lunedì 28 aprile 2014

Il mistero delle "chiamate mute"

Anche voi ricevete telefonate da sedicenti operatori che rifiutano di indicare come hanno avuto (legalmente) il vostro numero telefonico?  E che si rivolgono a voi con il tu, come foste vecchi amici? E qualche volta capita addirittura che dopo avere risposto il telefono resti muto?
Questo articolo fornisce alcune interessanti informazioni riguardo questi scocciatori, e propone un modo per ridurne la fastidiosa (ed inutile) presenza.



LA PRIVACY VIOLATA DAL TELEMARKETING

Ti telefonano a casa in continuazione per offerte, abbonamenti, cambi di gestore telefonico? Non sai come difenderti? Le norme per proteggere i consumatori esistono, ma lasciano margini di ambiguità che imprese senza scrupoli non esitano a sfruttare. Così si provocano disagi a volte insopportabili. E spesso neppure l’Authority riesce ad intervenire. La strada migliore è informarsi sui propri diritti e insistere perché vengano rispettati 
di ALESSANDRO LONGO e GIUSEPPE BORELLO. Progetto grafico PAOLA CIPRIANI 

Dati e recapiti comprati per pochi centesimi 

ROMA - Dai 3 agli 8 centesimi. Non di più. Tanto vale il nostro nome, cognome e numero di telefono dati in pasto ad un’azienda che ci chiama per venderci qualcosa, un abbonamento o un prodotto, con il cosiddetto “telemarketing”. Il prezzo della tranquillità, nei tariffari di chi vende i dati personali dopo esserseli procurati, in modo lecito o illecito, è davvero molto basso. La compravendita dei nostri dati, poi, è inserita in una catena complessa di aziende che se li scambiano. Un sistema in cui i più bravi riescono anche a scoprire se dietro quel numero di telefono c’è un giovane o un anziano, un povero o un benestante, una famiglia con bambini o un single. Risultato finale, il far west: dove accanto ad aziende che fanno telemarketing onesto competono quelle che si sono procurate i dati in modo illecito. 

Se il nostro numero è nell’elenco telefonico pubblico, possono chiamarci liberamente, salvo il caso in cui ci si sia iscritti al Registro delle opposizioni attraverso una mail o una telefonata. In caso contrario possono contattarci solo se abbiamo dato il consenso, magari firmando un modulo. In ogni caso, se ci telefonano e diciamo all’operatore di non farlo più, devono rispettare la nostra decisione e cancellarci dal loro elenco. Questo in teoria. In pratica, molti call center (che in gergo tecnico si chiamano “contact center”) ignorano le norme. Tanto che il Garante della Privacy nel 2013 ha ricevuto 3.500 segnalazioni da parte di utenti esasperati, rispetto alle 3.100 del 2012. Si tratta però solo di una piccola parte dei molestati, i più esperti e consapevoli della possibilità di segnalare il proprio tormento telefonico al Garante. 

In questo caos generale, nonostante la crisi, il mercato dei contact center, secondo quanto riferisce l’associazione Assocontact, nel 2013 è cresciuto del 7,5 per cento, movimentando un business che i dati forniti dalla società di analisi Databank stimano di 1.236 milioni di euro. Un valore che comprende sia i servizi inbound (926 milioni di euro), ovvero i call center che ricevono telefonate di utenti per assistenza o informazioni, sia quelli outbound (310 milioni), ossia il telemarketing vero e proprio. Il 20 per cento del fatturato outbound è offshore, fatto quindi da call center esteri (albanesi, per esempio) che chiamano in Italia. Le stime per il 2014 vedono ancora un segno più del 5,6 per cento: “È un mercato che continua a crescere e che è caratterizzato da un livello di accesso molto basso: anche agenzie con sede in un retrobottega o in un sottoscala possono mettersi a fare telemarketing”, spiega Umberto Costamagna, presidente di Assocontact. “Così”, aggiunge “anche se tutti i nostri associati rispettano le regole, ci sono altri contact center che non lo fanno e che, causa la crisi, si spingono ad abbassare i costi e a non andare tanto per il sottile nella verifica della liceità del dato”. Pressati dal bisogno di essere competitivi e di raggiungere gli obiettivi richiesti dai clienti, alcuni contact center possono usare quindi anche dati illeciti. Da qui le telefonate indesiderate.

Ma come arrivano questi dati nelle mani di chi ci chiama e quanto valgono? È una faccenda complicata, con un incastro di aziende che operano nel settore. Un anello cardine di questa catena, sconosciuto al grande pubblico, sono le aziende che forniscono i dati a chi deve fare una campagna di telemarketing (per esempio a un operatore telefonico che vuole vendere abbonamenti). “Le principali società in quest’ambito sono Consodata (Seat Pagine Gialle), Cemit (Mondadori), Postel e Rcsmediagroup. Altre, più piccole, sono Edipro, Telextra, Addressvitt e Ammiro”, riferiscono dal Garante della privacy. In sostanza queste aziende si procurano i dati e li vendono al cliente che deve avviare una campagna che a sua volta li gira all’azienda di telemarketing per fare le chiamate. Ogni singola anagrafica viene venduta a un prezzo che varia dai 3 agli 8 centesimi. 

Qual è la fonte di questi dati? La principale, come già detto, è l’elenco telefonico pubblico. Le aziende come Consodata comprano i contatti dall’operatore telefonico e li scremano da tutti i numeri iscritti al Registro delle opposizioni. “Ci sono però anche aziende che si procurano i numeri dell’elenco scaricandoli da internet, anche se non sarebbe corretto”, dice Linda Pimpinelli, Responsabile Customer Management e Area Dati di Consodata. “Altri contatti, invece, vengono da liste create con i numeri degli utenti che hanno dato espressamente il consenso a essere chiamati. Per esempio, dopo aver compilato un modulo per partecipare a un concorso sul web”, aggiunge. Si può entrare nell’elenco delle “persone da contattare” anche solo firmando un questionario, attivando una carta fedeltà al supermercato o registrandosi a un sito. 

Ma non è finita. Chi fornisce i nostri dati tende anche a profilarli, cioè a suddividere i numeri per caratteristiche geografiche e demografiche. Come? Sull’elenco telefonico alcuni dati sono pubblici, i titoli professionali come avvocato o architetto ad esempio: “L’elenco divide le persone precisando persino a quale sezione di censimento appartengono. E’ possibile fare quindi un confronto con i dati Istat su quella sezione per avere un’idea delle caratteristiche demografiche dei titolari”, spiega Pimpinelli. Gli operatori telefonici inoltre leggono nel registro in loro possesso anche l’età del titolare del numero. È un’informazione che forniamo quando attiviamo un abbonamento con quell’operatore. “Naturalmente, sarebbe possibile usare il dato anagrafico solo se l’utente ha concesso il consenso nel modulo che ha compilato”, spiegano dal Garante. Ma l’universo del dato pirata è sconfinato: “Non tutti sono corretti come noi e infatti soffriamo la competizione di chi, non rispettando le regole, può fare prezzi più bassi”, dice ancora Pimpinelli “Ci sono aziende che usano addirittura software per estrarre numeri da internet, sulle pagine Facebook”. Oppure, più banalmente, possono fornire anche i numeri iscritti al Registro delle opposizioni (come segnalato al Garante). “Altra cosa illecita, che comunque alcune aziende di telemarketing fanno, è telefonare di nuovo a chi ha chiesto di non voler più essere chiamato”, cocnlude la manager di Consodata.

Il pentito del call center

Lo conferma Gabriele Fabiani, ex operatore call center e autore del libro Yes We Call. “Quando il cliente dice di non chiamare più, per legge dovremmo registrarlo come non interessato e depennarlo dalla lista dei contattabili. Ma l’azienda del call center dove ho lavorato ce lo impediva, sostenendo che magari dopo una settimana poteva aver cambiato idea, invitandoci quindi a richiamare”. Insomma: per alcuni call center, il “no” non significa “no”, ma “per ora no, poi vediamo”. Ma la legge la pensa diversamente. 

Illecito, secondo le norme sulla privacy, è anche telefonare senza che compaia il numero da cui si chiama. Eppure “è da metà settembre che a casa riceviamo queste telefonate da un ‘numero privato’, soprattutto di sera e fino alla mezzanotte”, si legge in una delle segnalazioni arrivate recentemente al Garante. “Questa cosa ci sta disturbando molto, abbiamo due bambini che al mattino devono andare a scuola. Cosa possiamo fare?”, chiedono ancora le “vittime” all’Authority. 

Peggio ancora quando le chiamate non solo sono anonime, ma sono anche mute. È un fenomeno recente e si spiega con il funzionamento dei moderni call center. Qui di solito i numeri da chiamare non sono digitati a mano ma inseriti in un software che poi fa partire in automatico le telefonate. Il primo operatore disponibile raccoglie la chiamata e si trova collegato con il malcapitato utente. A volte però, per ridurre i tempi morti tra una telefonata e l’altra, il sistema fa partire un numero di telefonate superiore a quello degli operatori disponibili in quel momento. Ne nasce una chiamata muta: dall’altra parte hanno già risposto ma non c’è ancora un operatore al telefono. Il Garante, visto il crescente disagio per gli utenti, ha imposto alcuni limiti a queste telefonate mute, ma senza vietarle del tutto. “Chi scrive è un non vedente assoluto e da tempo (circa due mesi, con cadenza ogni 3-4 giorni, alla mezzanotte) riceve le cosiddette chiamate mute”, scrive un utente al Garante. Un altro: “La chiamata si interrompe immediatamente, dopo soli due squilli. Non è mai una chiamata sola, ma una lunga serie anche di 30 chiamate consecutive, distanziate al massimo di due minuti, a qualunque ora, spesso anche a mezzanotte e 30. Quando capiamo che inizia la serie, stacchiamo il telefono per un'ora almeno, ma questo tempo non è sufficiente. La durata di tutta la serie arriva infatti a un’ora e mezza”. Un altro caso denunciato: “Le chiamate si sono intensificate nel corso delle due ultime settimane e sono nell'ordine di 6-7 al giorno. Tali telefonate mute creano un senso di insicurezza nei membri della mia famiglia, anche minorenni, e ritengo siano una grave violazione della privacy ai sensi di legge”. E ancora: “Qualche tempo fa ho addirittura pensato di rivolgermi all'autorità giudiziaria per paura che io e la mia famiglia fossimo ‘nel mirino’ di qualche associazione a delinquere (dei ladri nello specifico) che volessero controllare quando fossimo in casa. Credo che dover vivere con questo tipo di ansia sia assolutamente ingiusto”. 

Ecco come ci si può difendere 

Una volta finiti “nel mirino” del telemarketing è difficile uscirne. Per questo è meglio prevenire, innanzitutto leggendo tutte le clausole scritte sui moduli dov’è presente il nostro numero di telefono. Non convalidate quelle che autorizzano chiamate, “contatti commerciali” o il diritto a passare i nostri dati a terzi. Le frasi possono cambiare, ma il senso è sempre lo stesso. Se decidete di essere reperibili sull’elenco, iscrivetevi subito al Registro delle opposizioni. Su questa pagina sono disponibili varie modalità. Se state leggendo questo articolo, avete un accesso internet e certo per voi è più comodo compilare questo modulo, scegliere la voce “iscrizione” e scrivere il numero o i numeri di telefono. Sul modulo deve essere scritto il nome dell’intestatario della linea telefonica, non quello di altri componenti del nucleo familiare. Meglio se inserite anche un indirizzo di posta elettronica. Quindi basta cliccare in alto a destra su “invia modulo” (ad alcuni può apparire invece “submit form”). A questo punto, dopo 15 giorni, tutte le chiamate che riceverete sono illegali. 

Se invece non siete sull’elenco telefonico potete essere chiamati solo nel caso abbiano preso il vostro numero da un modulo in cui avete dato il consenso alla telefonata. Quando vi contattano potete chiedere all’operatore come ha ottenuto il numero e in teoria le norme lo obbligherebbero a rispondere; in pratica però chi lavora al call center di rado possiede questa informazione. Meglio quindi procedere in maniera diversa e chiedere all’operatore, ai sensi delle norme sulla privacy, di registrare la vostra volontà di non essere più contattati. 

Se richiamano o se telefonano ad un numero iscritto al Registro delle opposizioni, non resta che mandare una segnalazione al Garante della Privacy alla mail urp@gpdp.it. È possibile anche compilare un modulo (diverso se siete o non siete sull’elenco telefonico), disponibile su questa pagina del sito web del Garante.

“Multe e regole severe, eppure non smettono” 

ROMA - “Sì, conosciamo bene il telemarketing illecito. L’idra dalle sette teste. Un problema annoso, quasi una barzelletta ormai. Tanto si fa per debellarlo e nulla cambia”. Antonello Soro, Garante della Privacy, però non si arrende. Continua a sfornare sanzioni e regole per arginare gli illeciti. Ma perché non si risolve il problema una volta per tutte? “Le aziende confidano in un uso molto aggressivo del marketing. Pensano che fare tante pressioni sul consumatore sia conveniente. La crisi economica poi spinge a fare di più con meno, a tagliare i costi, quindi ad un crescendo di aggressività. Del bisogno di economizzare risente poi anche il livello di formazione del personale. Gli utenti ci riferiscono una scarsa educazione degli operatori”. 

Quante segnalazioni ricevete? 
“Circa 5 mila all’anno, di cui la metà sono di utenti tutelati dal Registro delle opposizioni. L’altra metà sono per numeri fissi non presenti in elenco o di cellulari. Ricordiamo che è illecito sia chiamare quelli iscritti al Registro sia quelli non presenti in elenco… però nelle norme c’è un difetto di tutela per quelli che non possono iscriversi al Registro perché non presenti in elenco. 

Ci spieghi meglio. 
“Immaginiamo che il nostro numero sia finito nelle liste del telemarketing perché presente in qualche modulo in cui abbiamo dato, distrattamente, il consenso alle chiamate. Oppure è stato carpito illecitamente in vari modi. In ogni caso, se il numero è presente anche nell’elenco telefonico, possiamo iscriverlo al Registro e quindi mettere subito fuori legge tutte le chiamate. Per i numeri non in elenco non c’è questa possibilità. La norma andrebbe aggiornata per consentire l’iscrizione a un registro di tutti i numeri. 

Ma se ci siamo iscritti al Registro e pure abbiamo dato - distrattamente, appunto - il consenso a farci telefonare, quale delle due cose prevale? 
“Il Registro. Non ci possono chiamare”. 

Eppure sappiamo che, illecitamente, chiamano anche quelli iscritti al Registro. Che si può fare? 
“C’è la via delle sanzioni. Ne abbiamo erogate per due milioni di euro, dal 2011, anno in cui è partito il nuovo regime normativo sul telemarketing e cioè la possibilità di chiamare qualsiasi numero presente nell’elenco telefonico (a meno che non sia iscritto al Registro). Il cittadino esasperato può rivolgersi a noi, denunciando il caso. Possiamo anche tentare di educare le aziende alla cultura della privacy. Facciamo sapere loro l’inutilità di questa pratica aggressiva. Non è facile però farlo con i call center presenti all’estero, che sono sempre più numerosi”.

L’arma spuntata del Registro delle opposizioni 

Le norme che regolano il telemarketing continuano ad affinarsi, sempre a tutela del consumatore, ma ancora non è sufficiente. Secondo gli addetti ai lavori, c’è infatti nella legislazione attuale un “buco” di fondo: il Registro delle opposizioni non tutela a tappeto tutti gli utenti in tutte le circostanze. In altri paesi c’è invece una “do not call list” dove gli utenti possono iscrivere qualsiasi numero di telefono e vietarne così le telefonate pubblicitarie senza se e senza ma. 

Per capire a che punto siamo con le regole, bisogna fare un passo indietro. Fino al 2010 è regnato il regime dell’opt in: significa che era possibile chiamare solo gli utenti che vi avevano dato il consenso. Nella pratica però le aziende erano state autorizzate dalla normativa a chiamare comunque i numeri presenti nelle banche dati precedenti all’agosto 2005. A causa di questa situazione, che finirà appunto dopo il 25 maggio, l’Unione Europea aveva inviato all’Italia una lettera di messa in mora, avviando di conseguenza una procedura di infrazione. 

È arrivato quindi un emendamento di Lucio Malan (allora nel Pdl, oggi in Forza Italia), che nella conversione del decreto legge 25 settembre 2009, numero 135, ha stabilito il passaggio al regime opt out. Di fatto autorizzava le aziende a chiamare tutti i numeri di telefono presenti negli elenchi telefonici pubblici, eccetto quelli che gli utenti avevano iscritto al Registro delle opposizioni. In più, consentiva anche a chiamare i numeri (compresi i non presenti nell’elenco pubblico) i cui titolari avevano dato il consenso alla telefonata. Insomma, ne è nato un regime ibrido, opt in e opt out. 

Il Registro è stato quindi per due motivi sempre uno strumento parziale a tutela degli utenti. Primo: non tutela i numeri di telefono fissi non iscritti all’elenco e quelli di cellulare. Questi numeri possono essere quindi chiamati, se si trovano su moduli dove l’utente ha dato il consenso alla telefonata (magari distrattamente, sbarrando una casella). Secondo: il regime ibrido crea una situazione di incertezza per quei numeri che sono allo stesso tempo iscritti al Registro e presenti su moduli su cui il titolare ha dato il consenso. Il Garante della Privacy dice a Repubblica.it che in questo caso il numero non va chiamato, ma la questione è interpretabile. Sullo stesso sito del Garante, dove si spiega all’utente come agire se si riceve una telefonata a un numero iscritto al Registro, si legge: “Verificare di non aver prestato il consenso al trattamento dei propri dati per finalità di telemarketing allo specifico soggetto che ha effettuato la chiamata”. 

Il regime misto è indicato come una “criticità” anche su un documento della Fondazione Ugo Bordoni (Fub), che è l’ente (presso il ministero dello Sviluppo economico) che gestisce tecnicamente il Registro. Tra le altre “criticità”, si legge che l’utente ha difficoltà a capire quali diritti acquisisce dopo aver iscritto il proprio numero al Registro e a raccogliere gli elementi necessari per un reclamo al Garante. 

Ci si può consolare con una buona notizia: dal 14 giugno aumentano i diritti degli utenti sulle vendite a distanza - comprese quindi quelle via telemarketing - in virtù di un decreto di febbraio che recepisce le direttive UE 2011/83/CE. Tra le altre cose, si legge che i call center dovranno informare gli utenti (anche se questi non lo richiedono) che hanno trovato il loro numero sull’elenco telefonico e che è possibile iscriverlo al Registro. In questo modo, crescerà la consapevolezza sui diritti degli utenti nei confronti del telemarketing. Inoltre, i contratti conclusi al telefono dovranno essere confermati dalla firma scritta dell’utente: una misura che serve a migliorare la trasparenza sulle condizioni dell’offerta sottoscritta. 
Quello che manca ora è una riforma della normativa del Registro, in modo da consentire l’iscrizione di qualsiasi numero di telefono, suggerisce il Garante della Privacy.


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