La rivista medica “The Lancet”, segnala un pericolo legato agli additivi alimentari presenti in alimenti e bibite, colpevoli di essere all’origine di iperattività nei bambini di età compresa tra i tre e gli otto anni.
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5 commenti:
Food additives and hyperactive behaviour in 3-year-old and 8/9-year-old children in the community: a randomised, double-blinded, placebo-controlled trial
Donna McCann PhD a, Angelina Barrett BSc a, Alison Cooper MSc a, Debbie Crumpler BSc a, Lindy Dalen PhD a, Kate Grimshaw MSc b, Elizabeth Kitchin BSc a, Kris Lok MSc a, Lucy Porteous BSc a, Emily Prince MSc a, Prof Edmund Sonuga-Barke PhD a, Prof John O Warner MD c and Prof Jim Stevenson PhD a
Summary
Background
We undertook a randomised, double-blinded, placebo-controlled, crossover trial to test whether intake of artificial food colour and additives (AFCA) affected childhood behaviour.
Methods
153 3-year-old and 144 8/9-year-old children were included in the study. The challenge drink contained sodium benzoate and one of two AFCA mixes (A or B) or a placebo mix. The main outcome measure was a global hyperactivity aggregate (GHA), based on aggregated z-scores of observed behaviours and ratings by teachers and parents, plus, for 8/9-year-old children, a computerised test of attention. This clinical trial is registered with Current Controlled Trials (registration number ISRCTN74481308). Analysis was per protocol.
Findings
16 3-year-old children and 14 8/9-year-old children did not complete the study, for reasons unrelated to childhood behaviour. Mix A had a significantly adverse effect compared with placebo in GHA for all 3-year-old children (effect size 0·20 [95% CI 0·01–0·39], p=0·044) but not mix B versus placebo. This result persisted when analysis was restricted to 3-year-old children who consumed more than 85% of juice and had no missing data (0·32 [0·05–0·60], p=0·02). 8/9-year-old children showed a significantly adverse effect when given mix A (0·12 [0·02–0·23], p=0·023) or mix B (0·17 [0·07–0·28], p=0·001) when analysis was restricted to those children consuming at least 85% of drinks with no missing data.
Interpretation
Artificial colours or a sodium benzoate preservative (or both) in the diet result in increased hyperactivity in 3-year-old and 8/9-year-old children in the general population.
Affiliations
a. School of Psychology, Department of Child Health, University of Southampton, Southampton, UK
b. School of Medicine, Department of Child Health, University of Southampton, Southampton, UK
c. Department of Paediatrics, Imperial College, London, UK
Riassunto semplificato in italiano:
Coloranti artificiali o sodio benzoato nella dieta provocano aumento della iperattività in bambini di 3 e di 8-9 anni.
La fine dell'articolo in Italiano
Lo studio pubblicato, condotto su un campione di 300 bambini dai ricercatori dell’Università di Southampton e commissionato dall’FSA, l’Autorità britannica sulla sicurezza alimentare, metterebbe in guardia i genitori britannici sui possibili effetti collaterali di merendine, caramelle e bevande ricche di un altissima percentuale di coloranti e conservanti.
Cali di attenzione e impulsività comparirebbero nei bambini dopo l’assunzione di cibi contenenti additivi alimentari e influenzerebbero negativamente la capacità di apprendimento dei bambini più piccoli. Un aumento dell'aggressività e a comportamenti anti-sociali sarebbero inoltre per i ricercatori una diretta conseguenza dell’iperattività.
Per le statistiche ufficiali in Gran Bretagna sono il 2,5 per cento i bambini colpiti da disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHA), per quelle internazionali le cifre variano invece tra il 5 e il 10 per cento.
http://www.thelancet.com/
Da un'altra fonte ho trovato il nome di alcune delle molecole indagate:
giallo tramonto E110,
carmoisina (E122),
tartrazina (E102),
rosso ponceau (4R)
sodio benzoato (E211)
Da Doctornews33 - e-news@doctornews.it
11 settembre 2007 - Anno 5, Numero 143
Nutrizione
Ultimo aggiornamento: 07/09/07
Gusti di marca
Se i grandi marchi del mercato alimentare si prestassero a promuovere cibi sani e genuini probabilmente si risolverebbe il problema dell’obesità infantile. Questa è una delle riflessioni proposte dagli autori di una ricerca svolta in California che ha portato alla luce, con evidenze statisticamente significative, come i marchi e i loghi possono influenzare lo sviluppo del gusto negli individui.
Effetto brand
E’ un processo lungo, che ha inizio in età precoce, ma non esente da rischio di manipolazione da parte dei meccanismi di marketing. E lo dimostrano dati concreti raccolti su una sessantina di bambini, tra i tre e i cinque anni, sottoposti a un test molto semplice: lo stesso cibo presentato con un packaging diverso o neutro o con marchio McDonald. La scelta del marchio non è certo casuale, si tratta di un marchio leader del fast food americano, con una strategia di marketing estremamente forte e orientata a un target decisamente giovane. Con risultati, per loro, entusiasmanti, stando alle risposte dei bambini. Gli alimenti e le bevande testate erano in parte prodotti McDonald in parte prodotti generici. Si trattava di un hamburger, di crocchette di pollo fritte e di patatine fritte del fast food, e poi latte intero e carote di piccole dimensioni. Ogni alimento proposto in coppia veniva presentato con involucri o bicchiere dello stesso colore, materiale, forma e design, uno neutro e con il logo McDonald senza altre caratterizzazioni del marchio che potessero attrarre l’attenzione dei bambini. Alla domanda su quale dei due fosse più buono, la maggior parte dei bambini dava la sua preferenza al prodotto con il marchio, anche quando, nel caso delle carote, non era tra quelli che si possono acquistare nei fast food McDonald.
Marketing fin troppo su misura
Approfondendo, per quanto possibile, la conoscenza delle abitudini della famiglia e dei bambini, gli autori hanno cercato di capire quanto fosse intensa l’esposizione al marketing attuato dall’azienda. Per esempio, un terzo dei genitori diceva che i figli mangiavano una volta alla settimana o più cibo a marchio McDonald, solo due bambini non lo avevano mai assaggiato e tre quarti dei genitori aveva detto di avere in casa almeno un giocattolo. Ma per completare considerazioni statisticamente significative, oltre a questi parametri, gli autori hanno valutato anche il numero di televisioni presenti in casa, quale misura dell’esposizione a spot pubblicitari. Gli stessi autori ammettono che il marchio scelto per il test era decisamente particolare e appropriato, ma che non permetteva di estendere le conclusioni a tutti i marchi di certo meno riconoscibili. Indubbiamente i risultati rinforzano le raccomandazioni a limitare, regolare se non addirittura bandire, alimenti e bevande a elevato contenuto calorico, e a basso valore nutritivo e in generale tutto il marketing orientato alla fascia infantile. Sarebbe una grande occasione per fare crescere una popolazione più sana, da capire come reagirebbe il mercato.
Simona Zazzetta
Fonte
Robinson TN et al. Effects of fast food branding on young children's taste preferences. Arch Pediatr Adolesc Med. 2007 Aug;161(8):792-7
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