sabato 25 ottobre 2008

Terroristi e terroristi; dal blog di Nando dalla Chiesa


Copio un articolo apparso sul blog di Nando dalla Chiesa: http://www.nandodallachiesa.it/public/index.php?option=com_content&task=view&id=960&Itemid=123
Il giardino di Ombre rosse
Scritto da Nando dalla Chiesa
Friday 24 October 2008 , (l'Unità, 24 ottobre 2008) -

Si chiama «Ombre rosse» e sta in una stradina del centro storico di Genova. Una trattoria piccola, con qualche coperto supplementare sul giardinetto di fronte, dall’altra parte del vicolo. Ci sono arrivato per caso, chiedendo se c’era posto e domandandomi che rapporto potessero mai avere i proprietari con lo storico filmone di John Wayne.Mi ha accolto una signora all’incirca della mia età. Che mi ha riconosciuto e mi ha sorriso con dolcezza misteriosa. Per poi accompagnarmi con premura a un tavolino nel giardinetto, dandomi del tu. Torno subito, ha detto.Il tempo, per me, di leggere su un muro un avviso di questo tenore, scritto con ogni evidenza da lei o da un suo collaboratore: «Questi giardini sono pubblici, quindi la consumazione non è obbligatoria». ...

Continua nei commenti

1 commento:

Franco Gatti ha detto...

Copio un articolo apparso sul blog di Nando dalla Chiesa: http://www.nandodallachiesa.it/public/index.php?option=com_content&task=view&id=960&Itemid=123

Il giardino di Ombre rosse
Scritto da Nando dalla Chiesa
Friday 24 October 2008 , (l'Unità, 24 ottobre 2008) -

Si chiama «Ombre rosse» e sta in una stradina del centro storico di Genova. Una trattoria piccola, con qualche coperto supplementare sul giardinetto di fronte, dall’altra parte del vicolo. Ci sono arrivato per caso, chiedendo se c’era posto e domandandomi che rapporto potessero mai avere i proprietari con lo storico filmone di John Wayne.Mi ha accolto una signora all’incirca della mia età. Che mi ha riconosciuto e mi ha sorriso con dolcezza misteriosa. Per poi accompagnarmi con premura a un tavolino nel giardinetto, dandomi del tu. Torno subito, ha detto.

Il tempo, per me, di leggere su un muro un avviso di questo tenore, scritto con ogni evidenza da lei o da un suo collaboratore: «Questi giardini sono pubblici, quindi la consumazione non è obbligatoria». Un miracolo, ho pensato, nell’Italia delle appropriazioni abusive di suolo pubblico, nella Liguria dove ogni metro di spiaggia è recintato. Mi sono incuriosito ancora di più.Finché la signora si è riavvicinata e durante le ordinazioni mi ha detto: «Ho conosciuto tuo padre». Me lo dicono in tanti, e dunque quasi automaticamente ho chiesto come mai e dove. «Mi ha arrestato», mi ha risposto lei. Mi hanno arrestato i suoi carabinieri, con l’accusa di stare con i terroristi, di essere una di loro. Poi sono stata scagionata. Ne ho un ricordo bello, ha aggiunto.

Devo avere avuto uno o più moti di stupore, mentre andavo realizzando che quell’insegna «Ombre rosse» non aveva probabilmente nulla a che fare con i western. Sì, ha aggiunto. Lo ricordo così, tuo padre, perché si capiva che ci credeva davvero nel suo Stato. Perché ci accorgemmo che era un personaggio di qualità, di un altro livello. E perché ci rispettò. Ci rispettò... mi sono ridetto mentalmente, quasi stordito. Ma perché, quando l’avete visto?, ho chiesto. Ci volle vedere lui. Ma in quale occasione fu, all’epoca di via Fracchia?, ho insistito rendendomi subito conto della banalità, visto che via Fracchia fu solo un’irruzione con sparatoria. No, fu in una retata di universitari, mi ha risposto lei. Quella con Fenzi?, ho azzardato, ricordando bene il ruolo del professore genovese nelle bierre cittadine e le polemiche su una sua assoluzione, che avevano tirato fuori a mio padre l’accusa contro «l’ingiustizia che li assolve».
Sì, mi ha risposto lei, proprio quella. Aggiungendo con un sorriso: io sono la moglie di Fenzi. Ho finto indifferenza, mentre gli occhi mi cadevano su un altro piccolo cartello che dall’alto sembrava ammonire e confortare con delicatezza gli avventori: «Questo è un luogo di conversazione e di buone maniere».Ci trattava con rispetto, ha ripreso lei, Isabella si chiama. Sembrava che lui capisse che eravamo dei nemici, ma dotati di ideali.

È vero, ho pensato, lo diceva sempre di loro. Ma non ho potuto fare a meno di chiedermi anche che cosa sia successo in questo Paese se tanti anni fa un generale dei carabinieri trattava con rispetto quelli che volevano ucciderlo e oggi gente innocente, colpevole di nulla, può essere picchiata e umiliata se finisce nel posto o tra le divise sbagliate...Mi sono trovato in imbarazzo, perché nasconderlo? La signora che mi accoglieva era gentile, colta, amichevole. E anche la figlia più giovane che aiutava ai tavoli era di rara educazione.

Ma come dimenticare quanto terribile sia stata la striscia di lutti lasciata dal terrorismo? Ne ho conosciute di vittime. Sicché ho cercato di non dimenticare nulla man mano che il nostro colloquio andava avanti. Sai, le ho detto, io ho qualche imbarazzo a parlare con chi ha sostenuto il terrorismo.
Non perché non capisca le persone che ho davanti, i loro diritti, i loro cambiamenti; ma per quelle mogli, quei figli, quei genitori. Io credo che non li dobbiamo mai dimenticare. Le ho raccontato così della mia amicizia con Mario Calabresi, di Galvaligi. Di mia madre morta di cuore sotto il terrorismo, di mia sorella Simona minacciata e in fuga da Torino.
Vedi, le ho spiegato, non trovo giusto che la storia di quegli anni l’abbiano scritta e raccontata soprattutto i terroristi. Be’, ha osservato lei, ma avranno bene il diritto di parola. Certo, ho continuato, ma lo esercitano molto meglio delle vittime.
La vedova di un appuntato sa raccontare a stento che cosa è successo a lei, che storia d’Italia può mai raccontare... C’è stato un dislivello di possibilità, o no?

Lei ha ascoltato con rispetto. «Sì, è giusto pensarci, soprattutto dopo che mi hai ricordato queste cose», ha ammesso. Però, ha continuato, bisogna chiedersi perché migliaia di giovani hanno fatto questa scelta dopo tutte quelle stragi, dopo avere visto che il potere faceva uccidere gente inerme senza che nessuno pagasse mai.Lì, esattamente lì, ho incominciato a capire di essere davanti a una persona diversa. Primo, si era commossa nel sentirsi ricordare i dolori altrui. Secondo, non aveva detto che la scelta della lotta armata l’aveva fatta, come sogliono dire i brigatisti e i loro cantori, «un’intera generazione». No, aveva detto onestamente «migliaia di giovani». Certo, ha proseguito, poi abbiamo capito che era una scelta sbagliata, che tuo padre era dalla parte giusta.

Ecco, e qui per me è cambiato tutto. Non per il riferimento diretto a mio padre. Ma perché era spuntato il discrimine. Quante «notti della Repubblica», quante interviste, quanti libri, ci siamo visti e letti in questi decenni, in cui ex terroristi spiegavano che il loro errore era di non avere capito bene la fase politica, di avere erroneamente immaginato di avere dietro la classe operaia, senza che mai venissero pronunciate chiare parole di dolore per le vittime o sulle ragioni alte e insuperabili della democrazia?

Tuo padre era dalla parte giusta, aveva ragione lui. Detto proprio da chi un minuto prima mi aveva ricordato le stragi di Stato impunite. In quell’attimo ho pensato che questo è l’unico modo di chiudere gli anni di piombo. Sul serio, in profondità. Il dolore per chi è caduto, il riconoscimento delle ragioni dello Stato, senza per questo dimenticarne le brutture più ignobili. Ho scoperto in questa scelta di campo una dignità superiore. Senza chiasso.Quella di un lavoro silenzioso e orgoglioso, nessuna predica, la voglia di partecipare alla costruzione del bene collettivo. Quel giardinetto pubblico realizzato da lei, tirandolo fuori - come un coniglio dal cilindro - dai detriti e dai rifiuti.

Verso la fine della serata è venuto a salutarmi il marito, Enrico Fenzi, il docente di lettere poi condannato a non ricordo quanti anni di carcere. Passato lì inusualmente a dare una mano, con il grembiule blu del locale addosso. Bianco di capelli, sorridente anche lui, con un ritegno assai marcato, un pudore gentile, dandomi del lei. Pochi minuti soltanto. Me ne sono andato pensando a quegli anni feroci, alla forza micidiale delle ideologie. A come potevano sposare la lotta armata anche persone così, che mettono al mondo figli dolci e impegnati nel volontariato. A com’era l’Italia quando degli arrestati per terrorismo sentivano il rispetto del loro nemico numero uno.

FOLLIA - La politica climatica della Svizzera viola i diritti umani

https://www.tvsvizzera.it/tvs/qui-svizzera/la-politica-climatica-della-svizzera-viola-i-diritti-umani/75394783?utm_campaign=manual_tvs&u...