venerdì 8 marzo 2013

Donne e lavoro

In occasione della giornata della donna, vi segnalo un interessante articolo pubblicato sul blog 
http://secretaryit.wordpress.com/2013/03/01/come-convivere-con-le-brutte-giornate-da-disoccupata/ 
dove una donna licenziata racconta la propria esperienza, fino al lieto fine.
Suggerisco di leggere anche le puntate 1, 2 e 3.
P. S. per un uomo non è molto diverso...

Come vivere con le brutte giornate da disoccupata

Puntata 4
Ho trovato un lavoro! Diario di un’Assistente (disperata) che ce l’ha fatta.
Lo sconforto nelle brutte giornate senza lavoro vissute da assistente disoccupata

Le brutte giornate da disoccupata
Disoccupata! Dopo un primo mese trascorso a definire la mia trattativa di licenziamento con l’azienda, e mentre tutti si stavano programmando le meritate vacanze, mi sono ritrovata decisamente faccia a faccia con la mia condizione di “disoccupata = senza lavoro”. Ricordo che, guardando al telegiornale un servizio che parlava della percentuale di disoccupati,aumentata così velocemente negli ultimi mesi, ho pensato: “ecco, sono io questa statistica” ed ho capito che, pur non volendomi abituare, era saggio prendere confidenza con questo nuovo “status”.
Devo fare una premessa importantissima: se c’è un vantaggio nell’essere licenziati con effetto immediato, avendo un contratto a tempo indeterminato, questo risiede nella buona uscita. Io ho sicuramente avuto il privilegio di avere dalla mia parte una base economica che mi permettesse di condurre la mia vita in modo quasi normale, almeno per un certo tempo. Inoltre, per chi ha figli da crescere, o magari un genitore malato o anziano da accudire, la situazione può per molti diventare davvero tragica. Io questo non lo dimentico, non intendo sminuirlo: mi rendo conto di essere stata, nel delirio, fortunata.
Tuttavia la cosa che più pesa (e parlando con amiche nella stessa situazione lavorativa ne ho avuto conferma) è lo sconforto di non avere un posto nel mondo, un ruolo, un senso, quasi: ero disoccupata.
Sembra proprio brutto dire che troviamo una ragione d’essere solo nel nostro lavoro; ma io ho sempre considerato il mio lavoro, la mia occupazione, come un gesto “sociale”, il mio contributo per fare andare avanti le cose, la mia presenza di manager assistant per alleggerire il lavoro di altri.
Io non ho figli,  questo è stato senz’altro positivo nel momento in cui non ho dovuto pensare a come procurar loro cibo, vestiti, un’educazione, senza uno stipendio. Ma questo per me ha voluto dire per esempio, non avere altre motivazioni, altre cose cu cui riversare la mia attenzione.
So che è difficile capire del tutto, ma non sapete quante volte mi sia detta: non ho una famiglia mia, non ho un lavoro, sono disoccupata, ma che senso ha la mia vita? Se un’amica mi facesse questo discorso la rivolterei come un calzino, facendole capire quanto la sua presenza sia importante a prescindere; ma se capita a te, è molto diverso.
Anche se non avevo colpe, inconsciamente era come se volessi autopunirmi, non concedermi nulla, non me lo potevo o volevo permettere, non mi meritavo qualcosa di carino. Dicevo prima che ho condotto una vita quasi normale: infatti andavo a fare la spesa, come sempre, ma per esempio ho eliminato quasi tutto il superfluo, rasentando a volte il ridicolo. Non sono una persona avara, in realtà il meccanismo era ancora più subdolo, era come se, da disoccupata, sentissi di non averne il diritto.
Che stupida vero? E che dire invece del senso di colpa che mi prendeva quando per ben due giorni festivi non accendevo il pc per fare le mie ricerche di lavoro?Tutto questo ho scoperto essere NORMALE. Sbagliato, ma perfettamente in linea …
Vi confesso una cosa: a parte il giorno stesso del mio licenziamento, in cui ovviamente per la tensione qualche lacrima è stata versata, nei mesi successivi non ho mai pianto. Fino a che una mia ex collega mi ha invitata a un evento della mia vecchia azienda, dicendomi: “io ti invito perché ti voglio bene, e vorrei che tu venissi”.Eleonora è stata adorabile, e fra l’altro era una delle persone che non avevo potuto salutare il giorno del licenziamento, ma  è stato proprio mentre leggevo la mail, fuori da un cinema, che sono scoppiata in un pianto a dirotto, dopo mesi.
Per tutti questi mesi i miei ex colleghi hanno organizzato le classiche rimpatriate. Io sono riuscita a partecipare solo a pochissime di esse, declinando gli altri inviti perchénon mi sentivo a mio agio.
Come se mi portassi cucita sul petto la I di inetta, inadeguata, incapace,dopo mesi, di trovarsi un altro lavoro. Vorrei dirvi che è del tutto normale avere dei momenti di sconforto, e provare un profondo senso di inadeguatezza. Per esempio, nello scoprire presto che siamo troppo vecchie per la maggior parte degli annunci di lavoro che leggiamo (ma non era illegale discriminare in base all’età?).

Offerte di lavoro
Spero che non capiti a nessun’altra, ma temo sia  comune attendere per giorni e mesi che il telefono squilli: tralasciando le candidature spontanee, gli inserimenti nelle banche dati delle aziende, nei portali delle agenzie di selezione o similari e i CV che abbiamo distribuito a amici, ho risposto a circa 45 annunci: in tutto sono stata richiamata per un colloquio 7 volte.
In pochi altri rari casi, e spesso sotto mio sollecito, mi è stato risposto che era stata preferita una candidata più giovane, che avevano fatto crescere una risorsa interna, che non avevo tutte le caratteristiche cercate o che l’azienda aveva “ritirato” il job post. In tutti gli altri casi, come dico sempre io, tutto è finito nella nebulosa di Andromeda. Se sei fortunata, puoi controllare lo status della tua candidatura sui vari portali, scoprendo magari che la posizione di manager assistant per la quale ti eri candidata è stata chiusa, ma non saprai mai perché tu (che corrispondevi a ogni singola caratteristica cercata nell’annuncio) non sei nemmeno stata chiamata, anche solo per vedere che faccia avessi.
Mi piacerebbe tanto capire il perché e il criterio che sta dietro a questo, e ci dedicherò il prossimo post, ma il risultato comunque è davvero un insieme di brutte, bruttissime giornate.
Sentirsi svilita quando si è disoccupata edopo tanti anni di lavoro, è normale.
Sentirsi dire che siamo “choosy” è oltremodo irritante.
Penso ai più giovani, non hanno forse il diritto di tentare almeno di lavorare nel settore per il quale hanno studiato? Per il quale i genitori magari hanno fatto tanti sacrifici?
E se invece, come me, si è un po’ più maturi (over 35-40 e oltre) :
Perché non possiamo tentare di lavorare in un ambiente che ci sia congeniale, che ci piaccia, in cui metterci a lavorare con entusiasmo?
Cercare un lavoro che non ci porti a due ore da casa quando magari abbiamo un figlio da crescere, è segno che siamo esigenti? Possiamo trovare un equilibrio vita-lavoro?
 Più di ottanta CV inviati è segno che sono schizzinosa o esigente?
Dal canto mio posso solo dire che non dobbiamo arrenderci, che dobbiamo cercare di migliorare sempre (si veda post precedente), ma dovremo mettere in conto anche che ci sono delle logiche e delle dinamiche sulle quali noi non possiamo averecontrollo o responsabilità e quindi cerchiamo di buttare questo fardello di autopunizione dietro le spalle!
A presto, Ilaria

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