venerdì 1 maggio 2009

Democrazia e Governo

La democrazia in un solo Paese: incompleta, e sempre in pericolo
La parola governo va declinata al plurale: dall’assemblea di condominio al mondo
L’analisi - di Tommaso Padoa Schioppa, 27 aprile 2009

Alla domanda «chi deve governare?» la democrazia risponde: il popolo, il Kratos deve essere del Demos. La risposta sembra semplice, ma se ci riferiamo a tempi e luoghi reali, ci accorgiamo che essa presuppone altre domande: chi è il Demos? Governo al singolare o governi al plurale? Il fondamento della democrazia è solido soltanto se i princìpi che l’ispirano (responsabilità, uguaglianza, autonomia) si traducono in istituti coerenti con le risposte date a queste domande. ...

... La parola governo deve dunque essere decli­nata al plurale. Non c’è democrazia se il Demos più ampio opprime il più ristretto; né se que­st’ultimo impedisce al più ampio di governare la sua cosa pubblica. I principi di responsabili­tà, autonomia e rappresentatività che danno valore alla democrazia facendola preferire ad altre forme di governo saranno pienamente re­alizzati soltanto quando si applicheranno a tut­ti i livelli di governo. Per la persona che aspira alla libertà e alla responsabile partecipazione alla vita della polis, la democrazia in un solo Paese è non solo incompleta, è anche precaria e costantemente in pericolo.
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1 commento:

Franco Gatti ha detto...

La democrazia in un solo Paese: incompleta, e sempre in pericolo
La parola governo va declinata al plurale: dall’assemblea di condominio al mondo
L’analisi - di Tommaso Padoa Schioppa, 27 aprile 2009

Alla domanda «chi deve governare?» la democrazia risponde: il popolo, il Kratos deve essere del Demos. La risposta sembra semplice, ma se ci riferiamo a tempi e luoghi reali, ci accorgiamo che essa presuppone altre domande: chi è il Demos? Governo al singolare o governi al plurale? Il fondamento della democrazia è solido soltanto se i princìpi che l’ispirano (responsabilità, uguaglianza, autonomia) si traducono in istituti coerenti con le risposte date a queste domande.

Iniziamo allora dalle perso­ne, e chiediamoci come si co­stituisce il Demos cui fa riferi­mento il governo. La risposta della storia non fa apparire un criterio univoco lungo i secoli e i continenti. Il De­mos spesso è stato frutto del caso. In Europa per molti secoli fu definito sul campo di bat­taglia o nella camera da letto, da conquiste militari e matrimoni dinastici. Nell’ossario di Verdun sono raccolte le ossa indistinguibili di un milione e mezzo di uomini uccisisi a vicenda per spostare di poche centinaia di metri il confine franco-tedesco. La risposta della ragione è, invece, univoca: un governo è necessario là dove bisogni, sco­pi, esigenze comuni a più persone possono es­sere conseguiti soltanto attraverso decisioni, azioni, iniziative, risorse anch’esse comuni.

Questa risposta individua un Demos-del­la- ragione e ritiene che il campo del governo sia definito da fattori oggettivi piuttosto che soggettivi, dal bisogno più che dall’affezione, res publica piuttosto che idem sentire. Istituire un governo non è una scelta di elezione, am­messo che sia scelta, è un piegarsi alla necessi­tà. Ciò che realmente hanno in comune i gover­nati non sono affinità di gusti e di costumi, simpatia reciproca o spirito di rinuncia, bensì la tensione tra due opposti: vicinanza, contigui­tà, dipendenza reciproca, sì; ma nello stesso tempo diversità di preferenze e di opinioni, ostilità potenziale, costante impulso a prevari­care e sopraffare.

Più forte, più frequente, più seducente di quella della ragione è però, ancora oggi, la ri­sposta del cuore. Per essa il perimetro del go­verno deve essere tracciato secondo il criterio degli affetti. Il Demos è costituito dagli elemen­ti culturali, di costume, etnici, religiosi, lingui­stici che vengono associati alla parola popolo o alla parola nazione e che si ritiene siano cemen­tati da un sentimento comune: stato e nazione, Kratos e Demos-del-cuore devono coincidere. A prima vista, paiono argomenti convincen­ti. Ma una riflessione più approfondita e spas­sionata porta a una conclusione opposta: la ri­sposta del cuore è errata sul piano concettuale, smentita dalla storia, pericolosa per la civiltà umana, nefasta per la democrazia.

Chiediamoci: quale sarebbe il regime appro­priato per i rapporti tra esseri umani che non sono uniti da alcun vincolo affettivo o anche solo di cultura e di costumi, ma che tuttavia dipendono gli uni dagli altri perché hanno lo stesso bisogno di sicurezza, scambiano i pro­pri prodotti, sono soggetti alle stesse minacce climatiche, solcano gli stessi mari e gli stessi cieli, danno e ricevono flussi migratori? Chi ri­tiene che la formazione di un governo sia giu­stificata solo qualora esista un Demos-del-cuo­re, risponde: il regime appropriato è l’anar­chia, la legge della giungla.

Ma quale persona razionale può non vedere subito che una simile risposta è semplicemen­te cervellotica perché contraddice del tutto i propri stessi presupposti? Come potrà mai la legge del più forte dare a un popolo la sicurez­za che non subirà la prepotenza e il sopruso di altre comunità più forti, più aggressive, inten­zionate a conquistarlo o addirittura a stermi­narlo? E, poi, dove finisce un popolo e dove ne inizia un altro? E che fare dei territori dove più popoli sono mescolati? E che cosa identifica un popolo? E chi decide se io appartengo a un popolo o a un altro? E che si fa nei confronti dei membri dei popoli cui viene meno l’idem sentire ma continuano a osservare le leggi?

La conclusione è una sola: il Demos della de­mocrazia deve essere definito dalla ragione e non dal cuore. Poco importa sapere se le perso­ne si siano scelte a vicenda o no né quali senti­menti le leghino; il più delle volte sono conve­nute nello stesso luogo come gli inquilini di uno stabile si sono trovati a detenere millesimi di uno stesso. Sono persone e gruppi spesso addirittura infastiditi dalla vicinanza e dalla re­ciproca dipendenza, che mal sopportano la lo­ro diversità di abitudini, gusti e stili di vita. Non si può dunque parlare di Demos se non si parla, oltre che delle persone, delle cose, della res publica. Le «cose», la scienza economica le chiama «beni pubblici»: le forze armate difen­dono tutti; se l’aria e le strade sono pulite, lo sono per tutti (e tra i «tutti» ci sono quelli che evadono il fisco).

Dobbiamo però chiederci: che significa «tut­ti »? Ci sono tutti i condomini e tutti gli abitanti della contrada, tutti i senesi e tutti i toscani, tut­ti gli italiani, tutti gli europei, tutta l’umanità. Ognuno di noi condivide con gli altri condomi­ni l’uso dell’ascensore e la protezione del tetto; coi cittadini del comune la nettezza urbana e il giardino pubblico; con gli abitanti della regione il trasporto pubblico; con la comunità naziona­le l’amministrazione della giustizia e il sistema previdenziale; con l’Unione europea l’euro e il mercato unico; con l’intero mondo l’effetto ser­ra e le regole di navigazione aerea e marina.

La parola governo deve dunque essere decli­nata al plurale. Non c’è democrazia se il Demos più ampio opprime il più ristretto; né se que­st’ultimo impedisce al più ampio di governare la sua cosa pubblica. I principi di responsabili­tà, autonomia e rappresentatività che danno valore alla democrazia facendola preferire ad altre forme di governo saranno pienamente re­alizzati soltanto quando si applicheranno a tut­ti i livelli di governo. Per la persona che aspira alla libertà e alla responsabile partecipazione alla vita della polis, la democrazia in un solo Paese è non solo incompleta, è anche precaria e costantemente in pericolo.
Tratto da: http://www.corriere.it/editoriali/09_aprile_27/padoashioppa_a5d4e4fe-32f3-11de-b34f-00144f02aabc.shtml

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