La democrazia in un solo Paese: incompleta, e sempre in pericolo
La parola governo va declinata al plurale: dall’assemblea di condominio al mondo
L’analisi - di Tommaso Padoa Schioppa, 27 aprile 2009
Alla domanda «chi deve governare?» la democrazia risponde: il popolo, il Kratos deve essere del Demos. La risposta sembra semplice, ma se ci riferiamo a tempi e luoghi reali, ci accorgiamo che essa presuppone altre domande: chi è il Demos? Governo al singolare o governi al plurale? Il fondamento della democrazia è solido soltanto se i princìpi che l’ispirano (responsabilità, uguaglianza, autonomia) si traducono in istituti coerenti con le risposte date a queste domande. ...
... La parola governo deve dunque essere declinata al plurale. Non c’è democrazia se il Demos più ampio opprime il più ristretto; né se quest’ultimo impedisce al più ampio di governare la sua cosa pubblica. I principi di responsabilità, autonomia e rappresentatività che danno valore alla democrazia facendola preferire ad altre forme di governo saranno pienamente realizzati soltanto quando si applicheranno a tutti i livelli di governo. Per la persona che aspira alla libertà e alla responsabile partecipazione alla vita della polis, la democrazia in un solo Paese è non solo incompleta, è anche precaria e costantemente in pericolo.
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La democrazia in un solo Paese: incompleta, e sempre in pericolo
La parola governo va declinata al plurale: dall’assemblea di condominio al mondo
L’analisi - di Tommaso Padoa Schioppa, 27 aprile 2009
Alla domanda «chi deve governare?» la democrazia risponde: il popolo, il Kratos deve essere del Demos. La risposta sembra semplice, ma se ci riferiamo a tempi e luoghi reali, ci accorgiamo che essa presuppone altre domande: chi è il Demos? Governo al singolare o governi al plurale? Il fondamento della democrazia è solido soltanto se i princìpi che l’ispirano (responsabilità, uguaglianza, autonomia) si traducono in istituti coerenti con le risposte date a queste domande.
Iniziamo allora dalle persone, e chiediamoci come si costituisce il Demos cui fa riferimento il governo. La risposta della storia non fa apparire un criterio univoco lungo i secoli e i continenti. Il Demos spesso è stato frutto del caso. In Europa per molti secoli fu definito sul campo di battaglia o nella camera da letto, da conquiste militari e matrimoni dinastici. Nell’ossario di Verdun sono raccolte le ossa indistinguibili di un milione e mezzo di uomini uccisisi a vicenda per spostare di poche centinaia di metri il confine franco-tedesco. La risposta della ragione è, invece, univoca: un governo è necessario là dove bisogni, scopi, esigenze comuni a più persone possono essere conseguiti soltanto attraverso decisioni, azioni, iniziative, risorse anch’esse comuni.
Questa risposta individua un Demos-della- ragione e ritiene che il campo del governo sia definito da fattori oggettivi piuttosto che soggettivi, dal bisogno più che dall’affezione, res publica piuttosto che idem sentire. Istituire un governo non è una scelta di elezione, ammesso che sia scelta, è un piegarsi alla necessità. Ciò che realmente hanno in comune i governati non sono affinità di gusti e di costumi, simpatia reciproca o spirito di rinuncia, bensì la tensione tra due opposti: vicinanza, contiguità, dipendenza reciproca, sì; ma nello stesso tempo diversità di preferenze e di opinioni, ostilità potenziale, costante impulso a prevaricare e sopraffare.
Più forte, più frequente, più seducente di quella della ragione è però, ancora oggi, la risposta del cuore. Per essa il perimetro del governo deve essere tracciato secondo il criterio degli affetti. Il Demos è costituito dagli elementi culturali, di costume, etnici, religiosi, linguistici che vengono associati alla parola popolo o alla parola nazione e che si ritiene siano cementati da un sentimento comune: stato e nazione, Kratos e Demos-del-cuore devono coincidere. A prima vista, paiono argomenti convincenti. Ma una riflessione più approfondita e spassionata porta a una conclusione opposta: la risposta del cuore è errata sul piano concettuale, smentita dalla storia, pericolosa per la civiltà umana, nefasta per la democrazia.
Chiediamoci: quale sarebbe il regime appropriato per i rapporti tra esseri umani che non sono uniti da alcun vincolo affettivo o anche solo di cultura e di costumi, ma che tuttavia dipendono gli uni dagli altri perché hanno lo stesso bisogno di sicurezza, scambiano i propri prodotti, sono soggetti alle stesse minacce climatiche, solcano gli stessi mari e gli stessi cieli, danno e ricevono flussi migratori? Chi ritiene che la formazione di un governo sia giustificata solo qualora esista un Demos-del-cuore, risponde: il regime appropriato è l’anarchia, la legge della giungla.
Ma quale persona razionale può non vedere subito che una simile risposta è semplicemente cervellotica perché contraddice del tutto i propri stessi presupposti? Come potrà mai la legge del più forte dare a un popolo la sicurezza che non subirà la prepotenza e il sopruso di altre comunità più forti, più aggressive, intenzionate a conquistarlo o addirittura a sterminarlo? E, poi, dove finisce un popolo e dove ne inizia un altro? E che fare dei territori dove più popoli sono mescolati? E che cosa identifica un popolo? E chi decide se io appartengo a un popolo o a un altro? E che si fa nei confronti dei membri dei popoli cui viene meno l’idem sentire ma continuano a osservare le leggi?
La conclusione è una sola: il Demos della democrazia deve essere definito dalla ragione e non dal cuore. Poco importa sapere se le persone si siano scelte a vicenda o no né quali sentimenti le leghino; il più delle volte sono convenute nello stesso luogo come gli inquilini di uno stabile si sono trovati a detenere millesimi di uno stesso. Sono persone e gruppi spesso addirittura infastiditi dalla vicinanza e dalla reciproca dipendenza, che mal sopportano la loro diversità di abitudini, gusti e stili di vita. Non si può dunque parlare di Demos se non si parla, oltre che delle persone, delle cose, della res publica. Le «cose», la scienza economica le chiama «beni pubblici»: le forze armate difendono tutti; se l’aria e le strade sono pulite, lo sono per tutti (e tra i «tutti» ci sono quelli che evadono il fisco).
Dobbiamo però chiederci: che significa «tutti »? Ci sono tutti i condomini e tutti gli abitanti della contrada, tutti i senesi e tutti i toscani, tutti gli italiani, tutti gli europei, tutta l’umanità. Ognuno di noi condivide con gli altri condomini l’uso dell’ascensore e la protezione del tetto; coi cittadini del comune la nettezza urbana e il giardino pubblico; con gli abitanti della regione il trasporto pubblico; con la comunità nazionale l’amministrazione della giustizia e il sistema previdenziale; con l’Unione europea l’euro e il mercato unico; con l’intero mondo l’effetto serra e le regole di navigazione aerea e marina.
La parola governo deve dunque essere declinata al plurale. Non c’è democrazia se il Demos più ampio opprime il più ristretto; né se quest’ultimo impedisce al più ampio di governare la sua cosa pubblica. I principi di responsabilità, autonomia e rappresentatività che danno valore alla democrazia facendola preferire ad altre forme di governo saranno pienamente realizzati soltanto quando si applicheranno a tutti i livelli di governo. Per la persona che aspira alla libertà e alla responsabile partecipazione alla vita della polis, la democrazia in un solo Paese è non solo incompleta, è anche precaria e costantemente in pericolo.
Tratto da: http://www.corriere.it/editoriali/09_aprile_27/padoashioppa_a5d4e4fe-32f3-11de-b34f-00144f02aabc.shtml
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