Troppe ombre su Stamina. E la cura costa un miliardo
«Mi auguro la Camera modifichi il decreto sul metodo Stamina: se non lo farà, approverà solo una non-terapia, non solo non provata dal punto di vista clinico, ma anche senza razionale scientifico, che potrebbe avere serie conseguenze sulla spesa sanitaria nazionale».
Michele De Luca, è stato il primo ricercatore in Europa ad applicare, più di vent'anni fa, le cellule staminali epidermiche per la cura delle grandi ustioni. E ora il suo appello contro il decreto allunga la lista degli scienziati che a livello internazionale sono contrari al protocollo Vannoni, quello diventato famoso per aver curato (ma non guarito) «la malattia di Celeste», la bambina affetta da Sma, atrofia muscolare spinale. Ma il metodo Stamina non si ferma qui. Si pone come metodo salvifico per tutte le malattie degenerative, per le malattie rare, per la gente in coma. Ed è come dire: un farmaco per tutti i mali peggiori in circolazione, attualmente incurabili. È mai possibile? E chi ha ragione? Lo psicologo Vannoni o l'intera comunità scientifica che si occupa di staminali da decenni? Per il momento questa terapia «miracolosa» è riuscita a far breccia non solo tra i malati gravi e i loro parenti, ma anche dall'ex ministro Balduzzi infatti l'ha autorizzata con un bel decreto legge.
Ora si tratta di capire se riuscirà a sopravvivere alla Camera dove i nuovi onorevoli dovranno documentarsi molto bene prima di accendere luce verde su qualcosa velato da troppe ombre. Innanzitutto non esistono pubblicazioni scientifiche né relazioni sull'andamento della terapia sui malati. E De Luca, come molti altri scienziati si chiedono: «Ma perché questi signori non fanno richiesta di sperimentazione clinica? O perché non hanno mai pubblicato i dati ottenuti con il loro metodo? Perché c'è questa resistenza passiva a sottostare alle regole internazionali sull'efficacia e sulla sicurezza di un farmaco?». Belle domande a cui non ci sono risposte. Che peraltro nessuno sarebbe mai obbligato a dare se il Parlamento approvasse il testo senza modificarlo. Attualmente, infatti, il decreto «riclassifica» le infusioni di colture di cellule mesenchimali da terapie avanzate (quindi prodotti medicinali) a trapianti. Risultato: non dovrà mai sottostare al rigido protocollo previsto per l'approvazione dei farmaci. E i responsabili potranno continuare a somministrare la «terapia» senza condurre una sperimentazione clinica, senza che le colture vengano fatte in cell factories per questo autorizzate, senza doverne dimostrare la efficacia. Chi difende Stamina sostiene che la cosa è logica perché questa terapia viene applicata singolarmente solo per 18 mesi e per i pazienti già in attesa di provare la cura, cioè migliaia. E a far due conti vengono i brividi. Stamina dice di avere, ad oggi, 15 mila richieste e siccome il costo della sola preparazione di cellule mesenchimali conformi alla legge europea, è di circa 30 mila euro a paziente siamo già a quota 450 milioni, pari al 3% del gettito Imu. Inoltre, per quanto è dato saperne, il «metodo Stamina» prevede almeno 5 infusioni per paziente. Anche considerando una economia di scala per le 5 infusioni, il costo per ciascun paziente sarebbe di almeno 60.000 euro, per un totale di quasi 1 miliardo di euro. E questo vale solo per i 15 mila pazienti. D'accordo, qualcuno dirà che la salute non ha prezzo. Ma qui non esiste certezza dei risultati. E De Luca spiega: «Le cellule staminali mesenchimali producono cartilagine, osso e il midollo osseo, dunque non sono pluripotenti e non producono tutte le parti del corpo. Di conseguenza non possono curare la pletora di patologie che propone Stamina. Purtroppo i pazienti che vanno compresi perché portatori di malattie incurabili, ma l'olio di serpente non lo passa la mutua!».
Le contraddizioni scientifiche sono evidenti. A cui si aggiungono anche quelle a sfondo economico. Stamina, infatti, ha ceduto a Medestea Internazionale S.p.a. il «know-how» esclusivo (peraltro solo presunto, perché non esistono brevetti) del metodo Stamina, per il suo sviluppo commerciale. Medestea, un'impresa attiva nel settore cosmetici, «herbal medicine», nota per aver ricevuto ben 15 censure dall'Antitrust per la pubblicità ingannevole di un integratore alimentare spray per spegnere gli attacchi di fame in pochi minuti. Ma anche lo studio universitario richiamato per l'efficacia del prodotto, era stato condotto, secondo il Ministero della Salute, «senza criteri di serietà scientifica».
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