domenica 5 febbraio 2012

Presidente: ma quanto spendi?

Spesso si sentono "politici" elogiare il sistema presidenziale come quello che pone il Capo dello Stato più vicino agli elettori, senza i filtri dei partiti.
Guardando all'America si potrebbe però scoprire quanto i Presidenti siano in realtà vicini ai lobbisti, che hanno finanziato le loro campagne elettorali.
Buttare i partiti potrebbe essere un modo per rendere chi governa più irresponsabile verso i cittadini.

Quanto costa diventare presidente

Scritto da Duccio Fumero

Quattro anni alla Casa Bianca, un giardino enorme e un ufficio molto bello, seppur ovale. Diventare presidente degli Stati Uniti è una corsa lunghissima, fatta di battaglie interne al proprio partito e, infine, contro l'avversario alle elezioni finali. Ma quanto costa a un candidato arrivare nello Studio ovale?

Nel 2008 record per Obama. Rinunciò ai finanziamenti pubblici per non avere tetti di spesa. La campagna elettorale di Barack Obama quattro anni fa costò al futuro presidente degli Stati Uniti la cifra monstre di 730 milioni di dollari. Più del doppio (330 milioni) di quanto ha speso John McCain per perdere, ma anche il doppio rispetto a quanto spese nel 2004 George W. Bush per venir rieletto. E, secondo i rumors che giungono dal Partito Democratico, Obama è pronto a sfondare quota un miliardo per venir rieletto quest'anno.

Romney, i soldi non sono tutto. No, non parliamo delle polemiche che stanno travolgendo il candidato repubblicano riguardo alla sua dichiarazione dei redditi, alle tasse pagate e ai soldi che sarebbero ben nascosti alle Cayman. Mitt Romney, infatti, è anche il candidato repubblicano con più soldi da spendere in queste lunghissime primarie. Basti pensare che per il Caucus dell'Iowa Romney ha messo sul tavolo ben 2,3 milioni di dollari in spot pubblicitari, contro i 300mila dollari spesi da Rick Santorum, che poi ha vinto la tornata elettorale. A dimostrazione che se non sempre i soldi danno la felicità, ancor meno garantiscono la vittoria.

Il PAC Man. Indipendenti, ma non per questo equidistanti. Sono i Super Political Action Committees, i comitati elettorali indipendenti, che senza avere un legame diretto a un candidato o a un altro supportano attivamente la campagna elettorale. Si concentrano in campagne pubblicitarie televisive “contro”, cioé nelle quali si attaccano gli altri candidati più che fare pubblicità positiva per il proprio uomo. Newt Gingrich, il nuovo favorito nella corsa repubblicana, ha l'appoggio di “Winning Our Future” che, però, ha solo un budget di poco superiore ai 5 milioni di dollari. Sempre Romney, il diretto avversario di Gingrich nella corsa alla Casa Bianca, ha l'appoggio di “Restore Our Future”, che alla vigilia delle primarie in Florida ha già messo sul piatto ben 16,7 milioni di dollari.

Finanziatori. La legge americana non vieta il finanziamento di privati alle campagne elettorali, delle vere e proprie sponsorizzazioni da parte di alcune lobby che scelgono chi appoggiare – anche se spesso per sicurezza distribuiscono dollari a pioggia. Pone, però, un tetto al finanziamento pubblico diretto dei candidati, mentre non vi sono limiti per i soldi ricevuti dai Super PAC. Ed ecco, dunque, che da un lato Gingrich ha potuto respirare quando il miliardario Sheldon Adelson ha staccato un assegno da 5 milioni di euro per “Winning Our Future”, praticamente risollevando le sorti dell'ex speaker repubblicano fino a quel punto sull'orlo dell'abbandono. Opposta, però, la situazione dei comitati elettorali di Gingrigh e Romney. Quest'ultimo, infatti, ha un bottino di 33 milioni di dollari ricevuti dai suoi finanziatori, tra i quali Goldman Sachs e Morgan Stanley. Per Gingrich, invece, un misero 2,9 milioni, con i benefattori più spendaccioni che non hanno sborsato neppure 30mila dollari per il loro candidato.


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