giovedì 9 febbraio 2012

Cosa è il Modello Danese?

Come al solito, niente a che fare col "danese" che ho messo ad illustrare l'articolo!

Segnalo però due link interessanti:, uno dal sito del Governo Italiano (che riprende un articolo de La Stampa ma deve avere fatto qualche errore nel copiare le tabelle), l'altro da "il Sussidiario"




http://rassegna.governo.it/testo.asp?d=77828240
 
 
SUBITO ASSUNTI, INDENNIZZATI IN CASO DI LICENZIAMENTO

Da "LA STAMPA" di domenica 5 febbraio 2012
Subito assunti, indennizzati in caso di licenziamento Ecco il modello danese che il ministro vuole sperimentare in alcune regioni
FRANCESCA SCHIANCHI

ROMA Nel governo l`idea si sta facendo strada.

Certo, dovrà superare il confronto con le parti sociali, e forse non verrà accolta tra gli applausi. Ma alcune Regioni si stanno già attrezzando per diventarne partner: di un progetto sperimentale su cui il governo sta ragionando, per applicare nuove regole al mondo del lavoro a quelle imprese che, volontariamente, diano la loro disponibilità alla sperimentazione. Si tratterebbe di mettere alla prova qualcosa di molto simile alla proposta di flexsecurity presentata dal senatore Pietro Ichino nel 2009, attraverso accordi quadro regionali: in Trentino è stato aperto un tavolo, ma dimostrano interesse anche Calabria, Veneto, Lombardia.

Ecco forse a cosa pensava il ministro Fornero (in ottimi rapporti col giuslavorista milanese, così come il premier Monti) quando ieri ha parlato di «flessibilità buona» da far pagare alle imprese. Perché nella proposta Ichino, la 1873 del 2009, il più volte evocato modello danese, tutti i lavoratori vengono subito assunti a tempo indeterminato, con un periodo di prova massimo di sei mesi, ma l`articolo 18 resta a proteggerli solo in caso di licenziamento discriminatorio: se invece avviene per motivi economici o organizzativi, il lavoratore riceve dall`impresa un indennizzo che cresce con l`anzianità di servizio (un mese per ogni anno di anzianità).

Poi però l`azienda stipula un contratto di ricollocazione col lavoratore e sostiene un trattamento complementare di disoccupazione che porti l`indennità al 90% dell`ultimo stipendio il primo anno (ma 1`80% è già a carico dell`Inps), all`80% il secondo anno e al 70 il terzo anno, l`ultimo possibile.

In questo modo, l`azienda si prevede che sarà incentivata a darsi da fare per trovare al più presto un nuovo posto di lavoro al suo ex dipendente, liberandosi dal trattamento di disoccupazione.

Flessibilità, quindi, e in cambio l`azienda si deve accollare il costo sociale del licenziamento. Anche secondo Michele Tiraboschi, docente di diritto del lavoro a Modena, le parole del ministro Fornero tradiscono l`ispirazione al progetto di legge Ichino. Su cui però lui è scettico: «Un progetto irrealistico», lo definisce, «perché scritto a tavolino e non concordato tra imprese e lavoratori.

Pensare di portare qui la Danimarca è ridicolo: è un Paese diverso, con una struttura geografica diversa...
Tutt`al più si può pensare di esportarla a Trento, ecco.

Altrimenti sarebbe come trapiantare a un uomo un cuore con un gruppo sanguigno differente, si rischiano di fare enormi danni». Piuttosto, secondo lui, in tema di flessibilità, una proposta potrebbe essere quella di ripristinare l`articolo 8 della manovra dell`estate scorsa: qualunque impresa può derogare a norme di legge mediante un accordo collettivo. Si potrebbe tentare quella strada, propone, per derogare temporaneamente in specifici casi l`articolo 18, senza abolirlo.

Anche Tito Boeri, docente di economia del lavoro alla Bocconi, ha la sua proposta per mettere in conto alle imprese la flessibilità per loro così preziosa.

«Giusto pagare di più i lavoratori instabili, mentre normalmente oggi in Italia succede l`opposto», conviene. Come farlo? La sua idea è nero su bianco, la cosiddetta proposta BoeriGaribaldi: quando un lavoratore ha un rapporto con un unico committente, si fissa un livello retributivo minimo al di sotto del quale il rapporto si trasforma automaticamente a tempo indeterminato. Per quanto riguarda le tutele, questo modello prevede che ci sia un aumento progressivo: un eventuale licenziamento può essere deciso solo entro i primi tre anni (corrispondendo un risarcimento pari a 5 giorni di paga per ogni mese di lavoro, fino a un massimo di sei mesi se si viene licenziati dopo tre anni), dopodiché scattano le garanzie attuali.

Ancora, suggerisce Boeri, un altro strumento che sposti un po` di più sulle spalle delle aziende il peso della flessibilità sarebbe aumentare i contributi assicurativi contro la disoccupazione per i lavoratori atipici, e anche quelli previdenziali, allineandoli a quelli delle altre tipologie di contratti. Lo stesso intervento individuato dal deputato Giuliano Cazzola, esperto del Pdl in tema di previdenza: portare anche i para subordinati al 33% come i dipendenti, anziché lasciarli attorno al 27%. E poi, un`altra proposta: «Si potrebbe pensare di introdurre nei contratti a termine una sorta di indennità di fine rapporto».

Flessibilità buona Apprendisti 25-29 per classi di età anni meno di 19 anni 37.599.
7,1% 30-39 anni 43.248 8,2% 180.512,` 34,0% 20-24 anni Status occupazionale TOTALE 2.809.000 A termine involontari 1.979.000 Co.co.co.
e/o a progetto 394.000 Collaboratori occasionali 71.000 Partite Iva 365.000 Flessibilità in uscita.

Cosi in Europa in caso di licenziamento illegittimo RISARCIMENTO ECONOMICO a REINTEGRO OBBLIGATORIO Lì. REINTEGRO SOLO A DETERMINATE CONDIZIONI E/O RISARCIMENTO i è Spagna ITALIA Germania se tutelati dall`articolo 18 Francia 269.008 50,7% Il trend degli interinali TOTALE 530.368 286 mila Novembre 2011 272 mila Novembre 2010 `ortogali

SCETTICO Michele Tiraboschi «La nostra realtà non è quella di Copenaghen» INNOVATIVO Tito Boeri: è giusto pagare di più gli instabili Oggi avviene l`opposto di indennità il primo o Al lavoratore licenziato e in cerca di nuova occupazione andrebbe per il primo anno il 90 per cento dell`ultimo salario percepito. La quota si ridurrebbe nei due anni successivi, per poi esaurirsi Buoni e cattivi In Italia i tipi di contratto sono molti Negli anni sono diminuiti gli apprendisti a favore di soluzioni che hanno diffuso la precarietà Governo e sindacati vogliono invertire la rotta ma le ricette sono diverse in particolare per quanto riguarda la flessibilità Centimetri LA STAMPA [.]
Piede pagina
http://www.governo.ithome/

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http://www.ilsussidiario.net/News/Lavoro/2012/2/5/MODELLO-DANESE-La-formula-della-flexsecuirity-che-l-Italia-potrebbe-imitare/239350/


MODELLO DANESE/ La formula della “flexsecuirity” che l’Italia potrebbe imitare Redazione domenica 5 febbraio 2012


Dopo le recenti polemiche scatenate dalle dichiarazioni del presidente del Consiglio Mari Monti sul posto fisso durante la trasmissione Matrix, si torna a parlare di uno strumento che potrebbe rivelarsi vincente nel prossimo futuro per i giovani, le imprese e per garantire la tanto acclamata equità sociale. «Gli Usa – come ha spiegato nei giorni scorsi lo stesso Monti - non è che siano un esempio da imitare completamente. Sicuramente hanno un mercato del lavoro molto flessibile ed è più facile che altrove trovare il lavoro, ma in molti settori è molto poco tutelato il lavoratore che perde un lavoro. Se proprio si deve cercare un modello, meglio certi Paesi del nord, come la “mitica” Danimarca che tutela il singolo lavoratore più che il posto del lavoro».
Infatti quello che vige in Danimarca da ormai quasi vent’anni è il cosiddetto modello della “flexsecurity”, che sta ad indicare una flessibilità maggiore all’interno del mercato del lavoro, ma protetta.
Nel Paese in questione, infatti, non esistono posti fissi e chiunque può essere licenziato, ma in questo caso lo Stato garantisce un reddito minimo per due anni con l’obbligo di riqualificarsi con corsi di formazione e di lavoro non retribuito.
Questo strumento è entrato in vigore in Danimarca nel 1993 e fino ad ora ha dimostrato di funzionare a dovere, anche se durante la pesante crisi economica ha sofferto parecchio: prima il sussidio era di sette anni mentre adesso, come detto, di due, ma resta il fatto che in Danimarca, nonostante oggi il tasso di disoccupazione non sia molto più basso di quello italiano (7,8% contro l’8,9% italiano), i giovani sotto i 25 anni senza un lavoro sono il 14%, mentre nel nostro Paese rappresentano il 31%.
Ma oltre a tutto, probabilmente la cosa più importante di questo modello danese è che è in grado di creare un’uguaglianza tra i vari lavoratori e le forme contrattuali, certo costoso in termini di tassazione, ma che riesce a superare quel divario tutto italiano creato dai contratti a tempo indeterminato, a progetto e così via. E’ anche lo stesso Monti a spiegarlo: «Quando un lavoratore non può più lavorare in una certa fabbrica, ha una serie di tutele lui, non il posto in quella fabbrica che deve essere cancellato. Per fare questo occorrono tantissime cose che stiamo cercando di mettere in atto», quindi «occorre creare più occasioni di lavoro per i giovani, un po' meno tutelati in modo trincerato ma più posti di lavoro.
E un Paese è capace di creare più o meno posti di lavoro a seconda di quanto è competitivo. Gli sforzi che stiamo facendo per diventare più competitivi, mirano a far sì che le aziende possano espandersi, anziché ridimensionarsi o chiudere».














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