolta autoritaria caratterizzata da uno spirito illiberale. Al di fuori della polemica politica –in questo caso particolarmente accesa- vorrei sottoporLe pacatamente alcune considerazioni, a titolo puramente personale, come semplice cittadino e studioso della materia (come storico mi sono spesso occupato delle evoluzioni istituzionali del nostro paese, dal fascismo in poi). Naturalmente, non intendo attribuirLe alcun disegno autoritario e non metto in questione le intenzioni –sicuramente le migliori-, quanto piuttosto indicare alcune dinamiche oggettive che possano andare al di là delle intenzioni –sicuramente le migliori-.

Non sarebbe la prima volta che da una norma costituzionale sbagliata seguano conseguenze gravi ed estranee alla volontà del legislatore: sicuramente i costituenti di Weimar che inserirono nel testo l’art. 148 sullo stato d’eccezione, non immaginavano l’uso che ne avrebbero fatto i nazisti solo 12 anni dopo.


Entrando nel merito della questione, il rischio maggiore che io vedo in questa riforma è lo smantellamento delle misure a protezione della Costituzione volute dall’Assemblea Costituente: il sistema elettorale proporzionale (tacitamente sottinteso dal testo), il bicameralismo perfetto con la diversa base elettorale delle due Camere, l’integrazione del collegio elettorale per il Presidente della Repubblica con i rappresentanti regionali, l’istituzione di un giudice di legittimità costituzionale,  le maggioranze richieste sia per l’elezione del Presidente quanto dei giudici della Consulta, nonché per il processo di revisione costituzionale costituivano un insieme organico di norme a tutela del meccanismo di controllo e garanzia della Repubblica, in una raffinata architettura di pesi e contrappesi. E questo, per evitare il rischio di concentrare il potere nelle mani di un solo partito da cui sarebbe nato un regime.

Da circa venti anni è iniziato un processo di “mutamento costituzionale a rate” che ha finito per smantellare quell’accorta architettura a protezione della nostra norma fondamentale.

Di fatto, è con il passaggio dal proporzionale al maggioritario che è venuta meno la principale garanzia, vanificando il valore delle soglie stabilite dall’art. 138.

Infatti, vorrei ricordare che nel ventennio appena trascorso è passato il costume, sconosciuto in passato, delle riforme Costituzionali unilaterali, decise dal solo partito di maggioranza. Vorrei ricordare che in nessun sistema basato su una legge elettorale maggioritaria, il processo di revisione costituzionale è totalmente affidato al Parlamento, ma si prevede l’intervento del Capo dello stato, o dell’equivalente della Consulta o del referendum popolare -spesso obbligatorio ed in qualche caso preventivo- nel processo di revisione.

Tuttavia, sin qui, questo processo ha trovato qualche limite nel persistere della struttura bicamerale del nostro ordinamento: proprio la base elettorale regionale ha prodotto costantemente maggioranze di governo assai più risicate al Senato che alla Camera. D’altra parte, la composizione assai varia del collegio elettorale del Presidente (senatori a vita, delegati regionali, diversa composizione dei due rami del Parlamento) ed una persistente prassi costituzionale hanno contribuito a preservare una pur relativa terzietà del Presidente.  E (salvo che per la presenza dei delegati regionali) le stesse cose potremmo dire per l’elezione dei giudici costituzionali.

Ora, la riforma in corso di discussione, travolge anche questi residui paletti, lasciando solo quello, tenuissimo, della prassi costituzionale. Con la riduzione del Senato a 95 membri, il Parlamento in seduta comune passa da 1008 membri (più gli ex Presidenti) a 725, per cui la maggioranza assoluta dei votanti scende da 505 a 363 voti. Considerando che l’Italicum prevede un premio elettorale di 354 seggi per il vincitore, si ricava che bastino solo 9 senatori per assicurare al partito di governo il potere di eleggere da solo tanto il Presidente della Repubblica quanto i giudici costituzionali. Il Capo dello Stato, a sua volta, ha il potere di nominare altri 5 giudici che garantirebbero una maggioranza precostituita nella Corte di giudici di ispirazione governativa Con la stessa maggioranza potrebbe essere messo in stato d’accusa il Presidente che, quindi, dal momento dell’elezione al suo possibile deferimento all’Alta Corte, si troverebbe a dipendere totalmente dalla volontà del partito di maggioranza e, dunque, perdere gran parte della sua terzietà. La stessa nomina dei senatori non più a vita, ma per sette anni (esattamente la durata del mandato presidenziale) li configurerebbe come una sorta di “gruppo parlamentare del Presidente” da affiancare alla maggioranza di governo.

Mi si farà notare che le leggi costituzionali dovrebbero comunque passare al vaglio del Senato, che potrebbe avere un colore diverso da quello della Camera. Ma occorre considerare il carattere “iper maggioritario” del processo di formazione del nuovo Senato. Infatti, esso sarebbe eletto a maggioranza dalle assemblee regionali a loro volta elette con sistema maggioritario. Di fatto, questo significa la quasi totale esclusione delle formazioni minori e la spartizione quasi a metà del rimanente dei seggi fra i due principali partiti (o coalizioni), ma quello di governo potrebbe giocare in più la carta dei 5 senatori di nomina presidenziale.

Di fatto, il partito vincitore delle elezioni avrebbe il concreto potere di mettere mano a piacimento alla Costituzione e, dove non vi riuscisse in sede parlamentare, potrebbe poi sempre contare su una compiacente interpretazione di una Corte Costituzionale addomesticata.

Certamente né Ella né il Suo partito hanno in mente un simile piano di occupazione del potere, ma chi può garantire che domani la maggioranza non sia conquistata da un partito con minori scrupoli democratici?

D’altro canto, onorevole Ministro, non Le sfuggirà la situazione assai critica in cui versa questo processo di revisione costituzionale, condotto da un Parlamento che ha un vizio di rappresentatività dichiarato dalla Corte Costituzionale e che, per di più, ha come obiettivo la nascita di un senato non elettivo ma di secondo grado e di doppia selezione maggioritaria.

Certamente, fra i sistemi di democrazia liberale, non mancano esempi di assemblee senatoriali non elettive, ma espressione di poteri locali o nomine del Capo dello Stato o altro ancora, ma, mi permetto di far notare che in un nessuno di questi casi il Senato ha poteri in materia di leggi costituzionali, ed, inoltre, nessuna di queste assemblee è il prodotto di una doppia selezione maggioritaria, che ne riduce enormemente la rappresentatività.

In definitiva avremmo un Parlamento composto da una Camera di nominati, eletta con criterio maggioritario e con pesanti clausole di sbarramento, ed un Senato di eletti di secondo grado con doppia selezione maggioritaria, dal quale dipenderebbero quasi totalmente tutti gli organi di controllo e garanzia ed il processo di revisione costituzionale: converrà che si tratterebbe di una situazione piuttosto anomala nel quadro delle democrazie liberali.

Qualora Ella ritenesse non infondate queste preoccupazioni, sarebbe positivo che si aprisse un confronto, quantomeno sulle possibili misure per mettere in sicurezza la Costituzione.

AugurandoLe buon lavoro le porgo i miei rispettosi saluti

Aldo Giannuli

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