Le relazioni diplomatiche tra Italia e India hanno vissuto ieri una nuova complessa giornata, caratterizzata da un crescendo di tensione che solo in serata - e dopo le prese di posizione di Unione Europea e Nazioni Unite - è andato stemperandosi. Il primo segnale di distensione dopo cinque giorni di rapido deterioramento dei rapporti tra i due Paesi è giunto quando il ministro degli Esteri indiano Salman Kurshid ha dichiarato a una televisione locale che «l'ambasciatore italiano si può muovere liberamente e non può essere arrestato in quanto gode di immunità diplomatica».
Parole ovvie, ma non nel clima di tensione che solo poche ore prima era stato acuito oltremisura da un'iniziativa del ministero degli Interni indiano che si era spinto a diramare un comunicato a tutti gli aeroporti del Paese perché impedissero un'eventuale partenza dell'ambasciatore italiano Daniele Mancini. Un'iniziativa clamorosa - in aperta violazione della Convenzione di Vienna e in prospettiva potenzialmente dannosa per un Paese che ambisce a un seggio permanente nel Consiglio di sicurezza dell'Onu - giunta a 24 ore dalla non meno sorprendente decisione della Corte Suprema indiana di comunicare al capo della missione italiana il divieto a lasciare il Paese senza autorizzazione.
La marcia indietro del ministero degli Esteri è giunta dopo un vertice a cui hanno preso parte il primo ministro indiano Manmohan Singh, il ministro degli Esteri Salman Kurshid e il Consigliere per la sicurezza nazionale Shiv Shankar Menon.
E ha fatto seguito a due prese di posizione che, pur nel linguaggio prudente e misurato della diplomazia, sono parse tradire disappunto a livello internazionale per l'escalation di New Delhi. Attraverso il suo portavoce il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, ha rivolto un appello a India e Italia affinché «risolvano pacificamente» i contrasti legati alla vicenda dei marò, «rispettando il diritto internazionale». Mentre poco prima un portavoce della rappresentante per la politica estera europea, Catherine Ashton aveva detto che «l'Unione europea prende atto delle discussioni in corso tra India e Italia e continua a sperare che una soluzione consensuale possa essere trovata attraverso un negoziato».
Due formulazioni che, pur con tutte le cautele del caso, richiamano alla necessità dell'apertura di un dialogo tra i due Paesi e al rispetto del diritto internazionale, allineandosi di fatto alla posizione della diplomazia italiana che, prima dello strappo di lunedì, aveva chiesto a New Delhi - senza ottenere risposta - di negoziare una soluzione alla crisi nel rispetto delle convenzioni che regolano i rapporti tra Stati.
Anche se lo spauracchio della violazione dell'immunità diplomatica dell'ambasciatore italiano dovesse effettivamente svanire, allo stato attuale la crisi in corso sembra destinata comunque ad avere ricadute, almeno sul breve periodo. «Ci saranno inevitabilmente ripercussioni sulle relazioni bilaterali», ha detto una fonte del ministero degli Esteri indiano, e tra le misure potrebbe esserci anche una revisione del regime dei visti dei cittadini italiani. Mentre secondo altre fonti l'India potrebbe addirittura valutare la possibilità di ridimensionare la sua presenza diplomatica in Italia. Non a caso New Delhi ha già congelato l'arrivo del nuovo ambasciatore a Roma la cui partenza era prevista per ieri.
Si tratterebbe di ritorsioni per la mossa del Governo italiano che lo scorso lunedì ha annunciato che i due marò accusati di avere ucciso due pescatori nel corso di una missione antipirateria non sarebbero rientrati da un permesso elettorale in Italia. In India li attendeva l'istituzione di un tribunale speciale che avrebbe dovuto decidere a quale giurisdizione dovessero sottoporsi.
Nonostante la marcia indietro fatta in serata dal governo indiano, l'ambasciatore Mancini dovrà comunque spiegare alla Corte Suprema entro il 18 marzo le ragioni della decisione presa dalla Farnesina in accordo con i ministeri degli Interni e della Difesa.
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